Chernobyl: per non dimenticare a distanza di trent'anni

(ASI) Chernobyl – Il 26 aprile scorso, è stato l'anniversario dei trent'anni del disastro nucleare di Chernobyl, il più grave di tutti i tempi della storia del nucleare civile (livello 7), dieci volte più devastante di quello avvenuto nella centrale giapponese di Fukushima del 2011, secondo Greenpeace.

 

All'1.23 del 26 aprile 1986, un sabato come tanti, nella centrale atomica sovietica di Chernobyl, nell'Ucraina settentrionale a 100 km da Kiev, era in corso un test di sicurezza e alcuni dispositivi erano stati disattivati. Una scelta sbagliata che si rivelò drammatica.

In meno di un minuto, il reattore 4, di derivazione militare Rbmk, con una tecnologia non certo sicurissima, si surriscaldò, raggiungendo 120 volte la sua potenza massima, esplodendo, lanciando in aria un'enorme quantità di fumi, polveri, e vapori radioattivi, cambiando la vita di milioni di uomini, cancellando dalla faccia della terra un numero non ancora precisato di persone, ma di certo altissimo.

I calcoli di varie agenzie internazionali di statistica, parlano di 65 decessi certi e 4.000 vittime di tumori ’collegabili’. Gli ambientalisti parlano, invece, di centinaia di migliaia di malati e decine di migliaia di decessi, le cui cifre esatte si perdono nelle statistiche dell’incidenza dei tumori e delle morti per cancro.

E cancellò anche la sicurezza nell’energia atomica nella mente dei cittadini italiani che nel 1987, bocciarono con un referendum l'uso dell'energia nucleare e decretarono la chiusura delle centrali in funzione nel nostro Paese.

Secondo le testimonianze pervenuteci dalle cronache, il responsabile del turno di notte, pochi istanti prima dell'esplosione, premette il tasto di arresto d'emergenza, ma era ormai troppo tardi.

Come si usava nell'epoca della “Guerra Fredda”, le azioni e le informazioni vennero ritardate. Fu perso, probabilmente, tanto tempo prezioso che forse sarebbe servito a limitare i danni.

Gli abitanti della città di Pripjat furono i primi a sapere. Dalle loro finestre di casa videro un bagliore accecante illuminare le tenebre. Mentre, erano in corso le operazioni di spegnimento e i primi eroici soccorritori morivano di radiazioni, a Mosca, non avevano ancora una chiara idea di cosa fosse successo. Gli Europei, lo seppero due o tre giorni dopo, con i telegiornali che annunciavano il divieto di consumo delle sostanze alimentari che accumulano più radiazioni, come il latte, gli ortaggi e le verdure; e sconsigliando di uscire sotto la pioggia per il pericolo di radiazioni spostate col vento tramite le nuvole.

Trent'anni dopo, mentre già numerosi paesi con dei referendum hanno decretato l'abbandono del nucleare nei prossimi dieci anni, mentre circa il 40 – 50% dell'energia prodotta dagli Stati dell'Europa dell'Est, è ancora nucleare,   a Chernobyl non è disponibile un “sarcofago” sicuro per arrestare le radiazioni.

Le scorie radioattive sono ancora lì, in un sarcofago, garantito solo fino al 2023 e che dovrebbe essere sostituito nel 2017, da uno definitivo, in costruzione da ormai dodici anni, alto 100 metri, con un costo da 2,15 miliardi di euro, con ritardi dovuti anche alle non certo floride condizioni economiche dell'Ucraina che si sono aggravate ancora di più dopo la crisi con la Russia.

Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

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