La storia e lo sviluppo dei mass media in Africa

(ASI) I mezzi di comunicazione di massa stanno avendo un ruolo nello sviluppo della democrazia in Africa. I primi giornali nascono in Sudafrica nel XIX secolo e furono controllati da coloni bianchi, mentre in Liberia, Nigeria, Ghana, Sierra Leone, questi mezzi furono amministrati dagli africani.

La Liberia costituisce un caso particolare. Fu indipendente nel 1847 e il territorio fu scelto per accogliere molti schiavi che scelsero liberamente di ritornare in Africa. Fu ovvio che alcuni di loro si esprimessero già in inglese e ciò favorì lo sviluppo di una stampa indipendente in Liberia (Frère 2000: 25). Nel 1900, circa 70 giornali di ogni generi circolavano nell'Africa occidentale anglofona. Nell'Africa Occidentale Francese, i primi mezzi di informazione furono i giornali ufficiali gestiti dall'amministrazione coloniale, successivamente, all'inizio del xx secolo, appariranno in qualche colonia, alcuni giornali privati sotto la direzione dei coloni. In Dahomey (attuale Benin) c'era l'Echo du Dahomey fondato nel 1905; in Senegal c'erano "Le Réveil des Sénégalais", che ha iniziato le sue pubblicazioni a Dakar nel 1885, poi "Le Petit Sénégalais" e "L'Unione Africaine"; in Costa d'Avorio, c'era "L'Indépendant" fondato nel 1990 (Frère 2000: 25). Molti di questi giornali si occupavano alle pubblicazioni delle notizie relative alla madrepatria, allo scopo di favorire una coesione sociale tra i coloni, ma anche molte notizie economiche. In questi giornali si parlava solo dei coloni bianchi e niente lasciava immaginare che ci fossero altre popolazioni in Africa (Ziegler, Asante 1922: 24). Gli europei consideravano gli africani come i prototipi del mondo primitivo e arcaico (Balandier 1993: 1548), ecco perché le notizie relative agli autoctoni non erano importanti da pubblicare. Inoltre, questi primi giornali veicolavano l'ideologia coloniale definita da Alexandre Merignac che affermò: "colonizzare significa occupare un territorio e sfruttare le risorse di questi paesi (...) e nello stesso tempo portare a questi popoli primitivi i benefici della cultura intellettuale, sociale, scientifica, morale, artistica, commerciale e industriale, tutti valori di cui le razze superiori sono detentrici"1. La legge francese sulla stampa del 1881, nel suo articolo 60 vietava agli autoctoni, anche quelli detti "évolués", di possedere un organo di informazione. Tuttavia alcuni di questi "évolués" potevano occupare ruoli subalterni in alcuni giornali. Nel frattempo, nell' Africa anglofona, una stampa amministrata dagli indigeni si stava sviluppando (Frère 2000: 25). Fu soltanto alla fine degli anni '20, quando alcuni combattenti africani che avevano combattuto al fianco delle truppe francesi durante la prima guerra mondiale (1914-1918), potevano creare alcune testate giornalistiche, in quanto avevano ottenuto la cittadinanza francese. Fu così che la legge del 1881 poté essere raggirata (Frère 2000: 25). Una stampa fondata dagli "évolués" e che rivendicava un'identità degli autoctoni e nello stesso tempo militava per un'integrazione alla Francia si è sviluppata in Africa francofona e principalmente in Dahomey2, Senegal, Costa D'Avorio. La tiratura di questi giornali si limitava a qualche esemplare, a fronte dei giornali dei coloni più diffusi e meglio strutturati. Tuttavia, questi giornali fondati dagli"évolués" circolavano all'interno di una élite africana colta che sapeva leggere e scrivere la lingua francese. Furono proprio queste élite ad occupare i primi posti nell'amministrazione coloniale, ma anche ad essere i primi insegnanti nelle scuole fondate dai coloni nei territori colonizzati.
Il processo di decolonizzazione favorì la moltiplicazione dei giornali fondati dagli africani nei territori. Questi mezzi di informazione furono influenti soprattutto nell'Africa anglofona (Ghana, Sudafrica, Nigeria, Liberia, Siera Leone, Kenya) e contribuirono a dare voce ai militanti ed altri leader nazionalisti africani. Inoltre, questi giornali consideravano molti leader africani come i veri interlocutori del governo inglese, per di più hanno introdotto i concetti della coscienza politica, come sottolineò Nnamdi Azikiwe, giornalista negli anni '30, diventato successivamente il primo Presidente della Nigeria indipendente ( Tudesq 1998).
La diffusione generale dei giornali in Africa fu molto limitata negli anni '50 e '60, perché in quel periodo, il tasso di analfabetismo era molto alto tra la popolazione. Se la carta stampa esisteva già in Africa da due secoli, bisogna riconoscere che fu prima di tutto la radio ad avere un impatto forte nella società africana, contribuendo di molto alla sua trasformazione politica, economica e culturale. Lo studio della radio in Africa ci permette di capire meglio come la società africana si è trasformata negli anni. Da sottolineare che sia la carta stampa che la radio, questi due mezzi di comunicazione di massa furono inizialmente nelle mani dei colonizzatori e solo in una seconda fase gli africani entrarono in loro possesso. La radio fece la sua apparizione in Africa prima nella zona anglofoba, durante la seconda guerra mondiale, successivamente nelle zone francofone e lusofone negli anni '50. Essa si è diffusa nel continente con la proliferazione delle radio a transistor dove i prezzi furono accessibili a tutte le classi sociali. Le stime della BBC sottolineano che siamo passati da 7,5 milioni nel 1965 a 23,6 milioni nel 1975, poi per arrivare a 80,6 milioni nel 1995 (Tudesq 2002: 5). Lo studio dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) permette di associare, come criterio di sviluppo nei paesi del terzo mondo, anche la diffusione della tecnologia. Per questo organismo dell'ONU che si dedica a questo genere di studi da più di 25 anni, una minima dei media per 1000 abitanti è auspicabile: ci vogliono circa 100 esemplari di quotidiani, 50 radio transistor e 10 televisioni (Crousse, Jon, Réjean 1990: 116). Per quello che riguarda la radio, i paesi africani possono essere suddivisi in tre categorie e ciò secondo i numeri di radio a transistor disponibili e dell'istallazione delle frequenze di diffusione (Tudesq 2002). Nei paesi dove ci sono più di 250 radio transistor per 1000 abitanti, la radio è insediata molto bene sul territorio e il suo ascolto è generalizzato. Fanno parte di questa categoria: Sudafrica, Tanzania, Sudan, Congo RDC, Mauritius ecc; nei paesi dove ci sono tra 100 e 250 poste transistor radio, il mezzo è meno radicato e l'ascolto è più diffuso nelle grandi città; infine, nei paesi dove ci sono meno di 100 poste transistor per 1000 abitanti, la sua ricezione rimane disuguale sul territorio e l'ascolto, spesso è collettivo. Fanno parte di questa categoria: Burkina Faso, Mozambico, Guinea. Tuttavia molti progressi sono stati fatti nei paesi africani per migliorare la qualità dei servizi e aumentare i numeri degli ascolti radiofonici .
Se nel dopoguerra i mass media hanno contribuito di molto allo sviluppo delle nazioni occidentali del blocco capitalistico, veicolando un'informazione pluralista accessibile a tutti e per di più fondamentale nel cambiamento sociale, in Africa invece, i mass media non hanno avuto inizialmente lo stesso ruolo avuto in occidente. Molti Stati africani per tre decenni (1960-1990) hanno trasformato la radio, che doveva avere un ruolo pubblico educativo di interesse generale, in un organo di propaganda al servizio del governo o del regime politico (Maoundonodji, Berqué 2005: 13). Dopo le indipendenze, il pluralismo dei mass media fu vietato. Il controllo dell'informazione divenne un affare esclusivo dello Stato. In molti paesi del continente, tanti leader politici giustificarono il controllo assoluto dello Stato sui mezzi di comunicazione di massa come un modo di mantenere l'unità nazionale, fondamentale per lo sviluppo dei nuovi Stati africani. A questo proposito, dopo il colpo di Stato di Nimeiry in Sudan nel 1969, il ministro dell'informazione del nuovo potere militare sottolineo: "i mezzi di informazione sono gli strumenti dell'edificazione di una società socialista e democratica. Sono la voce del popolo e sono vietati ai nemici del popolo"3. Una seconda giustificazione fu utilizzata dai leader politici africani per giustificare il monopolio dello Stato sui mass media: la necessità dei giornalisti di contribuire allo sviluppo del paese, esercitando una funzione educativa ed appoggiando le varie iniziative del governo (Frère 2000: 32). Il monopolio dello Stato sui mezzi di comunicazione di massa favorì tra la popolazione africana, una forma di comunicazione parallela chiamata"Radio-Trottoir", definita come la circolazione delle notizie ufficiose in rottura totale con quelle fornite dai mezzi di informazione dello Stato.
Per quello che riguarda l'avvenimento della televisione in Africa, uno dei primi paesi del continente a possederla fu la Nigeria. Le ragioni per la sua diffusione furono educative, ma soprattutto politiche, viste le rivalità ideologiche che esistevano tra i tre Stati della federazione nigeriana. Fu così che nel 1959 nacque a Ibadan, capitale della Nigeria occidentale, la Western Nigeria Television (WNTV). Nello stesso anno, venne creata un'altra televisione, la Ibadan Zonal Network Center che coprì l'Oyo State e il Sud-Ovest del paese; poi nel 1960 nella Nigeria orientale venne creata L'Enugu Zonal Network Center che coprì lo Stato di Enugu e tutta la zona del Sud-Est, poi un'altra televisione sempre nella stessa zona, l'Eastern Nigeria Television (ENTV); nel 1962 venne creata a Kaduna, nella Nigeria settentrionale la Radio Kaduna Television (Sylla 2008: 24). Dopo la Nigeria, molti paesi seguirono la strada intrapresa dal gigante africano. Nel Ghana, fu creata la televisione nazionale ghanese (GTV) nel 1965. Fu una volontà del Presidente Kwame Nkrumah dotare il paese del medium e ciò nell'obiettivo di contribuire all'educazione, introdurre la cultura del socialismo nel paese e promuovere il panafricanismo (Sylla 2008: 21). D'altra parte, in alcuni paesi francofoni e con il contributo delle fondazioni, degli organismi internazionali, dei governi francesi, americani, canadesi, molte esperienze didattiche furono effettuate con le prime televisioni educative create in Niger, Mali, Senegal, Costa-d'Avorio. Sperimentazioni che falliranno qualche anno dopo. Le ragioni del fallimento furono legate a una visione unidirezionale e gerarchica del processo insegnamento/apprendimento, nonché a uno scarso coinvolgimento dei docenti che hanno boicottato successivamente i programmi e le rudimentali strategie implementative (Chislandi 2007: 48). Negli anni '80, non c'era più nessuna televisione educativa in Africa, un'operazione che fu costosissima per gli Stati africani. In seguito, queste televisioni educative furono trasformate in televisioni nazionali al servizio dei governi (Duboux 1996). Lo saggista Tidiane Dioh, in una delle sue pubblicazioni4, ripercorre tutta la storia della nascita delle televisioni in molti paesi francofoni d'Africa (Dioh 2009). L'autore svela alcuni fatti che hanno portato alla realizzazione di questo medium in molte nazioni africane. Si saprà, per esempio che la prima televisione francofona dell'Africa subsahariana fu realizzata a Brazzaville in Congo, in occasione della commemorazione del secondo anniversario dell'indipendenza del paese. Furono sperimentati tre programmi a Brazaville, il 27, 28, 29 novembre del 1962. Inoltre, lo studioso ci rivela che la Libia del colonnello Gheddafi aveva finanziato le realizzazione delle televisioni pubbliche nazionali in Guinea Conakry nel 1977, poi in Mali nel 1983. Un altro dittatore, Saddam Hussein, ha finanziato nel 1984 la nascita della televisione pubblica in Mauritania. Un altro fatto particolare ci rivela Tidiane Dioh nel suo saggio: i nuovi militari arrivati al potere con un golpe nel 1966 in Alto Volta (Burkina Faso), avevano deciso di chiudere per 4 anni la televisione pubblica, giustificando il fatto con la necessità di sviluppare prima di tutto la radio nel paese.
All'inizio degli anni '90, molti paesi africani subiranno una trasformazione profonda con le loro legislazioni sui mezzi di comunicazione di massa. Alcuni fattori hanno determinato questo fenomeno: il crollo del blocco comunista, il fallimento delle economie africane e la determinazione delle forze di contestazione contro i regimi politici in Africa. Questi fatti hanno contribuito alla nascita di una nuova ideologia politica nel continente, con la popolazione africana che scese per strada, rivendicando ad alta voce la democrazia, il pluralismo politico e la libertà di espressione. A questi movimenti popolari africani di protesta, si aggiungeranno l'influenza delle cancellerie occidentali e degli organismi internazionali mondiali di finanziamento come il Fondo Monetario Mondiale (FMI) o la Banca Mondiale (BM) che hanno condizionato i loro prestiti con l'instaurazione della democrazia (Frère 2000: 19). Tutto ciò costringerà molti dittatori ad instaurare la democrazia con la libertà di espressione e, soprattutto con il pluralismo mediatico. In pochi mesi nasceranno in tanti paesi del continente, mezzi di informazione privati che adopereranno inizialmente un linguaggio molto polemico e critico. La carta stampa, la radio e la televisione diventeranno degli strumenti di comunicazione al servizio di tutti. L'influenza dei media sarà ineguale sul territorio africano. Il suo impatto sarà notevole nelle capitali e grandi città del continente, mentre nelle zone rurali o semi urbane il fenomeno sarà meno evidente e si caratterizzerà per il contributo dei media comunitari (Lenoble-Bart, Tudesq 2008 : 111).
Il modo iniziale di pubblicare le notizie dopo la liberalizzazione dei mass media non sarà diverso dai giornali esistenti nel periodo coloniale, che si presentavano più come giornali di opinione che non di informazione. La nuova stampa liberalizzata osserva, ma soprattutto giudica, condanna o incoraggia i vari attori della scena politica e della transizione democratica attuata in molti paesi del continente negli anni '90. Inoltre, l'obiettività non è proprio la sua forza e, per di più, lo spazio dedicato ai fatti sembra diminuire lentamente per lasciare posto alle opinioni (Frère 2000: 301). Inoltre è fondamentale sottolineare che, in molti paesi dell'Africa, esistono due generi di media: quelli che sono con il potere e quelli che sono con l'opposizione. I mass media al servizio del potere o del regime sono generalmente i giornali del servizio pubblico, come i quotidiani il "Soleil" a Dakar o "Cameroon Tribune" in Camerun. Questa osservazione è valida anche a proposito della radio e della televisione, come in Gabon con la "Radio Télévision Gabonaise" oppure in Camerun con "Cameroon Radio and Television" ( Fouda 2009 : 203).
La liberalizzazione dei mass media in Africa incentiva una rivalità feroce tra i vari organi di informazione e molti di loro scomparirono, mentre altri emergeranno. Così, la competizione dei media in Africa mostra caratteri originali e interessanti da analizzare (Lenoble-Bart, Tudesq 2008: 111).
La radio, che è il mezzo di informazione più diffuso in Africa, merita un posto di rilievo in questo studio sui mass media in Africa dopo la liberalizzazione. La sua popolarità in molti paesi africani è caratterizzata da molti fattori: il costo accessibile per procurarsi un posto radio a transistor, la ricezione facile dei suoi programmi e la copertura totale del territorio. Inoltre, bisogna sottolineare che la radio è l'unico medium che si occupa realmente delle lingue tradizionali africane, favorendo così la sua riconciliazione con le culture locali. La radio ha un ruolo insostituibile nella riabilitazione delle lingue nazionali. Questo è uno dei compiti della radio rurale o comunitaria che si presenta come un mezzo di comunicazione che riduce le distanze, sopprime le barriere dell'analfabetismo e permette il contatto con gli auditori. Così, l'informazione penetra nelle zone più sperdute dell'Africa. Le zone rurali costituiscono un ampio pubblico da coinvolgere nello sviluppo. Ecco perché bisogna informarlo, educarlo, ma anche, soprattutto, ascoltarlo. Solo così, questo pubblico potrà partecipare ai programmi dello sviluppo, identificando e valutando i problemi posti. Queste sono le ragioni per le quali l'uomo dei media deve anche favorire la conoscenza e la pratica delle lingue locali alla radio. Da questa osservazione, Babacar Sine, ex direttore del Centro di Studi delle Scienze e Tecniche dell'Informazione (CESTI) dell'università Cheikh Anta Diop di Dakar sottolineo come l'uso di una lingua africana alla televisione o alla radio ha una dimensione più rivoluzionaria che l'uso del francese, visto che i mass media sono percepiti dall'africano come uno strumento straniero e c'è un rapporto esterno tra questo mezzo e lui. Poi aggiunse che l'uso di una lingua africana è l'occasione di una riconciliazione, perché il fatto che il Mossi oppure il Peul ascolta la sua lingua alla radio o alla televisione crea un rapporto di trasparenza e di fiducia con un mezzo che smette a questo effetto di essere esterno a lui (Samb 2010 ). Il ritorno della radio nella società non implica necessariamente un ritorno dei valori socio-culturali nazionali. Alcuni sono negativi, contrari al progresso. Nessuno pensa di riesumare tradizioni retrograde. L'Africano odierno deve essere aperto al futuro (Samb 2010 ).
Al di là di tutto ciò , si possono classificare le radio africane in quattro categorie (Tudesq 2001: 207):
le radio pubbliche, che sono in concorrenza in tutti i paesi con le radio private e le radio internazionali che trasmettono in FM nelle grandi città, ma anche nelle zone interne del paese. Queste radio pubbliche dispongono ugualmente di antenne di trasmissione per le onde corte, le onde medie e le onde lunghe che le permettono di coprire tutto il territorio e possono competere anche con le radio comunitarie o rurali come in Mali, Madagascar, Niger, Uganda. Alcune trasmettono nelle lingue locali africane come in Swahili in Kenya e Tanzania o in Wolof in Senegal; poi abbiamo le radio private commerciali, che in alcuni paesi appartengono ai grandi gruppi multimediali come in Senegal con Sud FM Radio del gruppo Sud Communication, Walf FM del gruppo Walf; in Benin la radio Golf FM che appartiene al gruppo Gazzette du Golfe; in Camerun c'è Radio Equinoxe che appartiene al Groupe Equinoxe/Television. Alcune radio commerciali danno importanza alle notizie, come Africa1 in Gabon, altre diffondono solo divertimento e musica come Horizon Fm in Burkina; poi abbiamo le radio private, associative, comunitarie o religiose. Le radio comunitarie sono numerose in Mali, mentre in altri paesi vi sono le radio religiose che svolgono un ruolo importante come in Tanzania, Kenya, Uganda o Congo Kinshassa. Molte di queste radio religiose hanno l'appoggio degli organismi o istituzioni internazionali; infine abbiamo le radio internazionali che trasmettevano tutte in onde corte prima delle liberalizzazioni dei mass media, hanno poi ricevuto da parte degli Stati africani, le licenze per potere trasmettere in molte città africane in modulazione di frequenza (FM). Le radio internazionali più ascoltate in Africa sono Voice of America, la Deutsche Welle, la BBC e soprattutto RFI (Radio France Internationale). Il rapporto di attività di RFI del 2010, sottolinea che RFI, ha un bacino di più di 38 milioni di ascoltatori con circa 26 milioni solo in Africa. Nel continente, RFI è diffusa con 91 trasmettitori FM, impiantati non solo nelle capitali, ma anche nelle principali città dei paesi africani, come lo indica il rapporto attività del biennio 2005-2006. Numeri che cresceranno sempre di più, vista la politica di cooperazione che intrattenne RFI con le radio locali per l'utilizzo delle loro frequenze. Inoltre da alcuni anni, per raggiungere un ampio pubblico in Africa, RFI trasmette in lingua Haoussa e Swahili, stessa politica intrapresa dalla Voice of America (VOA) e dalla Deutsche Welle che trasmettono ugualmente in lingua Haoussa. I pochi sondaggi disponibili sottolineano che l'ascoltatore radiofonico è un uomo colto, di livello sociale alto e ha meno di quarant'anni. Per di più, gli uomini sono il doppio delle donne ad ascoltare la radio. Un sondaggio realizzato nel 1991 dalla Società per lo Studio del Consumo e della diffusione della Pubblicità (SECODIP) a Ouagadougou, rivela che 93% delle persone che hanno ricevuto una formazione universitaria ascoltano RFI, contro il 15% di analfabeti e il 35% che ha avuto un'istruzione media, il 65% che ha avuto un'istruzione superiore. Un altro sondaggio realizzato sempre da SECODIP a Cotonou nel novembre 1986, sottolinea che il 95% di persone benestanti ascolta le radio internazionali, contro il 48% delle persone non benestanti.
Gli effetti della liberalizzazione radiofonica sul territorio africano si valutano sullo sviluppo di questi mezzi nei vari paesi africani, ma anche del suo uso da parte della popolazione. Alcune zone hanno avuto una forte crescita dei media mentre altre meno. In Africa Australe, il Sudafrica è la nazione dove la radio ha avuto una forte espansione, dominata soprattutto da Channel Africa, una radio internazionale che trasmette in tutta l'Africa in onde corte, FM e par satellite in lingue: Swahili, inglese, francese, portoghese, Lozi e Chinchewa. In Africa dell'ovest, alcuni paesi come le Mali o il Benin sono stati i pionieri nella liberazione radiofonica. In Mali, alcuni operatori radiofonici trasmettevano clandestinamente prima della legge sulla liberalizzazione dei media. Oggi il paesaggio radiofonico del Mali conta più di 100 radio private associative o comunitarie e il pluralismo radiofonico è una realtà in tutta la regione, ad eccezione della Guinea Conakry (Maoundonodji, Berqué 2005: 13). Mentre in Africa Centrale il fenomeno radiofonico non ha avuto le stesse proporzioni come nei paesi dell'Ovest. Tra i nove paesi che costituiscono l'Africa Centrale, solo alcune nazioni, come il Camerun, Congo Kinshassa o il Gabon hanno avuto un'espansione rapida della radio. Nel 2004, si contavano in tutta la regione più di 200 radio private tra comunitarie, associative, religiose e commerciali (Maoundonodji, Berqué 2005: 13).
Per quello che riguarda la televisione, solo nel 2000 molti paesi africani hanno legiferato in merito alla creazione delle imprese televisive private, seguendo così il processo di liberalizzazione dei mass media iniziato negli anni '90. La televisione è oggi un mezzo fondamentale nel processo della democratizzazione. Le varie tipologie televisive che esistono in Africa sono: la televisione terrestre, satellitare e via cavo. Le trasmissioni in molti paesi sono realizzate con il sistema analogico. Il medium rimane tuttora il mezzo di comunicazione più persuasivo, vista l'influenza che esercita con le immagini sui comportamenti degli individui. Il suo ruolo deve essere soprattutto educativo e non soltanto orientato al divertimento. Molti sono i problemi che sorgono con l'avvento della televisione in Africa: le infrastrutture televisive sono costosissime e ciò spiega perché, l'installazione delle antenne di trasmissione, non coprono in molti paesi dell'Africa tutto il territorio; poi vi sono i problemi amministrativi legati all'attribuzione delle frequenze televisive. Per di più, non è facile per molte famiglie povere africane, acquistare un posto televisore. Ci sono ugualmente problemi legati alle frequenti interruzioni di luce. Poi c'è un altro problema che limita l'accessibilità ai prodotti televisivi: l'analfabetismo, che è un fenomeno diffusissimo soprattutto in molte zone rurali. Durante l'assise del Forum Panafricano sulle politiche educative tenutosi a Dakar nel novembre 2012, Mafakha Touré, ministro senegalese dell'educazione rivelava che in Africa, circa 29 milioni di bambini in età di studiare non vanno alla scuola e 129 milioni di giovani e adulti non sanno leggere né scrivere. Tutto ciò spiega perché la diffusione e l'accessibilità dell'informazione in generale, rimane tuttora un problema nel continente. Ciò nonostante, la televisione rimane il mezzo più diffuso nelle grandi città africane. La Repubblica Sudafricana si presenta come il leader nel settore e la televisione M-Net è senza dubbio tra le più preformanti in tutta l'Africa con i suoi programmi (musica, sport, news ecc) distribuiti in pay-per- view in 37 paesi africani dal satellite DSTV della società MultiChoice (Tudesq 2001: 208). Un altro paese anglofono come la Nigeria dispone di numerose televisioni private, con un settore pubblico che è tra i gruppi mediali più potenti dell'Africa. Infatti, la Nigerian Television Authority (NTA), raggruppa più di 100 televisioni pubbliche regionali, dispone ugualmente di un canale internazionale. Le reti del gruppo NTA sono delle televisioni generaliste che trasmettono dei programmi in inglese, ma anche in lingue locali (Ibo, édo, yoruba, mambila, ecc). Altri paesi anglofoni acquistano o trasmettono sempre di meno i programmi venuti dall'estero, hanno sviluppato una politica per la produzione locale, dove i loro prodotti sono anche distribuiti in altri paesi della regione. Possiamo citare per esempio, il caso del Kenya con la televisione del gruppo Nation, la Tanzania con il gruppo IPP, ma anche di alcune televisioni nigeriane specializzate nelle produzione dei telefilm che sono molto apprezzati nel continente. Nei paesi francofoni, la televisione pubblica è dominante e il settore privato vede affiorare sul mercato audiovisivo numerose reti straniere che sono captate facilmente con le antenne satellitari o via cavo. Le principali televisioni internazionali satellitari seguite in Africa sono: CNN che trasmette in Africa dal 1990; Canal Plus Horizons, che è una televisione Pay-per-view presente nel continente dal 1991; poi abbiamo TV5, la televisione internazionale francofona che trasmette in Africa dal 1992. Inoltre, c'è una televisione dedicata interamente al continente dal nome Africa24, che ha iniziato da Parigi nel 2009 a trasmettere i suoi programmi in Africa. L'obiettivo di questa emittente è di fare conoscere l'Africa attraverso gli africani. Un'altra emittente televisiva basata sempre a Parigi è 3ATelesud, che trasmette dal 1998 anche i suoi programmi con destinazione l'Africa. Al fianco alle televisioni pubbliche, commerciali, tematiche o pay, ci sono le televisioni confessionali. Fenomeno che si sta diffondendo in molti paesi africani, soprattutto in Congo Kinshassa, ma anche in Nigeria. Infatti, in questi due paesi, alcune chiese locali ben collocate in tutto il territorio nazionale ed anche all'estero, dispongono di emittenti televisive per evangelizzare i fedeli. La Chiesa nigeriana Christ Embassy si vanta di essere la prima Chiesa Cristiana d'Africa ad avere una rete televisiva (Fourchard, Mary, Otayek 2004 : 470).
Per quello che riguarda la stampa scritta, bisogna sottolineare che la sua liberalizzazione è stata intensa nel continente. Il suo sviluppo è stato eterogeneo. I paesi francofoni hanno visto una forte espansione dei giornali dopo la legge sulla liberazione liberalizzazione, poi molti sono spariti per colpa di una forte concorrenza o perché le restrizioni sui media impedivano il buon svolgimento del processo di liberalizzazione. Tuttavia, in alcune capitali dei paesi francofoni, molte sono le testate giornalistiche (private o pubbliche) esistenti. I quotidiani sono numerosi a Ougadougou, Dakar (più di una dozzina), Cotonou, Abidjan. Nonostante questi casi, sono rarissimi i quotidiani francofoni che fanno tirature superiori alle 50 mila copie, come il quotidiano ivoriano "Fraternité-matin", mentre in altre città francofone, sono più presenti i settimanali a Yaoundé, Douala, Bafoussam, Bamenda, Niamey o Antananarivo (Turdesk 2001: 208). La Stampa è più sviluppata nei paesi anglofoni, dove alcuni quotidiani come il Daily Times a Lagos in Nigeria fa una tiratura di circa 400.000 copie, il Sunday Times a Nairobi in Kenya arriva fino a 500.000 copie, i quotidiani sudafricani Sowetan e City press fanno delle tirature di 200.000 copie ciascuna. Sempre in Africa Australe, ci sono alcuni giornali che sono pubblicati in lingue locali come il magazine sudafricano Huisgenoot che fa una tiratura di circa 430.000 in lingua afrikaans, mentre a Durban il bisettimanale Ilanga fa una tiratura di circa 110.000 in lingue Zoulou e Xhosa, in Kenya i quotidiani Nipashe e Majira fanno una tiratura rispettivamente di 40.000 e 30.000 copie in lingue Swahili ( Tudesq 2001: 208).
In Africa, la stampa in zona rurale rimane ancora un settore meno esplorato, nonostante vi sia una forte concentrazione di popolazione in quelle zone. Il tasso di analfabetismo molto alto in quelle aree, non facilita la diffusione dei grandi quotidiani urbani. Tuttavia alcune strutture (associazioni, chiese, ecc.) cercano di incoraggiare lo sviluppo della stampa rurale e ciò nell'obiettivo di favorire l'alfabetismo o sensibilizzare le popolazioni rurali con notizie utili alle loro vite quotidiane (educazione, sanità, metodi di conservazione dei prodotti agricoli, ecc). Purtroppo molti giornali smettono di uscire per problemi logistici, di guadagni economici o per mancanza di finanziamenti, come i casi dell'Echo rurale, il "Guide du Vulgarisateur agricole", "Ekolo", tutti dei giornali rurali del Congo Brazzaville e scomparsi purtroppo dalle edicole da anni ( Makosso Kibaya 2006 : 129). Questo non è un caso isolato, ma un fatto ricorrente in molti paesi africani. Tuttavia, uno dei pochi casi di successo in Africa per la stampa rurale arriva del Camerun, dove il mensile "La voix du Paysan" esce dal 1987 e le sue pubblicazioni arrivano fino al Ciad. Le tirature del mensile sono di 5000 copie per la lingua inglese, 20.000 copie in francese e 10.000 copie in arabo. Il lavoro svolto finora da "La voix du Paysan" le è valso il riconoscimento da parte degli organismi internazionali legati allo sviluppo agricolo, nonché dei professionisti dei media agricoli. Inoltre, la particolarità di questo mensile è il fatto che non è una testata pubblica, ma un giornale gestito da una ONG. L'esempio del Camerun dimostra che i giornali rurali non sono un'utopia per l'Africa, ma che servono soluzioni politiche concrete da parte dei governanti per favorire un ambiente sicuro allo sviluppo dei giornali rurali ( Makosso Kibaya 2006 : 129).
Per quello che riguarda il caso di Internet in Africa, bisogna sottolineare che la grande rete sociale è stata lanciata ufficialmente nel mondo a partire dagli Stati Uniti il 11 gennaio 1993 da Al Gore. Internet si è sviluppato prima di tutto in America del nord, poi nei paesi industrializzati e, infine, ha raggiunto i paesi in via di sviluppo (Brunet, Tiemtoré, Vettraino-Soulard 2002 : 2). Lo sviluppo di Internet in Africa si materializza in due contesti diametralmente opposti. In un primo momento, si vede un'Africa consumatrice con una dipendenza economica e culturale dai paesi industrializzati e fornitori di tecnologie; poi, in un secondo momento, si vede che Internet costituisce un mezzo di integrazione regionale per i paesi africani, nonché uno strumento fondamentale per comunicare con il resto del mondo tramite gli scambi di email, la diffusione in rete dei prodotti locali, gli scambi tra i ricercatori, la formazione a distanza ecc. Tutti elementi che possono contribuire allo sviluppo dell'Africa ( Daouda 1999: 6). Da menzionare che questo scenario di scambi, dove tutti possono mandare o ricevere messaggi, nonché di sapere nello stesso tempo cosa sta succedendo in ogni angolo del mondo, rappresenta molto bene l'idea del villaggio globale di Marshall McLuhan.
Nel continente africano, Internet è iniziato dal 1996 con il programma"Leland Initiative"5, dal nome del senatore statunitense Leland, dove 20 paesi del continente hanno beneficiato di questa cooperazione economica e tecnica, per essere collegati alla grande rete. Altri paesi beneficeranno del sostegno di qualche organismo internazionale come l'Istituto delle Nazioni Unite per la Formazione e la Ricerca (UNITAR)6 dell'ONU (Ba 2003: 35). Nel 1995, l'agenzia della Francofonia installò il primo server Internet dell'organizzazione. Questo progetto fu il tema centrale del summit della Francofonia a Cotonou (Benin) sempre nello stesso anno. Fu così che alcuni paesi del continente beneficiarono della loro presenza sulla rete. In seguito alla conferenza, il Canada decise di installare Internet in dieci paesi della Francofonia con il progetto @afrinet7. Fu richiesta per la circostanza, l'impegno dei capi di Stato delle nazioni beneficiarie di favorire e promuovere l'installazione di queste nuove tecnologie dell'informazione. Questo progetto fu assegnato alla società Tecsult Eduplus e comportava gli aspetti seguenti: fornire i mezzi tecnici (server, logistici, ecc) per l'accesso a Internet, sostenere lo sviluppo e la richiesta per il servizio Internet, ma anche la sensibilizzazione e la formazione degli operatori del settore, sostenere la commercializzazione e la viabilità finanziaria del servizio Internet. Questo processo ha permesso l'installazione della rete Internet in molti paesi dell'Africa (Ba 2003).
Nel 2003, il continente africano aveva una sola rete di fibra ottica transatlantica fino al Cap (Sudafrica); poi dal Dakar al Capo Verde con il cavo SAT2 ( istallato nel 1992) e con Atlantis2 che collegava Dakar fino al Brasile. In quel periodo, l'insufficienza dei collegamenti dei paesi africani su Internet con le fibre ottiche favorì il ruolo predominante dei satelliti (Inmarsat, Intelsat, New Skies et Panamsat) nella fornitura della rete Internet (Cheneau-Loquay 2010: 5). Successivamente un altro cavo sottomarino, il SAT3, è stato installato lungo i 14.000 chilometri della costa occidentale. Dal 2002-2003, SAT3 fornisce un accesso ad alta velocità a internet in Sudafrica, Angola, Gabon, Camerun, Nigeria, Benin, Ghana, Costa - d'Avorio, Senegal e fino al Portogallo (Cheneau-Loquay 2010: 5) . Dal 2009 il cavo a fibra ottica Eastern Africa Submarine Cable System (EASSY), lungo circa 10.000 chilometri, alimenta l'Africa dell'Est. Altri grandi progetti in fibre ottiche dovrebbero essere realizzate entro un paio di anni. Queste realizzazioni necessitano ingenti somme di denaro. Più di 1,95 miliardi di euro è la somma necessaria che sarà finanziata dagli operatori di Telecom, tra cui un consorzio guidato da France Télécom Orange, poi ci saranno alcune banche nigeriane e degli investitori sudafricani. (Checola 2011). Nonostante questi investimenti per sviluppare la rete Internet nel continente, l'Africa è ancora molto in ritardo nell'utilizzo di Internet. Secondo l'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT), nel 2010 solo 77 milioni di africani, circa il 9,6% della popolazione ha avuto accesso ad Internet. Nonostante questi bassi numeri, c'è comunque una crescita degli internauti: basta guardare i numeri del 2007 dove ci sono stati solo 27 milioni di utenti. A livello mondiale, l'Africa non rappresenta nemmeno un decimo degli internauti dell'Asia che ha circa 755 milioni tra cui 450 milioni di cinesi; l'America ha 514 milioni e l'Europa 401 milioni (Checola 2011). Nonostante tutto ciò, bisogna sottolineare che molti sono i media africani (giornali, radio, Tv) che sono in rete e che forniscono delle informazioni utili soprattutto agli africani della diaspora. Molti sono i gruppi internazionali e nazionali che operano sul mercato africano: Orange, il gigante francese è presente in Camerun, Costa d'Avorio, Madagascar, Botswana; Vivendi, un altro gigante francese delle telecomunicazioni è presente in Mali, Gabon, Marocco, poi il gruppo britannico Vodafon e il gruppo indiano Barthi sono anche loro presenti sul mercato africano. Solo tre gruppi di telecomunicazioni africani competono sul mercato africano con grandi gruppi transnazionali. Questi operatori africani sono: il gruppo sudafricano MTN, il gruppo nigeriano Globacom e il gruppo egiziano Orascom (Checola 2011). Nonostante le difficoltà di Internet fisso ad imporsi, la rete di telefonia mobile di terza generazione (telefonia 3G) sta avendo un notevole successo. Gli ultimi dati statistici dell'UIT (2010), sottolineano che su 400 milioni di abbonati che hanno usato nel mondo il servizio Internet ad alta velocità su mobile, circa 29 milioni di abbonati si trovavano in Africa. Un numero in crescita considerando i soli 7 milioni di abbonati nel 2008.
Internet non è più una tecnologia di difficile accesso per molti africani. I progressi sono stati fatti e la rete appassiona sempre di più gli africani, visti i numeri di abbonati che crescono in continuazione. Tuttavia il settore presenta qualche anomalia e perciò i governi di molti paesi africani dovrebbero avviare una vera politica di liberalizzazione per permettere l'arrivo di nuovi operatori sul mercato. Questa operazione favorirebbe una concorrenza tra gli operatori e ciò al vantaggio degli utenti che potranno beneficiare di un migliore servizio.
La liberalizzazione dei mass media ha avuto in alcuni contesti, un ruolo rilevante nel processo democratico e d'integrazione sociale, come per esempio l'incoraggiamento del dialogo tra il potere e l'opposizione nella realizzazione delle istituzioni democratiche, nell'insegnamento di una cultura democratica nel paese (pluralismo, Stato di diritto ecc), nella valorizzazione delle lingue e delle culture locali, nella lotta contro l'analfabetismo, ecc. Inoltre sono i mass media interattivi che hanno dato voce a coloro che prima non l'avevano come le donne, giovani, gruppo etnico di minoranza ecc ( Maoundonodji, Berqué 2005: 19). Per parafrasare il ruolo dei media in Africa, lo specialista André-Jean Tudesq sottolinea: "il contribuito principale della stampa nella democratizzazione è di svelare i problemi della società africana, favorendo la trasparenza dell'informazione, primi passi per un regime liberale. Il primo contribuito dei media (...) fu la denuncia di ciò che non andava in politica, ma anche nell'economia sociale, costringendo a questo punto, i mass media governativi di parlarne. La trasparenza delle attività pubbliche è diventata una condizione della democrazia e che solo la libertà di stampa e il pluralismo dei media potevano garantire"8. Malgrado questo impegno dei mass media in generale, la stampa soffre ancora di misure restrittive imposte dalle autorità. Jean André Tudesq classifica i paesi africani secondo i differenti livelli accordati alla libertà di stampa. Al primo posto ci sono i "paesi dominanti" come la Repubblica Sudafricana, poi in una certa misura ci sono anche il Senegal e il Kenya in questo livello. Altri paesi hanno delle potenzialità per fare parte dei dominanti, come la Nigeria e la Costa D'avorio; poi ci sono "i paesi emergenti" come il Camerun, Gabon, Tanzania, Ghana, Uganda; poi ci sono i "paesi in crisi" come l'Angola, il Congo RDC, Liberia, Sierra Leone, Ciad, Repubblica Centrafricana; ed infine ci sono i paesi dove i media sono sotto controllo: Guinea, Malawi, Ruanda, Zimbabwe, Swaziland (Tudesq 2001: 208).
La mediatizzazione dei paesi africani non ha soltanto portato dei valori positivi, come abbiamo visto precedentemente, ma anche soprattutto dei valori negativi che influenzano tuttora la società africana. I mass media sono dei mezzi che agiscono con la forza della persuasione sugli individui. Tali effetti sono più rilevabili su coloro che non hanno una capacità di valutazione, di critica o di selezione delle notizie. Il continente si presenta come il terreno ideale per tutte le teorie sugli effetti mediali. Il contesto africano è particolare e gli effetti della colonizzazione sono ancora visibili nella mentalità collettiva di alcuni africani che considerano tuttora "l'europeo" come un essere superiore nonché un modello da seguire (Blé 2000). La televisione si presenta come il mezzo ideale di trasmissione di questi valori che si materializzano con l'alienazione culturale. Da questa osservazione, il cineasta senegalese Sembène Ousmane illustra bene la situazione dichiarando: "durante la colonizzazione, la terra era occupata, ma l'uomo aveva comunque lo spirito libero, ma con la televisione c'è l'occupazione mentale. All'interno della casa, si introduce un'altra cultura, un modo diverso di vedere le cose e che finalmente sancisce la fine del modello culturale introdotto dai nostri antenati"9. De Ouagadougou, Abidjan, Brazzaville, Dakar, molti genitori chiamano i loro figli Ellen, Bobby, Pamela, in ricordo al telefilm "Dallas" (Blé 2000). In molti quartieri delle città africane, alcuni locali si chiamano semplicemente " Sue Ellen" oppure "Dallas Club" ecc. Molti telespettatori si identificano con gli eroi dei telefilm (Blé 2000). Il messaggio sembra passare molto bene tra il pubblico che riesce a decodificare tutti i messaggi di alienazione culturale trasmessi. Una simbiosi che omogeneizza bene il rapporto tra il consumatore dei prodotti mediali e il fornitore dei programmi. L'obiettivo voluto e desiderato definisce il rapporto che esiste tra il telespettatore e il prodotto mediale stesso: un solo sguardo ed un solo obiettivo comune (alienazione culturale). Il rapporto si traduce con il fenomeno di partecipazione (Piemme 1975). Questi prodotti mediali provengono dal Brasile, Cina, Messico, India, Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Germania ecc. Il fenomeno di alienazione culturale è diffusissimo e non solo si limita ai nomi delle persone o dei locali, ma interessa anche il linguaggio, il modo di vestirsi, il modo di essere, di mangiare, di ragionare ecc. La situazione è talmente grave che stiamo assistendo ad una sostituzione progressiva, in molti aspetti della cultura africana con quella occidentale. Il fenomeno è più diffuso nelle grandi città che si stano europeizzando sempre di più e meno nelle zone rurali. Da menzionare che qualche volta sono anche gli stessi giornalisti locali, "immersi" da anni nella cultura occidentale, che contribuiscono a questa alienazione culturale. Tale situazione provoca in molte zone, soprattutto rurali, lo shock della civilizzazione come sintetizza Hervé Bourges: "in Africa, l'informatore ha l'abitudine di rivolgersi al pubblico rurale con tutto il peso della sua cultura occidentale e ciò provoca in molti casi polemiche frequenti con i contadini"10.
Se in molti paesi occidentali i mass media hanno giocato un ruolo rilevante nello sviluppo dei paesi, la cosa sembra svolgersi lentamente nel continente. Comunque, molti progressi sono stati fatti finora, anche se ci vuole una reale volontà politica in tutto questo processo. Solo così, i mass media potranno essere veramente determinanti nella società africana dove la mediatizzazione è ormai un valore più aggiunto dello sviluppo, come sottolinea Jean André Tudesq: "il sistema di informazione di una società indica il suo livello di sviluppo, ma anche i caratteri del suo cambiamento"11.

Honoré Tagne Tegno è giornalista, scrittore, documentarista e dottore di ricerca in linguaggio politico e comunicazione (Università la Sapienza di Roma).

Riferimenti Bibliografici

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Tudesq A.J (2002), L'Afrique parle, l'Afrique écoute: les radios en Afrique subsaharienne, Karthala.
Crousse B, A Jon, L Réjean (1990), Evaluation Des Politiques Scientifiques Et Technologiques : Expériences nationales. Les Presses de l'université de Laval.
Maoundonodji G, P Berqué (2005), Afrique centrale: Cadres juridiques et pratiques du pluralisme radiophonique. Institut Panos Paris & Karthala
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Silla M (2008), Le pluralisme télévisuel en Afrique de l'Ouest: Etats des lieux. Institut Panos Afrique de l'Ouest.
Chislandi P (2007), Oltre il Multimedia, FrancoAngeli.
Duboux R (1996), Communication et langages, Volume 110. Numéro 110.
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Fouda V.S (2009) Les medias face à l'ouverture démocratique en Afrique noire. doute et certitudes. Cahiers du journalisme No 19
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Tudesq J.A (2001), Médias et disparités géographiques en Afrique subsaharienne. Historiens & Geographes. N°. 379.
Fourchard L, A Mary, R Otayek (2004), Entreprises religieuses transnationales en Afrique de l'Ouest. Karthala.
Makosso Kibava J.F (2006), L'information stratégique agricole en Afrique: L'échec de la vulgarisation. L'harmattan.
Brunet J.P, O Tiemtoré, C-M Vettraino-Soulard (2002), Les enjeux éthiques d'Internet en Afrique de l'Ouest. Vers un modèle éthique d'intégration. Les Presses de l'Université de Laval
Daouda M (1999), Les enjeux d'Internet en Afrique, Africultures No 23
Ba A. (2003), Internet Cyberespace et usages en Afrique, L'Harmattan. Année 2003. p. 35
Cheneau-Loquay A (2010), La révolution des TIC : du Téléphone à Internet. Bulletin de l'association des Géographes Français.
Checola L.(2011), Internet en Afrique: la fin du désert numérique. Le Monde.fr.
Piemme J M (1975), La propagande inavouée. Union Générale d'Editions.

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NOTE

1  Grimal  H  (1985), La décolonisation  de 1919 à nous jours, Editions Complete, p. 6 

2 “Le Guide du Dahomey » del  18 dicembre 1920 sottolineava che  : “il  Dahomey  terra francese (…) aspetta con dignità che la Francia generosa stabilisce la giustizia in Dahomey”. Mentre un altro giornale : “La Voix du Dahomey” del 18 febbraio del 1932 menzionava: “ la rivendicazione degli ‘evolués’  per un migliore integrazione nella colonia e la loro volontà di lavorare per la causa francese”.

3 Crousse B, A Jon, L Réjean (1990), Evaluation Des Politiques Scientifiques Et Technologiques : Expériences nationales. Les Presses de l’université de Laval, p.115

4 Dioh T, Histoire de la télévision  en Afrique noire francophone, des origines à nos jours. Karthala. Année 2009

5 Leland Initiative è stato un programma quinquennale del governo americano con un budget di 15 milioni di dollari. Il suo obiettivo è stato quello di collegare dal 1996 alla rete Internet, almeno 20 paesi africani.

6 L’UNITAR è l’Istituto delle Nazioni Unite per la formazione e la Ricerca e fu creato nel 1965. Il progetto dell’UNITAR destinato per la formazione dei paesi in via di sviluppo alle conoscenze tecnologiche innovative fu chiamato programma “Società dell’Informazione e dello sviluppo”. Inoltre, L’UNITAR può partecipare alle iniziative legate alla pace, la diplomazia o la sicurezza

7 Questi sono i  10 paesi beneficiari del progetto @afrinet: Camerun, Benin, Burkina Faso, Madagascar, Mauritania,  Haiti, Mauritius. Costa d’Avorio, Mali, Senegal.

8 De la Brosse  R (2002) ,  Quelques pistes de réflexion sur le rôle des médias dans les transitions démocratiques  Les cahiers du journalisme No 10 . p. 234

9 Tudesq J A (1992),  l’Afrique Noire et ses télévisions ». Editions Anthropos INA, Paris 1992. pp. 155 - 156

10 Bourges H (1978), Décoloniser l’information. Editions Cana.

11 Tudesq J.A. (2002). L’Afrique parle, l’Afrique écoute: les radios en Afrique subsaharienne. Karthala.  p  6

 

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