(ASI) Se l'Isis chiama, i Talebani rispondono prontamente. Il weekend della preghiera e delle messe nel Pakistan cristiano, lontano dalle capitali cattoliche occidentali, ha vissuto un'altra domenica di sangue.
Quindici morti certi, almeno settanta feriti, tra cui molti in pericolo di vita, il terrore istantaneo e le conseguenti rappresaglie. Due kamikaze deflagrati con i loro esplosivi all'ingresso delle basiliche di Lahore, città nel cuore del Punjab, poi l'assalto e la rabbia dei cristiani che dopo aver identificato i complici degli attentatori, spontaneamente li linciano e li fanno ardere vivi nella pubblica piazza. La reazione inesorabile si espande a macchia d'olio, da Rawalpindi alla capitale Islamabad, da Karachi ai palazzi del potere del primo ministro Nawaz Sharif.
Il caos nel Paese per l'ennesimo attentato rivendicato dai Talebani, mentre gli agenti della sicurezza stavano pranzando e vedendo la televisione. Intanto le vittime sono sempre le stesse, piccole comunità di cristiani all'interno di vastissime comunità musulmane. Gli attentati sono proporzionalmente aumentati, la sorveglianza inversamente diminuita e la corruzione del potere appare dilagante.
Il Vaticano stesso ha scelto ormai di aprire all'uso legittimo della forza a difesa delle proprie minoranze. Il Papa nell'Angelus di ieri ha richiamato l'importanza del confronto e perfino la necessità di reagire con interventi mirati al fine di far cessare le persecuzioni. L'arcivescovo Silvano Maria Tomasi ai microfoni della Radio Vaticana sottolinea: "Intervenire è compito della comunità internazionale. Per salvare il salvabile è necessario difendersi e l'aggressore va necessariamente fermato." La Santa Sede rilascia così forti dichiarazioni in difesa delle minoranze cristiane del mondo, ma è evidente come quella pakistana, senza considerare quelle nigeriane e siriane, soffra sviluppi politici e conflitti etnici ormai fuori controllo.
L'Isis e Al Qaeda si combattono sul fronte terroristico nel folle merito di chi uccide più "infedeli". Molte campane in Europa e in Occidente, non solo quelle che ormai troppo spesso suonano per i propri morti, sono stufe dei dialoghi moderati. L'escalation della violenza è rischiosissima e rappresenterebbe un danno ben più grave anche per le comunità musulmane.
Il sogno di Benazir Bhutto, la donna che più di ogni altra in Pakistan aveva cercato la riconciliazione sociale e religiosa, sembra infrangersi come le facciate delle basiliche devastate dai kamikaze di Lahore. Casualmente, dalla sua morte nel 2007, le cose sono solo peggiorate, purtroppo dietro la sottile e indifferente connivenza della politica di Islamabad.
Lorenzo Nicolao - Agenzia Stampa Italia