(ASI) Continuo questa serie di articoli sulle opere fatte dal Fascismo con la seconda parte, si spera di fare cosa gradita a chi legge e, solo alla fine ognuno si faccia un’idea lontana dai pregiudizi.
Tutela lavoro Donne e Fanciulli:
Legge promulgata il 26.04.1923 con Regio Decreto n°653
E’ una delle prime leggi sociali del Fascismo: nasce solo sei mesi dopo la Marcia su Roma del 28 Ottobre 1922, ed è chiaramente indicatrice di quella che sarà la politica sociale degli anni futuri del regime. Negli anni e nei secoli precedenti, né la Chiesa, né la borghesia, né i socialisti ed i sindacati erano riusciti a migliorare ed a rendere umana la condizione delle donne e dei fanciulli, che erano costretti a lavorare nelle fabbriche, nelle miniere o come braccianti nelle campagne. Le lotte e gli scioperi promessi dai socialisti, pur con le migliori intenzioni, non erano riusciti a modificarne la drammatica situazione di lavoro. Le donne subivano orari massacranti, spesso in condizioni igieniche disastrose, anche quando erano in gravidanza e, specie per questa causa, potevano essere licenziate ad arbitrio dei padroni. I fanciulli erano avviati al lavoro in età precoce, otto-dieci anni, in condizioni spesso molto disagiate; miniere, concerie, filande, con orari durissimi ed erano naturalmente privati di qualsiasi possibilità d’istruzione che andasse oltre il leggere e scrivere.
Con questa legge viene elevata a quattordici anni l’età minima per l’avviamento al lavoro dei giovani, vengono stabilite le condizioni dell’ambiente di lavoro cui i giovani possono accedere, viene stabilito per loro un orario massimo di otto ore giornaliere e viene stabilito il ruolo dell’apprendistato. Per le donne, si stabilisce il tipo di lavoro cui possono essere addette, la non licenziabilità in caso di gravidanza, un periodo di attesa per la maternità e vengono migliorate le condizioni dell’ambiente di lavoro. Una nota: già da decenni, sotto l’occhio vigile e complice della Repubblica nata dalla Resistenza, della Chiesa Cattolica e dei partiti democratici; che data la mancanza di volontà politica, non hanno mai svolto azioni efficaci di denuncia, né hanno promosso azioni risanatrici serie, è ripreso in grande stile, specie nel Mezzogiorno, lo sfruttamento del lavoro minorile e la semischiavitù del caporalato e del lavoro nero per le donne. Molte le chiacchiere e le dichiarazioni d’intenti, molte le promesse demagogiche e molte le proposte che, in alcuni casi, sono anche sfociate in leggi, queste però, nella pratica, hanno avuto l’efficacia delle famose gride manzoniane, che promettevano pene severissime per i contravventori, ma all’atto pratico restavano quello che erano: proclami inutili, inascoltati e velleitari.
Assicurazione Invalidità e Vecchiaia
Legge promulgata il 30.12.1923 con Regio Decreto n°3184
La legge decreta il diritto alla pensione d’invalidità e vecchiaia tramite un’assicurazione obbligatoria, al cui pagamento concorrono sia i lavoratori sia i datori di lavoro. Il lavoro, componente fondamentale del nuovo Stato Fascista, è un dovere per ogni cittadino, ma anche lo riscatta da quella posizione di servitù in cui lo Stato liberale aveva messo il lavoratore, per trarlo in una posizione di libertà e di dignità che lo investe in quanto uomo e non solo in quanto lavoratore e per questo gli assicura la certezza del sostentamento alla fine di una carriera di lavoro. Purtroppo un miraggio oggigiorno queste assicurazioni sul lavoro, in quanto i burocrati politicanti hanno smantellato quanto di buono fatto dal fascismo sul fronte lavoro e non solo. Per questa legge vale ciò che osservato a proposito di quella dell’assistenza ospedaliera per i poveri, in quanto anche in questo caso si tratta di un provvedimento tampone, realizzato ad un anno dalla Marcia su Roma, che serve a sanare una situazione di grande disagio e che sarà poi perfezionato con la legge istitutiva dell’INPS.
Acquedotto Pugliese, del Monferrato, del Perugino, del Nisseno e del Velletrano
In una economia ancora fortemente agricola, era di vitale importanza la disponibilità di acqua a sufficienza per irrigare le culture e per dare da bere alle persone ed agli animali. In modo particolare nel Meridione, dove la sete era un retaggio atavico che causava anche problemi igienico-sanitari, ma anche in alcune zone d’Italia centrale e settentrionale, questo era un problema sentito che mai nessun governo, prima e dopo l’Unità d’Italia, era riuscito a risolvere, ad eccezione delle canalizzazioni venete della Serenissima, di quelle lombarde degli Sforza e di quelle piemontesi iniziate da Cavour, che pur tuttavia non erano acquedotti, ma solo vie d’acqua e strumenti per l’irrigazione, in zone dove l’acqua non mancava ma doveva solamente essere meglio distribuita. La conseguenza di tutto ciò era, in molte zone, quella di un’agricoltura povera che riusciva a malapena a sfamare le popolazioni e di un allevamento di bestiame misero e scarso come scarse erano le risorse idriche disponibili.
L’Acquedotto Pugliese si alimenta, con ardito progetto, sviluppando una serie di dighe, condotti, bacini e centrali e migliaia di chilometri di tubazioni, smistando a tutto il Tavoliere e a tutta la Puglia acqua sufficiente all’allevamento ed all’uso alimentare, trasformando l’economia della regione e portando benessere e dignità laddove era solo miseria e umiliazione. I primi progetti risalgono al 1904, quando l’Ente Autonomo Acquedotti Pugliesi ne affidò l’esecuzione alla società Ligure del senatore Mambrini, in seguito alla legge di finanziamento fatta approvare dal Ministro dei Lavori Pubblici On. Balenzano. I lavori avrebbero dovuto essere terminati nel 1920, ma nel 1919 solo 56 comuni su 260 avevano avuto l’acqua, mentre le opere intraprese erano state abbandonate e incomplete e deperivano, come spesso accade anche oggi. Nel 1923, sotto il governo Mussolini, l’Ente fu commissariato e passò alla gestione straordinaria, con la nomina a commissario dell’ing. Gaetano Postiglione e del direttore alle costruzioni ing. Manfredonia; improvvisamente i lavori accelerarono e furono superate tutte le difficoltà che sino ad allora avevano bloccato i lavori, che furono portati a termine con successo nel 1939. L’Acquedotto Pugliese è il più grande acquedotto del mondo: vanta un totale complessivo di opere di circa undicimila chilometri con una portata media di 4.000 litri al secondo. I Comuni serviti sono 444. Con precisi progetti voluti dal regime, analoga operazione viene intrapresa e portata a termine nella vasta zona piemontese del Monferrato, territorio collinare da sempre tormentato da una scarsità endemica di acqua, nella provincia di Perugia e nelle zone del Nisseno e del Velletrano.
Riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere:
RDL n°1955 del 10.09.1923
Prima del Fascismo, nel mondo del lavoro non vigeva alcuna regolamentazione legislativa che stabilisse la durata della giornata lavorativa, il pagamento degli straordinari, la particolare situazione dei giovani al loro primo approccio con il mondo del lavoro per imparare un mestiere; questi ultimi venivano regolarmente sfruttati per quanto concerneva orari e salari. In pratica, quasi tutto era lasciato all’arbitrio del datore di lavoro, che spesso, con il ricatto psicologico della disoccupazione, costringeva i lavoratori a orari massacranti e ad ambienti di lavori malsani e insicuri. Nessuno, tranne i sindacati socialisti, che peraltro avevano ottenuto piccole conquiste solo in casi particolari e non sul piano nazionale, era riuscito a modificare l’essenza di un rapporto di lavoro tanto inumano ed incivile. Tutti sanno poi, dai romanzi dell’epoca, come anche i bambini dai sette ai dieci anni fossero costretti a lavorare nelle filande, nelle miniere e negli opifici, con gravissimo danno della salute fisica e psichica. Bisogna peraltro riconoscere che, mentre i sindacati socialisti facevano un’opera di lotta da una posizione non solo al di fuori del potere, ma ad esso contrapposta, il Fascismo era al potere.
L’originalità stava nel fatto che il potere, anziché contrapporre le classi, viste dal socialismo come cause immutabili, proponeva sinergie tra posizioni sociali dinamiche ed usava naturalmente la sua autorità per creare le condizioni del cambiamento. Né lo Stato liberale, né le lotte del socialismo, né l’azione, per la verità molto blanda, della Chiesa, che preferiva non inimicarsi la ricca borghesia e quindi invitava, ad eccezione di pochi preti eroici, alla rassegnazione in questa valle di lacrime, erano riusciti a modificare tale situazione, inaccettabile per un Paese civile; d’altra parte ancora vediamo oggi in tutto il mondo che, laddove il capitalismo è senza controlli, all’estero come in Italia, è di nuovo ed ancora operante questo odioso sfruttamento dell’infanzia. La legge voluta da Mussolini, a meno di un anno dalla Marcia su Roma, elimina le più gravi forme di sfruttamento del lavoro, pone fine per sempre in Italia a questa situazione stabilendo regole precise sulla giornata lavorativa, che veniva stabilita in otto ore giornaliere e quarantotto settimanali, oltre alle si potevano fare, in casi eccezionali, un limitato numero di ore di lavoro straordinarie pagate in modo speciale e superiore a quelle normali. Ogni contratto di lavoro corporativo fisserà i dettagli validi per le peculiarità di ciascuna categoria; sarebbe utile consultarne qualcuno e confrontare le normative con i contratti collettivi sottoscritti dai sindacati dopo la guerra, prima di aprire bocca per denigrare senza cognizione di causa. L’istituzione dell’apprendistato fissava regole ben precise sui modi e sui tempi di approccio a un nuovo mestiere da parte dei giovani, sulla loro frequenza a corsi professionali pagati ed effettuati durante le ore lavorative.
L’età minima di 14 anni, al disotto della quale era illegittimo avviare un ragazzo al lavoro, era già stata stabilita per legge nell’Aprile del 1923, sei mesi dopo l’ascesa al potere di Mussolini.
Fonte: I Danni del Fascismo di Alessandro Mezzano
Davide Caluppi - Agenzia Stampa Italia (ASI)