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Alessandro Canassa Vigliani è un giovane scrittore ancora al di sotto dei 30 anni che sta facendo di tutto per emergere in questo difficile mondo. Lo abbiamo incontrato e ne è nata una interessante chiacchierata dove l’autore si è aperto raccontando i suoi sogni e tutto ciò che ruota intorno alla creazione di un suo romanzo. 

Lei, a meno di 30 anni, ha già pubblicato una raccolta di poesie e due romanzi. Dove vuole arrivare?

Vorrei andare verso una direzione. E quella direzione è poter essere considerato uno scrittore ed essere letto dal maggior numero di persone possibili. Il punto d’arrivo è quando non avrò più niente da scrivere e raccontare.

 Il suo primo romanzo, “Virus”, parla della degenerazione creata dalla televisione e dai reality show nella società. Un grido d’allarme verso quel mondo televisivo che con la scusa di produrre personaggi ci propina mostri a ritmo incessante?

È una critica al mondo della finzione. La televisione che vuol fare reality, quindi realtà, è una grande fiction. Un film. Un gioco di ruolo. L’unica cosa reale è la vita. Il resto è una copia di una copia. E questo è pericoloso. Perché aliena.

Lei sta lentamente provando a diventare uno scrittore di professione. Quando ha capito che quello che è un sogno per molte persone per lei potrebbe diventare la realtà?

Scrittore di professione lo si è quando si vive bene di ciò che si scrive. Poi non per forza si è scrittori. Conosco gente che fa bollire zucchine in televisione e scrive libri o analfabeti che giocano a calcio e poi scrivono e vendono. Quindi, per quanto mi riguarda, io intanto scrivo e cerco di districarmi in un mondo pieno di immondizia. Il mio sogno sarà realtà, per quanto mi riguarda, quando ciò che scrivo sarà appoggiato da una distribuzione nazionale. Senza nulla togliere a Pulp o Lupo Edizioni.

Dove trova l’ispirazione per i suoi romanzi?

Dai personaggi di tutti i giorni. C’è un mondo che mi scorre intorno dove anche la più monotona e noiosa delle persone può avere un suo ruolo in una storia. Quindi da un dialogo, una situazione, una notizia, un avvenimento può nascere una storia intera.

Quanto è importante il confronto con altri autori per migliorare e perfezionare le sue opere?

Si parla poco tra autori. Si è tutti un po’ invidiosi l’uno del successo dell’altro. Sono pochi quelli disposti a discutere e crescere. Perfeziono le mie opere dedicandomi all’editing di articoli, racconti, romanzi. Gli unici che mi aiutano a crescere sono Poldelmengo, Milani, Felli. Questi lo fanno direttamente. Poi ci sono quelli che leggo. Ho una buona media mensile di libri letti.

 Quali sono gli autori che più hanno influito sul suo stile e sulla sua formazione?

Cerco di leggere di tutto. Chi ha influito? Di sicuro Palahniuk, Carver ed Ellroy. Ma è difficile stabilirlo. Nel mio carnet di libri letti ho autori totalmente diversi tra di loro. Il mio stile, tuttavia, è ancora in evoluzione.

 Il suo ultimo romanzo parla degli ultras del Frosinone di cui anche lei ha fatto parte. E’ più un opera autobiografica o una voglia di riscoprire le proprie radici?

Non è autobiografica. Non potrebbe esserlo. Il vissuto del romanzo è ambientato negli anni ’80 e ’90. Io sono del 1981, non potrei per ragioni anagrafiche aver vissuto un periodo che parte del 1982. Il romanzo nasce intervistando i protagonisti di quegli anni. Da qui ha inizio la storia, i dialoghi, i personaggi. Direi quindi che dietro c’è la voglia di riscoprire e far riscoprire le radici del tifo frusinate. Far sapere a tutti, anche a quelli che ormai vivono del calcio reality fatto di pettegolezzi sui giocatori, di moduli e moviola, ciò che erano quegli anni in cui di sicuro il calcio era più sano e l’amicizia che legava le persone era vera. Raccontare, dunque, di quando il calcio era solo un pretesto per stare insieme. 

 Quanto sono importanti le presentazioni ed il contatto diretto con il pubblico per promuovere i suoi libri? Le case editrici con cui ha pubblicato l’hanno aiutata da questo punto di vista?

Ho fatto poche presentazioni ma importanti. Diciamo che con le piccole case editrici che non possono avere troppi fondi più ci si dà da fare e meglio è. L’editore può metterci più o meno impegno, ma bisogna sapersi vendere e si devono creare i presupposti per entrare nelle librerie e organizzare presentazioni. Mi sono mosso bene, posso ritenermi soddisfatto.

 

Che consiglio si sente di dare a chi sogna di fare lo scrittore?

Di evitare le case editrici a pagamento. Se si viene pubblicati gratuitamente bene, altrimenti di smetterla. Si vede che non è la strada da seguire. Non l’ha ordinato il dottore di scrivere libri. Meglio essere pubblicati da case editrici piccole che non promettono le stelle piuttosto che finire nelle grinfie di case editrici che non controllano lo scritto, chiedono soldi e non credono assolutamente nel lavoro del vostro manoscritto. Si può essere buoni lettori senza dover per forza scrivere.

 Adesso a cosa sta lavorando? Quando potremo leggerlo?

Lavoro al nuovo romanzo che spero di poter presentare a una casa editrice più grande per il 2011. In tal senso ci sono buoni contatti ma il romanzo è ancora lontano dalla conclusione. Ancora sto sperimentando la vita del personaggio. Sto vivendo quello che vivrà lui nella storia. Non mi va di scrivere di cose lontane da me. Sono ancora ai primi capitoli anche se la storia sarà più di ampio respiro rispetto al claustrofobico “VIRUS”.

 

Bibliografia: 2009 Il verso della militanza (raccolta di poesie) - Lupo edizioni

                             2010 Virus – Pulp edizioni

                               Sembra impossibile – Pulp edizioni

 

   

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