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  Umbria, la riforma regionale della sanità tra necessità e virtù.

(ASI) Parola d’ordine, mettere in rete tutte le risorse del sistema sanitario umbro e realizzare tutte le razionalizzazioni e riorganizzazioni possibili e necessarie dei servizi territoriali e di quelli ospedalieri per salvarne i livelli quantitativi e qualitativi, tra i migliori d’Italia. Lo hanno detto, con diverse accentuazioni, un po’ tutti gli intervenuti all’incontro di presentazione dei progetti di riforma sanitaria proposti dalla Giunta regionale nelle scorse settimane.

 Provvedimenti che hanno acceso il dibattito tra fautori ed oppositori, tra sostenitori della tesi che non si tratti affatto di una riforma strategica, ma solo di una riorganizzazione dettata dai tagli pesanti dei finanziamenti statali; e analisti convinti che stavolta la riforma abbia il coraggio di mettere mano ad alcuni punti deboli nevralgici del sistema umbro.

Per l’Assessore regionale alla Sanità, Franco Tomassoni, comunque la Giunta regionale un merito ce l’ha, visto che la riforma ora partorita è stata concepita nel 2011, quando ancora non c’era il governo Monti, ma ha anticipato diversi punti del decreto-legge appena emanato sulla spending review. La scommessa per Tomassoni era, ed è a maggior ragione ora, dopo il decreto, quella di saper “ottimizzare l’uso delle risorse senza contrarre il livello dei servizi”.

Facile a dirsi, meno a farsi, come si è incaricato di spiegare Emilio Duca, Direttore generale della Sanità regionale, che da tempo sta lavorando al progetto. Tutti i settori dei servizi sanitari, dagli ambulatori ai distretti agli ospedali, possono e devono essere razionalizzati senza mettere in discussione i capisaldi della qualità e dell’universalismo delle prestazioni. E razionalizzare vuol dire, in Umbria, essenzialmente essere capaci di mettere in rete tutte le risorse, da quelle professionali a quelle tecniche, perché ognuna di esse possa essere utilizzata in modo ottimale come risorsa dell’intero sistema.

Ad esempio, i punti nascita, su cui tanto si è discusso. Cifre alla mano, non servono tutti, e già in alcuni territori (come Assisi) è dimostrato che una consistente fetta della popolazione di riferimento non se ne serve. O, altro esempio, le cardiochirurgie: le due presenti in Umbria devono differenziare le loro specializzazioni per fare sistema e offrire una gamma di servizi più ampia e di qualità. Idem per il riordino del servizio del 118 o per i possibili accorpamenti delle attività di vaccinazione, tanto per andare a due esempi opposti per incidenza della spesa, ma entrambi significativi delle tante cose che si possono fare per migliorare l’efficienza del sistema. Inoltre, si possono attuare risparmi sulla spesa per beni e servizi, con la centrale regionale unica per gli acquisti; sulla spesa per il personale e sugli acquisti e con l’uso pieno dei macchinari di alta tecnologia, oggi presenti in molti presidi, ma spesso sottoutilizzati, anche con conseguenze negative sulle liste d’attesa, vero punto dolente della sanità regionale.

Insomma, un intervento in tutte le direzioni, capace di incidere sull’organizzazione in rete dei servizi e, quindi, sui costi. Un approccio che necessita di un salto di qualità da parte anche degli amministratori locali, chiamati, come ha detto il Sindaco di Perugia, Wladimiro Boccali, ad abbandonare visioni localistiche inadeguate e perdenti e a sostenere convintamente, con la responsabilità che il momento storico richiede, il processo di riforma della Regione, che il primo cittadino del capoluogo giudica “razionale, radicale e sostenibile economicamente, socialmente e politicamente”.

Una promozione a tutto campo che certo, come sottolinea qualche osservatore in sala, conferma il legame solido tra Boccali e Marini, ma si connota anche di considerazioni di merito importanti. La riforma è un primo passo e Boccali invita anche ad andare oltre i confini (e campanilismi) regionali, ad accentuarne il profilo strategico. Per esempio, puntando sul tasto della promozione della salute e degli stili di vita, che è uno degli aspetti della prevenzione sempre proclamati nei documenti di programmazione, ma ancora da aggredire con decisione, in quanto rappresenta di per sé un’economia del sistema.

Un impegno a cui per il Sindaco devono esser chiamati tutti gli amministratori pubblici dell’Umbria, perché purtroppo non basta essere stati, fin qui, una delle regioni più virtuose per appropriatezza della spesa e standard di servizi. Ora serve andare oltre, non perdere il poco tempo che si ha, essere pronti con coraggio e convinzione, senza drammatizzare, a partire dall’inizio del 2013 per non essere risucchiati nel gorgo che tutto può travolgere.

Un allarme che anche il Magnifico Rettore Bistoni ha voluto raccogliere, pronto a sostenere la riforma regionale, aldilà di qualche dissenso su qualche specifico punto, per il suo significato “politico” di ampio respiro, perché la proposta, sostiene Bistoni, “è un modo nuovo di porsi della sanità umbra”, finalmente centrato sul concetto della messa in rete di tutte le risorse. Anche l’Università di Perugia, dichiara il Rettore, è pronta a fare la sua parte nel sistema, a collaborare col Territorio e con l’Ospedale per “crescere tutti insieme” e superare diseconomie e conflittualità che l’emergenza della crisi rende quanto mai insensate.

La Presidente dell’Umbria, Catiuscia Marini, incassati tanti, unanimi consensi, è partita all’attacco delle scelte da taglio “brutale e ragionieristico” delle risorse per la sanità fatte dal governo Monti con il decreto appena approvato sulla evasione della spesa pubblica. Un taglio che si vorrebbe mascherare come riqualificazione della spesa ma che, invece, per l’incompetenza in materia di sanità di chi lo ha pensato, colpisce tanto più chi meglio ha fatto finora. Scelte, quelle contenute nell’ultimo decreto del Governo nazionale, che per Marini pericolosamente rischiano di mettere in seria discussione il concetto stesso di programmazione sanitaria, perché tagliano linearmente a tutte le regioni, senza distinguere le differenze anche notevoli che esistono tra esse quanto ad appropriatezza delle scelte fatte, equilibri economici raggiunti e livelli dei servizi assicurati ai cittadini.

Contro questo attacco “brutale”, la Governatrice ha chiamato tutti ad una mobilitazione a difesa del sistema sanitario universalistico, poiché il timore è che sia in atto una manovra per cambiarlo radicalmente e subdolamente, senza dichiararlo. Prova ne è, per Marini, che nessun settore della spesa pubblica, negli ultimi tre anni, ha ridotto il proprio peso più della sanità, che ha fatto registrare l’8,5% in meno di uscite. Ma questo, si lamenta la Presidente, non viene detto dai grandi giornali, tutti, più o meno, legati a grandi aziende della sanità privata interessate a che si diffonda un clima favorevole ai tagli diffusi verso il servizio pubblico.

Nel suo “piccolo”, anche l’Umbria è costretta a fare i conti con i tagli in corso d’opera (un milione di euro sui bilanci di quest’anno). Ma la preoccupazione è soprattutto rivolta al 2013, anno in cui, se non si attua la riforma, per Marini si rischia il collasso, nonostante il sistema sia stato finora efficiente, in equilibrio e capace di assicurare standard di prestazioni di più che buona qualità. Senza la riforma, dice la Presidente, è a rischio il modello stesso di sanità fondato sull’autonomia regionale, e ciò proprio mentre, con il taglio degli stanziamenti statali e l’incremento del finanziamento della sanità con risorse di provenienza non statale (irpef, irap, fondi regionali) sta cambiando la natura del finanziamento del sistema sanitario.

Di fronte a questo tsunami generato dalle scelte del governo di Roma, anche l’Umbria deve cambiare. Se la direzione è quella di “fare rete”, anzitutto va affermato e reso operativo il concetto che il personale, le tecnologie, i presidi, i servizi, non appartengono più alle singole Aziende sanitarie, ma al Servizio sanitario regionale nella sua interezza. Questo implica, per tutti e da subito, un cambiamento radicale nel modo di pensare il lavoro, l’organizzazione, l’efficienza dei servizi, all’insegna del “ pensare e fare insieme”, senza più sfasature o estraneità di programmazione tra le diverse Aziende.

Il modello di governance per Marini deve essere al massimo integrato e unico e, per esempio, grazie alla committenza unica regionale per gli acquisti, si dovranno superare alcune attuali differenze di costi di beni tra un’Azienda e un’altra. Fa parte di questo modello la razionalizzazione della rete ospedaliera umbra, avviata dalle amministrazioni regionali nell’ultimo decennio e centrata sulle due Aziende di Perugia e Terni e su una rete di ospedali del territorio. Qui, la Presidente chiarisce che per la Giunta il problema dei piccoli ospedali non si è mai posto nei termini brutali (tagliare i piccoli ospedali”) che il decreto del governo Monti aveva prima di essere modificato. In Umbria, infatti, gli accorpamenti già realizzati fanno si che la regione sia già dentro gli standard molto restrittivi che pone il decreto dei giorni scorsi (3,7 posti letto per mille abitanti) e possa dedicarsi non al problema di dove tagliare posti letto ma, semmai, di come qualificare e specializzare i presidi esistenti per rispondere ad una gamma più ampia di bisogni diffusi e diversi della popolazione.

Daniele Orlandi Agenzia Stampa Italia

 
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