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Saviano. Droga di Stato

(ASI) Roberto Saviano, dalla sua rubrica “L’Antitaliano” che fu già dello sferzante maestro di penna Giorgio Bocca, riapre il dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere. Lo fa dalla prospettiva personale e professionale di uomo impegnato per la legalità. La produzione e la vendita di sostanze oggi ritenute illecite, non conoscono crisi e continuano a rappresentare la principale fonte di arricchimento delle organizzazioni mafiose: la soluzione più logica sembra perciò quella di un sistema legale, controllato direttamente dallo Stato.

 Togliere linfa vitale per annichilirne la struttura economico-affaristica su cui reggono e prosperano le criminalità organizzate del nuovo millennio, istituzionalizzando mercato e consumo. La proposta di riaprire la discussione sul tema -perché di proposta concreta si tratta e non di provocazione- è ispirata alle esperienze di alcuni paesi che in vario modo già regolano tutta la filiera, fino a richiamare quelli più illuminati dove le cosiddette stanze del buco, garantiscono condizioni igieniche adeguate e un sostegno psicologico al consumatore di droghe letali come l’eroina. Tutte prassi che mai potranno consolidarsi, salvo riconoscere il fenomeno come connaturato allo sviluppo della società odierna, spogliandolo così della sua connotazione problematica.

Il principio alla base del ragionamento di Saviano è facilmente condivisibile dal punto di vista del contrasto alla mafia, meno facile la sua concretizzazione, per tutte le conseguenze e i risvolti pratici, quando anche si riuscisse a superare lo scontro ideologico che in se racchiude.

Gli fa eco dalle pagine di Repubblica l’ex ministro della salute Umberto Veronesi, il quale ricorda la campagna proibizionista degli anni Venti, quando in America si vietò la produzione di alcolici provocando la fioritura del mercato nero e la conseguente crescita del tasso di criminalità. Sostiene il noto oncologo che, se tabacco e alcol sono causa di migliaia di morti ogni anno, la legalizzazione della vendita e del loro consumo ha tuttavia distratto dalle competenze criminali due motivi di attività molto remunerative. Un’equazione costi benefici che non tiene conto dei molteplici aspetti di un fenomeno complesso che andrebbe analizzato nella sua eterogeneità, partendo magari dai fattori culturali e psico-sociali che spingono l’individuo moderno alla strenua ricerca di uno smarrito equilibrio emotivo.

Il richiamo al realismo, implicito nell’articolo di Saviano, appare come la dichiarazione di fallimento dello Stato, incapace di proporre attraverso le sue Istituzioni, le sue leggi e la sua dinamica politica - modelli alternativi e positivi di socialità; deficit che lo scrittore individua tra gli elementi originari della stessa cultura mafiosa.

E’ allora forse più auspicabile uno Stato assente, che uno Stato presente ma costretto prima alla trattativa e ora alla concorrenza di mercato, con quelle stesse entità che ne rappresentano la negazione? La proposta ha fatto sensazione, a riprova dell’esigenza di un dibattito pubblico che riguarda sì la legalità -come giustamente evidenziato da Saviano- ma ancor prima interessa la condizione esistenziale e sociale dell’individuo. Leggera o pesante, la droga ha un significato univoco e la sua interpetazione parziale non aiuterà a ricostruirne l’etimo orginario, in cui risiede la vera soluzione del problema.

Fabrizio Torella Agenzia Stampa Italia

 
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