(ASI) “Il prezzo della benzina ha superato i 2 euro a litro, ed il prezzo continua a salire”. Questo il titolo, con qualche trascurabile variante, con il quale tutti i giornali, e le televisioni, hanno dato notizia del continuo, insopportabile salasso che colpisce tutti gli automobilisti, in particolare coloro che usano l’auto, ogni giorno, immancabilmente, per motivi di lavoro. Siamo il Paese, dopo la Grecia, dove i carburanti si pagano di più.
Tutto questo avviene nel totale disinteresse generale. Il sottosegretario all’Economia, Gianfranco Polillo, dice che “il caro benzina è un problema che ci preoccupa e se la tendenza dovesse rimanere questa, dovremo intervenire.” Quando pensa sia il caso di intervenire, quando arriva a tre euro? Una cosa veramente intollerabile. Non era meglio se stava zitto? Ma per capire la questione, che è di una gravità eccezionale, è opportuno rendersi conto di come si forma il prezzo dei carburanti. Al prezzo del prodotto petrolifero bisogna aggiungere le accise, che sono tasse di scopo, come si evince facilmente, in quanto strettamente legate a situazioni di emergenza e, come tali, dovrebbero essere temporanee. Eccole, nel dettaglio, per ogni litro, in centesimi di euro: 0,1 per la guerra di Abissinia del 1935, 0,7 per la crisi di Suez del 1956, 0,5 per il disastro del Vajont del 1963, 0,5 per l’alluvione di Firenze del 1966, 0,5 per il terremoto del Belice del 1968, 5,1 per il terremoto del Friuli del 1976, 3,9 per il terremoto dell’Irpinia del 1980, 10,6 per la missione in Libano del 1983, 1,1 per la missione in Bosnia del 1996, 2,0 per il rinnovo del contratto dei ferrotranvieri del 2004, 0,5 per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005, 0,71 per il finanziamento alla cultura nel 2011, 4,0 per far fronte all’emergenza immigrati dovuta alla crisi libica del 2011, 0,89 per far fronte all’alluvione che ha colpito la Liguria e la Toscana nel novembre 2011, 8,2 per il decreto salva Italia nel dicembre 2011, più (dal 1999) la tassa regionale sui carburanti. Su questo totale si calcola l’Iva (21%) e viene fuori il prezzo alla pompa. In percentuale: carburante, 42,9 %, imposte, 57,1 %.
Sorgono evidenti, con una chiarezza inquietante, due questioni. La prima è se una tassa di scopo (Abissinia, Suez, Vajont, ecc.) possa essere dirottata altrove, cioè se può essere usata per altri scopi.
Perché mi pare abbastanza evidente che la tassa per l’Abissinia ( ma vale anche per tante altre, come emerge evidente dall’elenco sopra riportato) vada a finire allo Stato che, però, la utilizza per altri fini, completamente diversi da quelli per i quali costringe i cittadini a pagare. La seconda questione è se si possa costringere il cittadino a pagare una tassa per uno scopo che non esiste. Come sono, appunto, senza alcun ombra di dubbio, le tasse sull’Abissinia, Suez, il Vajont ecc.. Se questo viene considerato lecito, allora, potrebbero mettere altre tasse, inventando emergenze che non esistono.
C’è, infine, l’imbroglio ancora più grave, ed è quello di calcolare l’imposta (l’Iva) sulle tasse che ho sopra elencato. L’Iva, l’imposta sul valore aggiunto - istituita con d.p.r. 26 ottobre 1972, n.633, sottoposta a successive e numerose modifiche - si applica sul prezzo del bene o sul corrispettivo del servizio. L’imponibile (l’importo sul quale si calcola l’imposta) non può che essere, quindi, il prezzo del bene, aggiungere a questo prezzo le varie tasse e poi calcolare l’Iva è un modo di fare sicuramente illegittimo, che danneggia pesantemente il cittadino-contribuente e consente allo Stato di incassare, impropriamente, risorse ingenti. Se le associazione dei consumatori non fossero, sui problemi seri come questo, sempre in sonno, forse ci sarebbero gli estremi per presentare almeno un esposto alla Procura della Repubblica, perché mi sembra che la truffa (aggravata) sia più che un’ipotesi di reato, qualcosa di macroscopicamente evidente.
Fortunato Vinci Agenzia Stampa Italia