(ASI) “Quello di ieri non è il primo incidente che vede come triste protagonista il sito siderurgico dell’ex Ilva di Taranto. Sono diversi i sinistri di questa natura, ed è ora che il Ministro Urso invece di mettere sempre le mani avanti si assuma qualche responsabilità.
Anche perché sono lui e Meloni ad aver scelto di perseguire la logica del ritorno al passato, che oltre a rischiare di portare l’acciaieria su un binario morto, aumenta di giorno in giorno i pericoli per chi lì ci lavora, soprattutto in vista della nuova AIA che porterà la produzione dagli attuali 3 milioni di tonnellate a 6-8 milioni. Aver destinato alla ripresa produttiva a carbone oltre 1,4 miliardi di euro e sottratto risorse alle bonifiche per rendere attivi quattro altiforni legati al ciclo integrale a carbone è stato un errore macroscopico, così come aver bloccato il processo di riconversione industriale sulla costruzione di due altiforni elettrici alimentati a idrogeno verde, sui quali il governo Conte II aveva stanziato oltre un miliardo di euro nel Pnrr. Per fortuna oggi la produzione si mantiene ancora su livelli bassi ma, quando essa aumenterà, cresceranno anche le probabilità di incidenti. Il governo le sta sbagliando tutte: Urso, peraltro, deve rispondere della lettera di messa in mora dell’Ue nei confronti dell’Italia proprio in riferimento all’ex Ilva, che a Taranto opera in sfregio alle direttive comunitarie. Per questo oggi, 8 maggio, ho depositato un'interrogazione a risposta orale al Ministro delle Imprese e del Made in Italy, al fine di chiedere se non ritenga della massima urgenza l’interruzione immediata della produzione alimentata a carbone e la sospensione dell’iter di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale, al fine di adeguare compiutamente la normativa nazionale alle disposizioni della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali. Inoltre, si domanda al Ministro Urso se non consideri ormai improrogabile la definizione di un piano di riconversione degli stabilimenti e di riqualificazione professionale dei lavoratori verso nuove produzioni e se non ritenga doveroso reintegrare le risorse del patrimonio destinato alle bonifiche e al ripristino ambientale. Ribadiamo a Urso che senza un capovolgimento di paradigma produttivo in ottica green il complesso di Taranto continuerà ad agonizzare, a produrre acciaio di bassa qualità e a mettere a rischio la vita dei lavoratori e di tutti i tarantini. Tutto quanto è stato fatto dal governo in questi due anni va resettato, non c’è altra via d’uscita, prima che sia troppo tardi”. Lo afferma in un comunicato stampa il Sen. Mario Turco, Vicepresidente del MoVimento 5 Stelle, nonché Coordinatore del Comitato Economia, Lavoro e Impresa.
Interrogazione a risposta orale Senatore TURCO — Al Ministro delle imprese e del Made in Italy
Premesso che: mentre in paesi come Germania, Svezia e Austria vengono implementati, e finanziati con fondi europei, progetti innovativi per la produzione su larga scala di acciaio verde con un’impronta di carbonio minima, in Italia sicontinuano a sostenere le vecchie produzioni siderurgiche e chimiche legate al ciclo a carbone e al petrolio che oggi portano a rendimenti pressoché nulli, rendendo il settore non competitivo e insostenibile sul piano ambientale;
il Governo si è assunto la responsabilità di ripetere errori già compiuti in passato certificando che gli stabilimenti ex ILVA continueranno a produrre a ciclo integrale a carbone per i prossimi dodici anni, riportando la più grande acciaieria d’Europa indietro di vent’anni e abbandonando ogni proposito di decarbonizzazione e di tutela ambientale, con l’obiettivo irrealistico di una produzione annua tra i 3 e i 6 milioni di tonnellate di acciaio;
considerato che:
negli ultimi due anni, per finanziare la continuità produttiva, è stato dilapidato circa un miliardo e mezzo di euro tra finanziamenti diretti, prestiti ponte e, cosa ancora più grave, la totale erosione dei 400 milioni di euro del patrimonio destinato alle bonifiche ed al ripristino ambientale. Un ingente dispiego di risorse che produrrà come unico risultato la vendita, o per meglio dire la svendita, degli impianti ad imprenditori stranieri;
con ildecreto-legge 30 gennaio 2025, n. 5, il Governo ha provato a dare seguito alla sentenza della Corte di giustizia europea del 25 giugno 2024 con la quale la Corte ha fornito la sua interpretazione della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali, rilevando lo stretto collegamento tra la protezione dell’ambiente e quella della salute umana e imponendo di fatto di condizionare, come sostenuto in molteplici occasioni dall’interrogante, il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale alla valutazione di impatto sanitario;
se da un lato il Governo ha cercato di recepire le indicazioni contenute nella sentenza, dall’altro ha colpevolmente omesso di introdurre uno dei principi più importanti: nel decreto, infatti, non si fa menzione della parte in cui la Corte afferma esplicitamente che, in caso di violazione delle condizioni di autorizzazione all’esercizio dell’attività, il gestore debbasospendere le attività e adottare immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità nel più breve tempo possibile e che, in caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, il termine per applicare le misure di protezione previste dall’autorizzazione all’esercizio non può essere prorogato ripetutamente e l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso;
occorre ribadire, inoltre, che la valutazione sanitaria sugli inquinanti non può essere solo ex post ma deve necessariamente essere operata ex ante,da soggetti qualificati e indipendenti, attraverso una valutazione dell’impatto non solo sanitario ma anche ambientale in un’ottica integrata;
rilevato che:
l’inadeguatezza delle disposizioni contenute nel citato decreto legge, ampiamente denunciata nel corso dell’esame parlamentare, trova ora conferma nella lettera di costituzione in mora inviata dalla Commissione europea nella quale si evidenzia come la legislazione italiana non tenga conto dell’impatto degli impianti sulla salute umana e di tutti gli inquinanti nocivi emessi dall’impianto al momento del rilascio delle autorizzazioni e del fatto che la normativa nazionale non sospenda il funzionamento di un impianto quando una violazione delle condizioni dell’autorizzazione comporta un pericolo immediato per la salute umana o per l’ambiente;
l’iter relativo al riesame dell’Aia, che si protrae da quasi due anni, sembra essere ad un passo dalla conclusione senza che nulla sia stato fatto per favorire processi di decarbonizzazione e la riconversione degli impianti verso una produzione con forni elettrici a idrogeno verde;
l’ennesimo incidenteaccadutolo scorso 7 maggio, fortunatamente senza coinvolgimento di lavoratori, ha visto svilupparsi un incendio causato dell'esplosione di una tubiera sul piano di colata dell'altoforno 1: lo stesso altoforno riattivato dai commissari straordinari di Acciaierie d'Italia lo scorso ottobre. La procura di Taranto ha disposto il sequestro probatorio senza facoltà d’uso dell’Afo1 mentre occorre evidentemente ricordare che su tutta sull’area a caldo degli impianti ex ILVA grava già da diversi anni un sequestro con facoltà d’uso, rinnovato negli scorsi mesi, relativo al processo che contesta il reato di disastro ambientale alla vecchia gestione Riva;
è lecito domandarsi quanto ancora saranno costretti a sopportare la città di Taranto, i suoi cittadini e i lavoratori degli impianti ex ILVA prima che venga presa coscienza del fatto che l’unica strada perseguibile per non sacrificare la popolazione e il territorio sull’altare di una politica industriale folle e fallimentare è rappresentata dal superamento delle fonti inquinanti e dalla riconversione degli stabilimenti;
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non ritenga della massima urgenza l’interruzione immediata della produzione alimentata a carbone e la sospensione dell’iter di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale, al fine di adeguare compiutamente la normativa nazionale alle disposizioni della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali;
se non consideri ormai improrogabile la definizione di un piano di riconversione degli stabilimenti e di riqualificazione professionale dei lavoratori verso nuove produzioni;
se non ritenga doveroso reintegrare le risorse del patrimonio destinato alle bonifiche e al ripristino ambientale.



