(ASI) Com'è consuetudine nel costume italico, dopo il fatidico evento, su qualsiasi argomento cala un silenzio tombale. Vi sono di norma 5 – 6 giorni di accesissimo dibattito, di discussioni accanite, di diverbi scintillanti, e poi si spegne tutto, come se nulla fosse mai accaduto. E' un costume del nostro popolo, non c'è molto da fare, se non curarlo definitivamente.
Nel momento in cui sto scrivendo questo articolo, si è spento definitivamente, anche per quest'anno, tutto il movimento relativo al Giorno del Ricordo dell'Esodo giuliano – dalmata, celebrato, per legge dello Stato, ogni anno il 10 febbraio, dal 2004.
I giorni prima, e un paio di giorni susseguenti l'evento, sono costellati di conferenze, presentazioni di libri, manifestazioni, fiaccolate e celebrazioni istituzionali. Come se il problema dell'esodo fosse riconducibile a 5 – 6 giorni che vanno dall'8 al 14 febbraio di ogni anno. Rispetto al silenzio, comunque, è già un grosso passo avanti che lo Stato ha compiuto come atto di ricordo e di scuse verso dei fratelli italiani più sfortunati di noi.
Il mio dubbio, visti i fatti che si sono potuti vedere quest'anno nelle tv e nei giornali nostrani, è il seguente: ha senso celebrare un giorno del ricordo, e autorizzare gli eventi per poterlo negare?
La prima che ha aperto il fuoco è stata il Sindaco di Genova, Marta Vincenzi, che invitava a ricondurre il contesto delle foibe al fascismo. Corretta interpretazione, se non fosse che i giuliano – dalmati subirono tre esodi, a partire dal 1848 in poi. E' chiaro che la Vincenzi si basa su una personalissima ricostruzione storica, si potrà pensare. Invece è sempre schiava della sua parte politica, che la influenzerà sino al termine della sua militanza. Giuliano Pisapia, Sindaco di Milano, ha per la prima volta fatto tacere chiunque, arrogandosi il diritto di celebrare in perfetta solitudine il Giorno del Ricordo. Anche in questo caso, i conti tornano: Pisapia, militante di Sinistra, Ecologia e Libertà, uno dei parlamentari che assieme a Vendola (compagno di partito) ha votato contro l'istituzione legislativa del 10 febbraio, non poteva che agire in questo modo. La politica, signori, la politica. La presidentessa della Regione Umbria, Catiuscia Marini, ha affermato di voler superare i rancori nella storia ed evitare strumentalizzazioni politiche in relazione alle foibe e all’esodo giuliano – dalmata. Anche in questo caso, la parte politica della Marini, invita all'oblio, quasi si dovesse nascondere ciò che i suoi avi (ispiratori o esecutori, questo non possiamo saperlo) hanno fatto un sessantennio fa. Non voglio dimenticare il Sindaco di Pistoia, che ha regalato agli studenti un saggio fìlotìtino e farneticava di una «insurrezione popolare antifascista».
Dulcis in fundo, senza citare i contro – cortei per le fiaccolate dei vari militanti dei partiti politici o associazioni che volevano commemorare il Giorno del Ricordo, (emblematico quello di Firenze, dove si esaltava Tito!), privi di ogni logica, vista una legge istituzionale, v'è stata la puntata di Porta a Porta, del celeberrimo Bruno Vespa. Lasciando perdere le deliranti dichiarazioni di Marco Rizzo dei Comunisti Italiani, che continua ad avere una visione dicotomica fascismo – antifascismo (quando in questo caso l'interesse è ed era l'Italia e i suoi confini naturali), l'ospite d'onore aveva nome di Alessandra Kersevan, riduzionista delle foibe e dell'esodo giuliano – dalmata. Direttrice della Casa Editrice Kappavu, di “resistenza storica”, è riuscita a dire, contro qualsiasi fondamento logico, che il Giorno del Ricordo andava fissato in data 10 giugno del 1940 o 6 aprile del 1941, anni rispettivamente della dichiarazione di guerra italiana a Francia e Gran Bretagna ed invasione della Jugoslavia. Penso che nessuno voglia festeggiare l'entrata in una guerra perduta, e nemmeno l'invasione di uno Stato, che un paio di giorni prima per un rovesciamento governativo aveva stracciato il patto che aveva firmato di alleanza con Germania ed Italia, e perciò nemico dei due stessi. Chiaramente il mondo dell'esodo, presente in studio, ha visto e vissuto la trasmissione in maniera sincopatica e caotica, ferita dalle parole di una persona che ha chiari sentimenti anti – italiani, fondati su una logica personalissima di propaganda titoista. Cosa, quest'ultima che nemmeno i due stati sloveni e croati fanno più, avendo condannato il dittatore Josip Broz.
Questa rapida carrellata ci fa apprendere diversi elementi: sicuramente, in primo luogo, il giorno del Ricordo è ancora vittima di speculazioni politiche, invece di una sana sete di sapere storico; non ha senso alcuno autorizzare la commemorazione e al tempo stesso la negazione, ricordiamo che ciò non accade il 27 gennaio o in altre occasioni, per senso logico; la storia, non essendo passione politica, andrebbe vista con occhi scevri, liberi ed aperti ad un dibattito. Se non vi sono questi elementi, è chiaro che il 10 febbraio, ricorrenza importantissima, non sarà mai patrimonio condiviso, bensì solo di una parte degli italiani. Perpetrando la mancata conoscenza, e non potendo mai saldare quel debito fortissimo che abbiamo col confine orientale dal 1947 ad oggi.
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