Raffaele Iannuzzi – 18 agosto 2023
(ASI) Grande è la confusione sotto il cielo, eccellente situazione. Per fare cosa? Per aprire, a destra, la resa dei conti, afferma Alemanno, segnando il passo con una cifra progettuale. Il progetto della Meloni sta disgregando il mondo ideologico-politico della destra sociale e legata all’identità nazionale ed europea. C’è molta politica in questo mondo: l’interesse nazionale non è gretto nazionalismo, l’Europa non l’eurocrazia “soviettista”, il dissenso a destra e a sinistra può produrre nuove sintesi.
Oggi anche Rizzo spariglia le carte delle appartenenze novecentesche e i veterocomunisti gli sparano addosso. Insomma, le passioni ci sono ancora e non è detto che siano per forza “tristi”.
La politica sembra finita, in questo ciclo storico, e Alemanno, che ha il merito di ragionare per cicli storici, vuole riprendere il filo spezzato della progettualità politico-strategica superando anche l’orizzonte ideologico. Le aggregazioni hanno, nel suo disegno, due livelli: a) i mondi del dissenso; b) liste civiche e corpi intermedi. Musica per le orecchie degli uomini di buona volontà, a destra e a sinistra, dalla destra sociale a Rizzo, ma quel che viene meno in questo movimento sorgivo è il detonatore ideologico, che sarebbe meglio definire ideale, e la specifica determinazione dei soggetti e degli interessi da rappresentare.
La passione ideale c’è, in questa visione, ma l’ideale, in politica, costruisce un progetto che guarda a soggetti in carne ed ossa e ad interessi e valori da rappresentare. Di chi stiamo parlando? In una società disgregata e non da oggi, ma da più di trent’anni, tra uomini “flessibili” e nichilisti in servizio effettivo permanente, a chi parla questo progetto? E come? Alemanno dice che si deve parlare la lingua del “populismo” che, però, ormai è usurata come i pantaloni del nonno. Divenuta, questa lingua, “plebeismo”, ha seguito il corso spiegato da Orwell nel suo geniale saggio sul rapporto tra grammatica e politica: parlare e spiegare ciò che si intende realizzare implica avere di fronte a sé soggetti concreti e appartenenti alla stessa classe grammaticale, sintattica e semantica. Oggi questo scenario è perfino difficile da immaginare.
Alla fine, rimane lo sparigliamento delle carte a destra e qualche incontro con i dissidenti delle molteplici tribù politiche anti-sistema che, al di là dell’anti. Non hanno molto da offrire alla piazza politica. La dialettica è una cosa seria: non basta la negazione, ci vuole anche la “potenza del negativo” (Hegel). Se il “no” non apre ad un “sì” più grande, non c’è partita, si rimane al palo. Con ottime intenzioni, ma senza che la situazione sia creativamente “eccellente”. E qui Mao tace, perché le rivoluzioni, in un mondo plebeizzato e atomizzato, non nascono nei giardini dei nuovi re. Si può anche avere ragione su tutto o quasi, ma questo non basta. Per cambiare paradigma, occorre un lavoro di lunga lena e costruzione politico-culturale di respiro antico. Altrimenti continuerà a dominare il Capitale, con le sue varianti, di sinistra e di destra. Dura lex, sed lex.