(ASI) “Il sequestro nel carcere di Ariano Irpino, in un solo colpo, grazie alla preziosa attività degli agenti penitenziari, in verità poco riconosciuta, di oltre un kg di droga (950 grammi di hashish e più di 200 grammi di cocaina) fa salire ad almeno 10 kg il quantitativo di sostanze stupefacenti sequestrati in media in una settimana nelle carceri italiane, per un giro di milioni di euro.
Un business illecito che solo nelle carceri campane raggiunge i 10 milioni d’euro l’anno”. L'allarme parte dal segretario generale del sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo per il quale “l'operazione ad Ariano Irpino, dove oltre alla droga sono stati sequestrati 25 telefonini, strumenti utilizzati da capi clan ed appartenenti alla camorra per continuare a comandare sui territori ed impartire ordini anche per lo spaccio di droga, è solo l’ultimo sia pure più clamoroso esempio che le carceri italiane, al Nord come al Sud, da anni, sono diventate “piazze di spaccio” proprio come i quartieri Barone a Milano e Scampia a Napoli. È un giro che – afferma Di Giacomo – vede i familiari dei detenuti pagare direttamente i clan per la fornitura in cella di stupefacenti e l'alternarsi di pusher fuori e dentro le celle, grazie in particolare ai detenuti in permesso lavoro che fanno la spola o utilizzando i detenuti più deboli e ricatta. Più recentemente si è fatto ricorso all’impiego di droni e persino al pallone di calcio imbottito di stupefacenti. Con introiti per i clan di milioni di euro, mentre sempre più rari sono i casi, di madri e mogli che portano la droga approfittando del colloquio con il congiunto. Sono invece gli uomini dei clan, che si servono di telefonini per il più comodo spaccio di droga dentro e fuori il carcere e per ordini agli uomini sui territori, a gestire i traffici. Così la detenzione del capo clan che dovrebbe rappresentare la fine della “carriera criminale” – aggiunge Di Giacomo – non solo si trasforma in continuazione ma cementifica i rapporti con detenuti e alimenta l’economia criminale necessaria specie per sostenere le famiglie dei detenuti. Ovviamente – continua il segretario del S.PP. – questo avviene perché la domanda di stupefacenti è alta: la presenza di detenuti classificati tossicodipendenti già all’ingresso è di circa 18mila (poco meno del 30% del totale) per i quali il cosiddetto “programma a scalare” con la somministrazione di metadone ha dato risultati molto scarsi. Non a caso la recidività di reato per questi detenuti, una volta fuori, è altissima. A questi si deve aggiungere che tre detenuti su dieci sono solo spacciatori e non consumatori. Sono cose che purtroppo ripetiamo da almeno cinque anni senza che accada nulla se non in occasione di operazioni come quella di Ariano Irpino, salvo a mostrare interesse mediatico che si limita ad un paio di giorni”. Conclude la nota del segretario generale del sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo.