(ASI) Roma – Non sono destinate a placarsi le polemiche innescate dalla volontà del governo Meloni di intervenire sulla misura del Superbonus 110% per le ristrutturazioni edilizie.
Il problema di fondo della normativa – introdotta tre anni fa dall’esecutivo giallo-rosso presieduto da Giuseppe Conte – risiede nell’enorme quantità di crediti incagliati generati con il passare del tempo. Crediti che le banche non sono più in grado di acquistare e che hanno finito per intasare il sistema. Da qui l’idea di modificare radicalmente il provvedimento, eliminando la possibilità di usufruire della cessione del credito o dello sconto in fattura per finanziare i lavori di riqualificazione delle abitazioni.
La maggioranza parlamentare – seppur con qualche divergenza – blinda la decisione in nome della preoccupazione per la tenuta dei conti pubblici. Per Nicola Calandrini, presidente della V Commissione Bilancio del Senato, ci si trova di fronte a “una bolla pronta a esplodere e assolutamente non sostenibile dal punto di vista finanziario”. Anche la Lega punta il dito contro la sostenibilità economica del Superbonus, condannando l’applicazione indiscriminata della cessione del credito. Timori condivisi da Forza Italia, che però è in disaccordo con la brusca interruzione dello strumento, preferendo misure più graduali.
Come prevedibile, la forza politica che in passato tanto ha spinto per ottenere l’approvazione del bonus della discordia ha subito alzato le barricate in Parlamento. Il Movimento 5 Stelle deplora fortemente il linguaggio del governo, accusato di piegare la realtà alle proprie convenienze. Per i grillini è fuorviante concentrarsi unicamente sui costi per lo Stato senza considerare quanto Pil è stato prodotto, quanta occupazione è stata creata, quanto gettito per l'erario è stato garantito. Essi rinfacciano a Meloni di essersi prestata a un’operazione di pura propaganda, tradendo le promesse fatte in campagna elettorale. Il senatore Stefano Patuanelli parla di una “decisione folle con effetti devastanti sul tessuto economico” e biasima “il colpo mortale assestato a tutti i bonus edilizi”.
Assai critici si mostrano anche i deputati del Partito Democratico. Al centro delle contestazioni vi è la stretta sulle famiglie con i redditi più bassi. L’eliminazione della cessione del credito, infatti, penalizza proprio le categorie sociali più povere, che necessitano di incentivi per sovvenzionare i lavori di ristrutturazione. Enzo Amendola imputa alla maggioranza di “creare tensione sociale” danneggiando le famiglie con meno capacità economica. “Il governo si accanisce sulle fasce più deboli senza risolvere la vera emergenza dei crediti incagliati” rincara la dose Chiara Braga.
Se una fetta consistente della popolazione non potrà permettersi di riqualificare le case, il lavoro per le imprese dell’indotto diminuirà sensibilmente. Del resto, il Superbonus fu promulgato proprio per sostenere un settore uscito con le ossa rotte dalla pandemia del Covid 19. Lo sa bene l’Associazione nazionale dei costruttori edili. La presidente Federica Brancaccio lancia l’allarme: “Siamo dinanzi a un’emergenza sociale ed economica. Migliaia di imprese rimarranno definitivamente prive di liquidità e i cantieri si fermeranno del tutto”.
La proposta avanzata d’intesa con l’Associazione dei bancari mira, dunque, a decongestionare la grande massa di crediti incagliati per far ripartire il sistema. Ance e Abi puntano a sfruttare gli introiti degli F24 effettuati dai clienti presso gli sportelli delle banche affinché queste ultime possano a mano a mano smaltire i crediti che hanno in pancia.
Al di là delle sfaccettate posizioni politiche e degli interessi di categoria, per comprendere appieno la portata del Superbonus nel bene e nel male è necessario ampliare lo sguardo. Può tornare utile in tal senso il più recente studio di Nomisma, la società che da oltre trentacinque anni offre a imprese, associazioni e istituzioni pubbliche ricerche di mercato e consulenza strategica.
Secondo le analisi, l’impatto complessivo del Superbonus sull’economia nazionale è pari a circa 195 miliardi di euro. Relativamente agli effetti sul mondo del lavoro, si è registrato un incremento di 641.000 occupati nel settore delle costruzioni e di 351.000 occupati nei settori collegati. Le abitazioni che hanno completato il percorso di riqualificazione energetica hanno emesso nell’atmosfera quasi 1,5 milioni di tonnellate di Co2 in meno. La riduzione dell’impatto ambientale è andata di pari passo con la diminuzione dei consumi. Nei cantieri già conclusi le famiglie hanno risparmiato la somma totale di circa 29 miliardi di euro, con un risparmio medio in bolletta superiore a 900 euro all’anno. Nomisma afferma, inoltre, che l’incremento complessivo di valore degli immobili efficientati supera i 7 miliardi di euro.
Dati di cui bisogna tenere conto, anche alla luce delle recenti normative a livello europeo. Nello specifico, la Commissione industria, ricerca ed energia dell’Europarlamento ha da poco approvato la prima bozza di una direttiva che obbliga gli Stati membri a ristrutturare gli immobili residenziali applicando innovativi criteri di efficientamento energetico, contenimento dei consumi, abbattimento dell’inquinamento. Le abitazioni degli europei – italiani compresi – dovranno raggiungere entro il 2030 la classe energetica E ed entro il 2033 la classe D, per poi arrivare nel 2050 alla neutralità assoluta, ovvero zero emissioni nocive sull’ambiente.
Comunque vada a finire la dibattuta questione del Superbonus, se la direttiva sarà definitamente varata a Bruxelles il nostro Paese dovrà adeguarsi a essa nel modo migliore e in tempi stringenti.
Il governo dovrà, in altri termini, permettere alle fasce sociali più deboli di effettuare lavori di riqualificazione assai onerosi, dal momento che la maggior parte delle case possiede al momento una classe energetica inferiore rispetto a quella richiesta.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia