Oltre 2mila tra infermieri e oss hanno dato le dimissioni dal SSN tra il primo e il secondo semestre del 2021, incredibile ma vero.
(ASI) Roma - I numeri “glaciali” del Ministero del Lavoro ci raccontano di professionisti logorati, stressati, caricati da fardelli fisici e psicologici, spesso insostenibili, che non hanno avuto altra scelta se non quella di decidere di cambiare vita. Hanno detto basta a turni massacranti, precariato, recrudescenze di contagi e vili aggressioni.
«Tutto questo non può dipendere solo dalla Pandemia che ci affligge. Il Governo, le Regioni, le aziende sanitarie, si assumano la responsabilità, ora più che mai, di una mancata valorizzazione degli operatori sanitari , che oggi non può rappresentare ancora una chimera.
E’ più che mai indispensabile permettere agli infermieri di sentirsi parte integrante di un progetto, e non un mero strumento a cui fare appello solo quando fa comodo, solo quando l’emergenza tocca l’acme e c’è bisogno di uomini e donne coraggiosi pronti a mettere in campo tutto, a costo della propria vita, per tappare le falle del sistema».
«I dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, aggiornati al secondo semestre del 2021, sono davvero allarmanti , e ci parlano di dimissioni volontarie dal settore pubblico.
In generale, solo nei secondi tre mesi dell’anno appena concluso, le cessazione arrivate direttamente per volontà dei lavoratori rappresentano il 19,6% di quelle totali, pari a 507mila unità, di cui 485mila uomini e 191mila donne.
Il settore dei servizi, così identificato dal Ministero del Lavoro, in cui rientra anche quello della sanità, ha risentito particolarmente dell’emergenza, registrando oltre il 50% delle dimissioni totali.
Scavando a fondo, grazie anche ai dati disponibili da parte di associazioni locali legate al mondo del lavoro, abbiamo potuto evidenziare come le situazioni peggiori si sono registrate incredibilmente al centro Nord, in quei territori sovraccaricati da carenze base, acuite dagli effetti del virus sugli uomini e le donne di una sanità che continuano a pagare il conto più salato.
I dati sono schiaccianti: + 44% delle dimissioni nel settore sanitario rispetto al 2020 (dati sempre aggiornati al primo semestre del 2021). Di queste dimissioni il 74% sono quelle degli infermieri. Da qui emergono i numeri di oltre duemila colleghi che solo nei primi mesi del 2021 sono letteralmente “fuggiti via” dalla sanità pubblica, cambiando letteralmente vita.
Inutile nascondersi visto che di fondo, all’arrivo della SARS Cov 2, il sistema era già traballante, tra precariato, carenze di personale e deficit strutturali, con Regioni su Regioni alle prese con le cicatrici di scellerate politiche di austerity.
Laddove si doveva investire sulle risorse umane, sulle professionalità indiscutibili a disposizione in casa nostra, si è scelta la strada tortuosa dei contratti a termine. Dimentichiamo forse i 23mila infermieri precari assunti durante il Covid e fin qui non stabilizzati?
E per tutta risposta, nell’affrontare il nemico letteralmente disarmati, gli infermieri hanno subito, al posto della meritata valorizzazione che doveva arrivare nel momento dei fatti e non solo belle parole ed elogi campati in aria, l’onta dei turni massacranti, dei deficit dei mezzi di protezione, pur rispondendo da parte loro con il massimo delle loro qualità agli attacchi di un nemico invisibile e subdolo.
Ma i reiterati mesi di pandemia, le condizioni caotiche dei pronti soccorsi, la chiusura dei reparti, i turni prolungati con orari disumani, come più volte hanno testimoniato le nostre indagini, nonché le aggressioni subite ogni giorno nelle corsie, hanno alla fine ridotto al lumicino , in molti dei nostri colleghi, l’energia fisica e quella mentale, annoverando da una parte oltre 100mila infermieri contagiati dall’inizio dell’esplosione del virus, e dall’altra scatenando tante, troppe reazioni a catena, figlie dello stress e della fatica, come la sindrome di burn-out.
Solo così si spiegano dimissioni di questa portata.
Il Veneto, la Toscana con una carenza di personale che supera il 25%, e poi il Molise, bloccato in extremis proprio mentre apriva all'utilizzo di turni di 12 ore continuative per coprire la carenza di personale, e ancora la Lombardia sempre al primo posto con contagi tra gli operatori sanitari, la disastrata Campania e ancora territori all’apparenza virtuosi ma tutt’altro che felici come Marche, Friuli e Valle d’Aosta: sindacati come il nostro da mesi, con le indagini dei nostri referenti, denunciano situazioni a prova di bomba, fino ad arrivare al caos dei pronti soccorsi romani in piena fibrillazione. E ora i numeri dimostrano che tra stipendi bassi, turni massacranti, precariato e l’acuirsi delle aggressioni, sanità ordinaria affossata, sempre più infermieri nel 2021 hanno scelto di cambiare lavoro e di cambiare vita».
«Una delle principali cause all’origine delle dimissioni di massa è ritenuta essere la sindrome da burnout, vale a dire una situazione professionale percepita come logorante dal punto di vista psicofisico. Il lavoratore, non disponendo di risorse comportamentali e cognitive adeguate a fronteggiare questa sensazione di esaurimento fisico ed emotivo, decide di lasciare il lavoro. Esemplificativo appare il caso di infermieri, medici e altri operatori sanitari che negli ultimi due anni, con la pandemia, sono stati sottoposti ad un sovraccarico di lavoro indicibile. Le soluzioni sono a portata di mano e rientrano tutte in un piano di valorizzazione, fin qui purtroppo mai messo in atto dai Governi che si sono succeduti.
Senza considerare poi il comportamento delle regioni, che parrebbero essersi poste la seguente domanda: perché valorizzare gli infermieri se sotto la bandiera dell'emergenza - che tutto giustifica- possiamo spremerli come limoni, privandoli anche del tempo necessario al loro ristoro psico fisico? Si signori, noi ci chiediamo se non sia proprio questa la domanda che si saranno poste alcune Aziende Sanitarie in Italia, da ultimo quella di Imola, quando hanno deciso, in barba a qualsiasi diversa considerazione, di bloccare le ferie proprio agli infermieri, quelli che , invece, ne avrebbero avuto maggiore bisogno. Gli infermieri Italiani meritano rispetto!», conclude De Palma contrariato. Così dichiara in una nota Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.