(ASI) Sui giornali, nei dibattiti televisivi, sulle spiagge, nei bar, insomma un po’ dappertutto, ancora ci si chiede cosa abbia spinto Matteo Salvini, al culmine del suo potere (ministro dell’Interno, nonché vicepremier, ma occupante abusivo, con la benevola tolleranza dei suoi alleati di governo, di tanti altri ministeri,  da quello dei Trasporti a quello dell’Economia, da quello della Difesa a quello della Giustizia, a quello degli Esteri) a confezionare in proprio una bomba e farsi esplodere senza sapere gli effetti devastanti che avrebbe provocato. Per sé, per la Lega e, quel che più importa, per il Paese.  Forse, ma non è detto, lo saprà lui. Perché la decisione di provocare la crisi di governo è inspiegabile. Non può essere stato il fatto – questa la sua banale spiegazione – che il suo alleato contrattuale, il Movimento 5 Stelle, era diventato il partito dei No. Intanto perché non è vero, con nessun altro alleato il ministro dell’Interno avrebbe potuto fare e disfare a piacimento come ha fatto in questi 14 mesi di governo. E poi con i “soci”, si sa, è naturale che ci possano essere pareri diversi e spesso - è scontato anche questo - si debba arrivare ad una mediazione. Pensava, il leader della Lega, che andando a nuove elezioni, avrebbe ottenuto, forte dei sondaggi, la maggioranza assoluta per avere “pieni poteri”? I sondaggi sono una cosa e il voto delle urne può essere tutta un’altra cosa, come peraltro è già avvenuto tante altre volte. Il successo della Lega nelle votazioni europee e la contestuale “sconfitta” dei 5 Stelle è un dato che va letto meglio e analizzato con attenzione; si deve tenere conto che a maggio scorso il 40% degli elettori simpatizzante dei grillini, ostico all’Europa, non è andato a votare. Tutt’altro che un dettaglio. Salvini, probabilmente, è stato tratto in inganno anche dal fatto che Nicola Zingaretti, segretario del Pd, aveva dichiarato un’infinità di volte che mai i dem si sarebbero alleati con i grillini. Solo che in politica - e non solo in politica - il mai non è un avverbio che significa certezza come sembra, è, invece, quasi sempre un’ambiguità interlocutoria. Anche perché il segretario Zingaretti è sì il segretario nazionale, ma è un generale senza esercito, l’esercito ce l’ha l’ex, Matteo Renzi, che in Parlamento ha messo i suoi, che rispondono a lui e non a Zingaretti. Infatti il governo Conte 2 è nato dall’accordo tra 5 Stelle e Renzi, che in una intervista al Corriere della Sera, smentendo clamorosamente Zingaretti, che non aveva capito nulla, ha detto che non bisognava andare a votare (sarebbero andati a casa tutti i parlamentari renziani!) ma fare un accordo con i 5 Stelle. E così è stato. Certo questo è il passato, ora guardiamo a questa quasi nuova compagine governativa. Va bene? No. Intanto perché così l’esecutivo è sbilanciato decisamente verso la sinistra e già questo non promette niente di buono e poi perché alcuni ministri, Conte e Mattarella, li avrebbero potuto trovare sicuramente meglio al centro commerciale. Non mi riferisco a Luigi Di Maio alla Farnesina. E non perché non conosce l’inglese. Una banalità, ci sono gli interpreti. E’ che per trattare alla pari, e non come un suddito, con le cancellerie del mondo bisogna avere una solida cultura di base ed autorevolezza in campo internazionale. Luigino non ha né l’una né l’altra cosa. Comunque era un rospo che bisognava ingoiare. Un ministero importante al capo delegazione dei 5 Stelle, ex vicepremier e ministro, bisognava pur darglielo e allora gli è toccato gli Esteri. Speriamo lo aiutino gli ambasciatori, che dicono siano bravi, e lo stesso Conte. Invece è inconcepibile la presenza di Teresa Bellanova, alle Politiche agricole. Non per la mise sfoggiata al Quirinale, le cui critiche sono state comunque di cattivo gusto, ma per altro. Ha il merito di essere andata a lavorare nei campi dopo aver conseguito il diploma di terza media. Ma un ministro dell’Agricoltura non deve sapere solo come si coltiva il grano o il girasole, serve dell’altro, non come pensano da sempre i bolscevichi che sottovalutano un settore che pure si chiama primario. A Bruxelles, tra l’altro, c’è da definire entro brevissimo tempo, possibilmente entro il 2019, la Pac (politica agricola comune) 2021-2027, il regolamento di una delle politiche comunitarie di maggiore importanza, che impegna il 39% del bilancio dell’Unione Europea, poco più di 400 miliardi di euro. Sostiene, aiuta e tutela gli agricoltori dell’Unione. L’Italia, per farsi valere, ha bisogno di un ministro che non solo conosca le lingue, ma conosca le questioni e abbia autorevolezza: è un po’ lo stesso discorso fatto per Di Maio. La signora Bellanova non possiede nessuno di questi requisiti. Conte era a conoscenza di queste scadenze e della loro importanza? Viene il dubbio che non sapesse nulla. Gli agricoltori sono disperati.

Altra designazione incomprensibile è quella di Paola De Micheli alle Infrastrutture e Trasporti. La De Micheli ha preso il posto di Danilo Toninelli che non aveva fatto bene e allora la De Micheli che in circa due anni in cui è stata commissario per il terremoto di Marche e Umbria e ha costretto i terremotati ad andare diverse volte a Roma per protestare in piazza per l’abbandono e la totale incapacità di gestire questo problema, che ha fatto? Sarebbe stato opportuno chiedere informazioni agli abitanti di Amatrice e Norcia prima di affidarle le Infrastrutture. Certo è una vera runner, e ha partecipato anche ad una maratona di New York. Boh. E lasciamo stare, per ora, il resto della squadra. Forse Conte e Mattarella hanno voluto dimostrare che nella vita non bisogna mai disperare, perché in questo nostro sventurato Paese, studi, competenze e meriti sono solo banali dettagli. Un pessimo, amaro messaggio ai giovani all’inizio del nuovo anno scolastico.  

Fortunato Vinci Agenzia Stampa Italia

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