La sanità umbra agli arresti, rossa di vergogna

 

(ASI) Non sappiamo ancora se i reati ipotizzati dai Pm (abuso d’ufficio, rivelazione, favoreggiamento e falso) nei confronti degli esponenti di primo piano della politica e della sanità umbra, arrestati ed indagati ieri, troveranno conferma nei processi che seguiranno, quindi vale per tutti loro la presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione, tuttavia l’intreccio perverso e illegale tra clientelismo, affari e politica, messo sotto accusa dalla procura della Repubblica di Perugia rappresenta un terremoto nel  modus operandi  imbarazzante della Regione rossa per eccellenza come l’Umbria. Fa un certo effetto, è inutile nasconderlo, sapere che è stato arrestato Giampiero Bocci, da qualche mese segretario regionale del Pd, ma nei governi Letta, Renzi e Gentiloni sottosegretario all’Interno (all’Interno!) e il suo ruolo nella vicenda ai magistrati è sembrato di primo piano, non solo per i raccomandati e le clientele che sapeva imporre in Umbria, ma anche perché (per questo è accusato pure di “favoreggiamento”) sembra che abbia tentato di intralciare le indagini che sono state portate avanti con eccellenza,  utilizzando microspie ed altre sofisticate tecnologie, dai Pm Paolo Abbritti e Mario Formesano sotto la supervisione del procuratore Luigi Ficchy, in collaborazione con la Guardia di Finanza.

L’associazione per delinquere per truccare e condizionare le assunzioni nell’ospedale faceva in modo “che l’intera procedura concorsuale diventava svuotata di ogni valenza in quanto gli indagati ne decidevano le sorti in maniera del tutto indipendente da ogni valutazione di merito”, scrivono gli inquirenti nell’ordinanza firmata dal gip Valerio D’Andria, ed è di una gravità inaudita, trattandosi di affidare ai “raccomandati” la salute dei cittadini. Una candidata non è riuscita a fare bene nemmeno sapendo prima le tracce delle prove scritte e le domande dell’orale. Arrestati pure l’assessore regionale alla sanità, Luca Barberini, e con lui i vertici dell’azienda ospedaliere di Perugia, il direttore generale Emilio Duca, per lui anche la corruzione perché pare che abbia promosso (posso scrivere così perché facevano come se la Regione e l’azienda sanitaria fosse casa loro) una donna dopo aver fatto sesso con lui; poi il direttore amministrativo Maurizio Valorosi e il direttore sanitario Diamante Pacchiarini, con altre 29 persone indagate. La presidente della Regione, Catiuscia Marini (Pd) è indagata per abuso d’ufficio e rivelazione di segreto d’ufficio, ma dalle intercettazioni pare che sia stata protagonista nel favorire più di una assunzione illecita.  Che l’inchiesta sia stata fatta tra enormi difficoltà, come mettono in evidenza gli inquirenti, è inquietante, perché sta a confermare come il potere sia stato consolidato negli anni non solo con una “prolungata e abituale attività illecita” ma anche con un freno dai poteri più o meno forti, e più o meno occulti, agli organi inquirenti. Infatti non è la prima volta che si parla di inchieste sulla gestione del potere dei vari enti in Umbria, ma ogni volta è stato messo subito a cuccia chi aveva la pretesa di voler far luce sugli “affari” che sembravano gravi e noti a tutti. Questa inchiesta è anche il naturale epilogo, triste e penoso, di un governo, quello di nove anni della giunta di Catiuscia Marini, il peggiore, sotto qualsiasi profilo, che abbia mai avuto l’Umbria.

Intanto il segretario del Pd, Nicola Zingaretti ha deciso di commissariare la federazione umbra del partito, nominando commissario il presidente regionale dei Dem, Walter Verini. Un altro passo, Zingaretti avrebbe dovuto farlo, chiedendo le dimissioni di Catiuscia Marini, non solo per l’inchiesta, ma per il fallimento politico a ripetizione, iniziato con il comune di Todi e proseguito con la Regione, travolgendo il Pd che ha la responsabilità e la colpa grave di averla imposta, incomprensibilmente, a tutti i costi.   

Fortunato VinciAgenzia Stampa Italia

 
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