(ASI) La Babele di questi giorni, del dopo elezioni, intendo, era ampiamente prevista, perché una legge elettorale come il “Rosatellum”, vergognosa e illegittima sotto il profilo costituzionale, non poteva che portare a questa confusione.

E devo aggiungere che sono molto sorpreso nel sentire i richiami di questi giorni al senso di responsabilità rivolto ai partiti dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Perché questo senso di responsabilità è mancato, prima di tutti, proprio al Capo dello Stato quando ha promulgato senza batter ciglio questa legge elettorale. Quando si è accorto che avrebbe provocato il caos, e anche se non si fosse accorto lui e il suo folto ufficio giuridico legislativo, lo avevano ampiamente previsto tutti, sui giornali, avrebbe dovuto e potuto, perché previsto dalla Costituzione, rinviarla alle Camere con le motivazioni che di certo non sarebbero mancate. Cosa che non è stata fatta ed ora siamo in questa situazione di stallo. In attesa di trovare i compromessi indispensabili per formare un governo, e cercare di evitare di tornare a votare, con un’altra spesa di 300 milioni di euro che con questi chiari di luna non è affatto un dettaglio. Oltre, ovviamente, al vuoto e all’incertezza amministrativa che un repentino scioglimento del Parlamento comporterebbe. Intanto è il caso di diradare un po’ di nebbia dentro cui qualcuno (anzi, più d’uno) sta cercando di avvolgere il voto del 4 marzo. I consensi dati al Movimento 5 Stelle è sì un voto di protesta, ma che va letto non come un populismo becero come vorrebbero far credere, ma, al contrario, come una critica severa e responsabile al governo del Pd, non solo quello nazionale, con quelle cervellotiche riforme che hanno messo in ginocchio il Paese, ma anche per quello che hanno fatto nelle regioni e nei comuni, dove ad amministrare ci sono i dem. Quando si dice che l’esposizione televisiva di Matteo Renzi ha avuto l’effetto di affondare il partito di cui era il segretario non si dice che quando vedeva Renzi c’era chi era subito indotto a pensare che il figlio sarebbe stato precario a vita per quel capolavoro che è stato il Jobs Act. Qualcun altro pensava che la sera non può uscire di casa perché le strade sono invase da emigranti che grazie a quel cocktail di buonismo e business ha fatto invadere il nostro Paese di stranieri. Quando vedevano sullo schermo quel faccione rubicondo a molti veniva in mente la “buona“ scuola, quella riforma tra il presuntuoso e il demenziale che è riuscita nell’impresa di scontentare tutti. E poi tanti altri clamorosi errori fatti per incapacità, presunzione ed ignoranza. Io penso che se non ci fossero stati quelli che hanno votato il Pd a prescindere, il partito sarebbe pressoché scomparso. E nonostante questo il ducetto di Rignano d’Arno vuole ancora dare le carte dopo quelle ridicole dimissioni. C’è, tra le altre cose, un altro punto da chiarire, assai irritante per come è stato trattato ed è la motivazione della valanga di consensi del Sud al Movimento 5 Stelle. A votarlo - ha scritto qualche pennivendolo - sono stati i meridionali che non hanno voglia di lavorare e pensano solo al reddito di cittadinanza. E’ un insulto intollerabile fatto a milioni di cittadini che hanno invece solo il torto di abitare dove si vive di meno, dove gli ospedali sono strapieni e per una visita specialistica bisogna aspettare molti mesi, dove i posti di lavoro non ci sono e quei pochi sono riservati ai raccomandati, dove le strade sono adatte solo ai trattori cingolati. Malumori, disagi, paure, ecco perché hanno votato per i 5 Stelle, per cambiare la pessima gestione pubblica del Pd e dei suoi compari, che hanno visto e sopportato per tutti questi anni. E anche perché nel loro programma c’è anche la lotta alla mafia e alla corruzione. E a proposito del reddito di cittadinanza, sul quale peraltro io non sono d’accordo, criticato, per il costo, dagli economisti dell’austerità, è il caso, con onestà intellettuale, di fare chiarezza. Dicendo che c’è già in molti Paesi, e poi che non è una promessa elettorale dei grillini, ma un obiettivo dell’Europarlamento che ha detto che non bastano gli 80 euro e qualche altra piccola misura per l’inclusione.
Ora che cosa potrà succedere? Sul ritorno alle urne c’è da tenere conto, con semplice pragmatismo, che tutti gli eletti hanno famiglia e non credo che abbiano intenzione di rinunciare subito, e a cuor leggero, con il rischio di non venire poi più rieletti, ad un seggio in Parlamento. Questo è un deterrente di non poco conto che, ne sono certo, nei prossimi giorni farà da collante, molto più che gli appelli al senso di responsabilità. E della partita non potrà che esserci il Movimento 5 Stelle che è il primo partito e che rappresenta quasi 11 milioni di elettori. Luigi Di Maio potrebbe trovare alcuni punti programmatici in comune con Matteo Salvini, che nelle ultime ore sembra più disponibile al confronto dopo aver escluso in maniera categorica di poter intavolare un dialogo con il Pd. Nel centrodestra sembra contrario a questa prospettiva Silvio Berlusconi, ma lui che è uomo di mondo (e che mondo!) al potere non rinuncia mai, lui, poi, oltre alla famiglia (allargata) ha l’azienda e non potrà andare tanto per il sottile. Fa lo schifiltoso adesso ma solo per alzare la posta, dopo aver provato a neutralizzare Salvini proponendolo come candidato del centrodestra a presidente del Senato, ma il leghista non è caduto nella trappola. Se adesso i protagonisti sono soprattutto i 5 Stelle e la Lega è perché sono i veri ed unici vincitori di queste elezioni. Prima troveranno una soluzione per la presidenza della Camera e del Senato e poi proveranno ad impostare un’ipotesi di governo. I due partiti da soli avrebbero la maggioranza sia alla Camera, 348 seggi, sia al Senato, 170. Ma Salvini non vuole rompere con Berlusconi perché insieme governano molti enti locali e dunque farà di tutto per coinvolgere sia Forza Italia sia Fratelli d’Italia, allargando così una maggioranza che avrebbe 487 seggi alla Camera e 244 al Senato. Questo è lo scenario più probabile. Ci sarebbe anche, certo con qualche difficoltà in più, e con una maggioranza più risicata, specie al Senato, un piano B per Luigi Di Maio: un accordo con il Pd. I dem sarebbero contrari in linea di principio, ma anche i pentastellati non farebbero salti di gioia, tuttavia, vista la situazione, bisogna in qualche modo adeguarsi e trovare una soluzione che, comunque vada, sarà frutto, ovviamente, di inevitabili compromessi. Il Pd, dopo una disfatta elettorale pesantissima, dialogando con i 5 Stelle, avrebbe due opportunità straordinarie, La prima è quella di voltare pagina, di ribellarsi all’arroganza di Matteo Renzi che anche da ex segretario vorrebbe imporre il suo volere che è quello di tenere il partito all’opposizione; la seconda è che il Pd potrebbe uscire dal sarcofago dove lo ha sepolto Renzi. Altre soluzioni non ci sono perché sarebbe assurdo, oltre che antidemocratico e anticostituzionale (Costituzione, art.1 “La sovranità appartiene al popolo”) lasciare fuori dal governo i 5 Stelle che hanno preso, con una legge fatta apposta per penalizzarli, il 32,7% dei voti, con 227 seggi alla Camera e 112 al Senato.
Fortunato Vinci –Agenzia Stampa Italia

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