(ASI) – Mentre si susseguono le campagne pubblicitarie per invogliare il turismo in Umbria, la regione resta tra le meno raggiungibili d’Italia. Lo sanno bene gli oltre 29.000 pendolari umbri di Trenitalia che ogni giorno vivono la loro vita di lavoratori tra treni affollati, corse soppresse, convogli spesso sporchi, vecchi e dalla manutenzione scadente. Nel frattempo la politica preferisce incentrare il dibattito sulla sola questione dell’alta velocità.
I treni che non ci sono e i diritti negati
L’Umbria è una regione a vocazione turistica, come del resto la quasi totalità del territorio nazionale italiano. La differenza sta nel fatto che tra le regioni del centro nord è quella che investe di meno sul vettore ferroviario. Il paradosso Umbria si riflette anche se paragonata con regioni del meridione da sempre note per la scarsità d’investimenti. Come riportato sul quotidiano “UmbriaOn” da Gianluigi Giusti del Coordinamento Comitati Pendolari Umbri “la regione Umbria investe 3,95 euro procapite (vale a dire per ognuno dei suoi abitanti) contro gli 11,70 della Toscana, i 9,78 dell’Emilia Romagna e i 6,74 della Campania”. Ancor più impietoso e drammatico il paragone con le altre regioni se si pensa che il piano dei trasporti regionali umbro prevede chiaramente la dichiarazione di priorità al trasporto su ferro. Nei fatti invece è la gomma a farla da padrona. Molto spesso senza successo. Molte corse di treni umbri infatti vengono sostituite quotidianamente con autoservizi determinando un aggravio dei costi per la comunità non indifferente a livello di usura delle infrastrutture stradali e delle spese sanitarie legati alle patologie derivate dallo smog e dall’impatto ambientale che gli autobus hanno sulla regione e sui suoi abitanti. Tra l’altro, proprio in merito agli stessi abitanti, e soprattutto a quanti hanno necessità di spostarsi quotidianamente per lavoro anche 7 giorni su 7, essi sembrano essere totalmente trascurati dalla regione, così come sembrano esserlo gli stessi turisti chiamati a visitare e conoscere le bellezze dell’Umbria. A fronte di altre regioni che si impegnano tutto l’anno per garantire il trasporto ferroviario per i propri cittadini 365 giorni l’anno, e potenziare i servizi nella stagione turistica, in Umbria tutto ciò non avviene. Al contrario, la percezione di una certa fatica da parte della regione a garantire anche i servizi minimi è palese in treni con percorrenze ridicolmente alte, e veri e propri buchi d’orario in cui l’utenza non ha a disposizione alcun servizio ferroviario, soprattutto nei giorni feriali. Così, mentre da Bergamo partono veri e propri “super” regionali veloci che collegano la città con la riviera Adriatica, e sulla stessa riviera adriatica, tanto dalla parte romagnola, quanto da quella marchigiana, comuni e regioni hanno provveduto a disporre sconti ed agevolazioni per quanti utilizzino il treno anziché l’auto o il pullman; l’Umbria resta isolata per ore ogni giorno. Oltre al danno la beffa: ogni giorno la stessa Umbria è percorsa da autobus che viaggiano semi vuoti e da un servizio Foligno – Magione di dubbia utilità tanto per i turisti, quanto per pendolari e residenti. Mentre tutto questo accade, la discussione sul collegamento dell’Umbria con l’alta velocità ferroviaria è approdata oggi in consiglio regionale. Così, mentre la discussione sulle opportunità di costruire o meno la famigerata stazione Medio Etruria, o di prolungare un Freccia Rossa da Arezzo su Perugia, imperversa a palazzo Cesaroni, decine di migliaia di lavoratori, ma anche di turisti, viaggiano ogni giorno tra mille disservizi e difficoltà. Tutto ciò senza che si intraveda una vera attenzione da parte della politica e dei media per quella che è la fetta di gran lunga maggiore di utenti della ferrovia, anche considerando l’eventuale futuro aggancio dell’Umbria all’Alta Velocità ferroviaria. Il tutto senza considerare tutti quei lavoratori che di fatto sono costretti ogni giorno a scegliere di spostarsi con l’auto privata a causa dei disservizi presenti che di fatto sono configurabili come una palese lesione del diritto costituzionale alla mobilità dei cittadini che in Umbria viene sistematicamente negato praticamente ogni giorno.
Cause ed effetti: il punto di Gianluigi Giusti
Ma com’è possibile? E soprattutto perché si è giunti a questo punto? Nell’articolo di “UmbriaOn” lo ha spiegato lo stesso Gianluigi Giusti. “Occorre risalire a quando, nel 2000, è stata concessa autonomia regionale in materia di trasporto ferroviario locale. A partire da tale momento, le regioni sono state chiamate a definire di concerto con la società di gestione del trasporto ferroviario la quantità, i costi e gli standard di qualità dei servizi. Ovviamente, ciò ha avuto ripercussioni differenti nei vari territori, virtuose o meno a seconda delle scelte che hanno caratterizzato le politiche in materia. Se è vero che negli ultimi anni lo Stato ha tagliato fino al 19,1% dei fondi per trasporto pubblico su ferro, è altrettanto vero che alcune Regioni non hanno minimamente inteso sopperire a tali carenze con risorse proprie, limitandosi per lo più ad utilizzare quelle (minime) provenienti dal Fondo Nazionale per il Trasporto Pubblico Locale, anche Ferroviario per le Regioni a Statuto Ordinario. L’Umbria, purtroppo, è tra queste”.
Bilancio regionale: il calderone dove tutto si mischia
“La situazione” – prosegue Giusti - “è poi peggiorata da quando è stato deciso a livello regionale di imputare al bilancio generale, anziché alla voce Trasporti, le somme che Trenitalia annualmente versa per penalità e decurtazioni, così determinando un’ulteriore riduzione delle già scarse risorse disponibili per tale settore. La Corte dei Conti, che di ciò è stata interessata con un esposto del febbraio scorso, farà senz’altro luce sulla correttezza o meno di tale scelta che comunque, anche a prescindere dalla eventuale regolarità contabile, sta avendo ripercussioni negative per i viaggiatori. I risultati di siffatte politiche sono sotto gli occhi di tutti: dal punto di vista strumentale, l’età media dei materiali utilizzati da Trenitalia per i servizi sovra regionali è di oltre 25 anni, più o meno come quella dei convogli in uso dal gruppo Busitalia Sita Nord (exFCU); dal punto di vista del servizio, è un susseguirsi di malfunzionamenti, ritardi, carenze, con eclatanti vuoti di orario in alcune significative fasce giornaliere durante tutto l’arco della settimana. Come non ricordare a tal proposito la più volte segnalata mancanza di treni diretti il sabato pomeriggio da Perugia per la Capitale e viceversa, o ancora la mancanza di convogli per quattro ore nella mattinata dei giorni feriali che arrivano addirittura a cinque ore e trenta minuti nei festivi, verificatasi a seguito della modifica dell’orario di partenza di un IC per Ancona, sulla direttrice Roma/Foligno/Perugia – Ancona? O anche il fatto che sempre, nel pomeriggio dei giorni festivi, mancano collegamenti per circa quattro ore sulla stessa direttrice verso Roma?
Regionale Veloce non significa servizio limitato
Siamo ben consapevoli che i Regionali Veloci siano oggi treni ricadenti nel Trasporto Pubblico Locale, ma in sostanza essi non sono altro che la prosecuzione storica dei vecchi collegamenti di media/lunga distanza classificati Direttissimi/Diretti, poi divenuti Espressi/Interregionali etc.etc., rientranti a suo tempo nel cosiddetto Servizio Universale (Stato/FS) e passati poi in carico delle Regioni con l’accordo di Tivoli del 2000. Quindi collegamenti di interesse primario per la collettività. Però siamo altrettanto coscienti che non ci si può trincerare dietro un mero cambio di nome o una modifica di competenze per giustificare tempi morti così lunghi nei servizi, magari ripetendo il solito ritornello della mancanza di risorse. Anche perché il perpetuarsi dell’assenza di collegamenti per lunghi periodi, per un verso colpisce il cittadino che vede compressi i propri diritti costituzionali alla mobilità e al lavoro, esponendo i soggetti gestori anche al rischio di eventuali azioni risarcitorie, per l’altro va a totale detrimento dei flussi turistici in una regione, come l’Umbria, che sembra limitarsi a fare spot per invitare a visitare le sue bellezze, senza ovviare alla carenza di collegamenti ferroviari per raggiungerle”.
L’accusa
“Da tutto questo si evince” – prosegue Giusti –“ che la nostra regione non considera ne strategico ne prioritario il trasporto ferroviario. Lo dimostrerebbe il fatto che, non siano state fin’ora utilizzati per il Trasporto Pubblico le risorse dei programmi finanziari europei quali i Fondi Strutturali e d’Investimento Europei (SIE), utilizzabili per la mobilità urbana, gli ex Fondi FAS – ora Fondi sviluppo e coesione – previsti per le aree sottosviluppate e il piano operativo delle infrastrutture, né gli altri programmi europei quali Jaspers, Interreg, Urbact 3, Horizon 2020. Tantomeno, forse, si è pensato di attingere al Connecting Europe Facility (CEF) che ha la finalità di minimizzare le criticità ed ovviare a problematiche esistenti non solo nelle reti energetiche e digitali, ma anche nei trasporti. Senza dimenticare, infine, le possibilità offerte dal cosiddetto piano Junker – il Fondo Europeo di Investimenti Strategici (FIES) – di cui alcune Regioni Italiane (ad esempio il Lazio) intendono avvalersi proprio per i Trasporti/Infrastruttura. Per completezza di informazione i fondi SIE e FIES possono essere complementari. D’altro canto, ad oggi, solo pochissimi politici umbri hanno levato la voce verso la lunga gestazione nel completamento della tratta Spoleto – Campello, così come contro il mancato raddoppio della Terni – Spoleto. Eppure il CIPE, nella seduta del 10 agosto 2016, ha espresso parere favorevole sullo schema di aggiornamento 2016 del Contratto di Programma (CdP) di Rete Ferroviaria Italiana 2012-2016, parte investimenti, sottoscritto il 17 giugno 2016 e approvato con legge 1 dicembre 2016 n. 225, per l’opera “Raddoppio Orte-Falconara: tratta Spoleto-Terni”, facente parte della legge obbiettivo (primo programma delle infrastrutture strategiche, delibera n. 121 del 21/12/01). Ed è evidente che tale opera è strategica per la nostra regione sia in funzione del trasporto passeggeri che di quello merci, anche per ovviare a realizzazioni strutturali destinate a rimanere cattedrali nel deserto, come la piattaforma logistica sulla direttrice Terni-Narni. Ciò conferma che il Trasporto Ferroviario nella nostra Regione è caratterizzato da significative carenze di risorse che si calano in una situazione di totale incertezza caratterizzata anche da una sottovalutazione delle problematiche, che oltre a penalizzare le condizioni del servizio, impedisce qualsiasi forma di pianificazione di investimenti a medio e lungo termine. Lo dimostra, anche, lo stato attuale dell’Infrastruttura della exFCU, su cui si soprassiede dallo spendere ulteriori parole vista l’evidenza dei fatti da tutti percepibile. Se si continua di questo passo non è detto che, in Umbria, prima o poi non si possa arrivare ad un taglio del 20% dei servizi ferroviari con tutto quello che ne conseguirebbe.
Fosche ombre sul futuro: direttive europee e mancanze organizzative
E cosa accadrà quando dal 24/12/17 entrerà in vigore il regolamento europeo UE 2016/2338, che modifica il regolamento europeo CE 1370/2007, in base al quale le Autorità competenti di ogni Stato membro dell’Unione Europea (Stato, Regioni, Enti locali) dovranno stabilire per il trasporto, sia su ferro, sia su strada, le specifiche degli obblighi di servizio pubblico – Pubblic Service Obbligation (PSO) e il relativo ambito di applicazione, potendo anche, se necessario, raggruppare i servizi remunerativi con i servizi non remunerativi? Probabilmente a quel punto si che ne vedremo delle belle. Come potrebbero arrivare, in futuro, sgradite sorprese dalla attività di vigilanza dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) sul rispetto degli impegni presi dai sottoscrittori nei Contratti di Servizio Pubblico sia in termini di condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto passeggeri per ferrovia, siano essi nazionali che regionali, caratterizzati da obblighi di servizio pubblico (OSP), che quantità dei servizi erogati, che il gestore del servizio deve garantire, idonei a conseguire il soddisfacimento delle esigenze essenziali di mobilità dei passeggeri, in condizioni di utilizzo funzionale delle risorse pubbliche che vengono destinate alla compensazione degli obblighi di servizio pubblico, nonché di congruità e regolarità dei pagamenti dei corrispettivi pubblici. In chiusura, si parla tanto del IV Pacchetto Ferroviario come un’opportunità sociale ed economica e che, secondo il Ministro Delrio, consentirà all’Italia di essere protagonista dello spazio unico europeo. Maggiori scambi e più connessioni favoriranno l’offerta di massima qualità nei servizi ai cittadini europei. Lo spazio unico aprirà anche nuove opportunità economiche e culturali per l’Italia e l’Europa. E allora è il caso che coloro che ci governano in Regione comincino sin da subito a dare risposte concrete a quelle migliaia di persone che quotidianamente utilizzano il servizio ferroviario locale e che rappresentano in gran parte quella classe media di lavoratori che si dice in declino ma che non si aiuta mai, senza limitarsi a fare sterili proclami, dato che questo, come più volte evidenziato, sta diventando sempre più un problema sociale. Un problema che, forse, solo loro non hanno compreso in tutto il suo vasto portato e in tutta la sua stringente gravità”.
Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia