(ASI) Verrebbe da chiedersi, se non fosse un gioco al massacro, chi sta peggio tra il Pd, il Centrodestra ed il Movimento 5 Stelle. La risposta è più semplice, e drammatica al tempo stesso, di quanto si possa immaginare: il Paese.
Gli affanni, i tormenti, le angosce degli italiani, assediati dalle tasse e dai migranti, dal debito pubblico e da quello delle banche, di cui, incredibilmente, si devono fare carico, dalla corruzione e dalle mafie, in un’economia solida come un castello di sabbia, non interessano a nessuno. A nessuno dei politici, intendo. Infatti non pensano a soluzioni per almeno tentare di risolvere i tanti, infiniti problemi. No. E in un certo senso si possono capire: i problemi sono delle gente comune, i governanti non solo non li percepiscono, non sanno nemmeno che esistono. Si capisce da come agiscono, da come amministrano, da quello che votano, da quello che dicono ogni volta che vanno in Tv. Il dibattito serrato, aspro, spregiudicato è solo e soltanto sui posti di potere. E’ difficile dire se sia stato sempre così, ma la situazione generale non era così drammatica come oggi.
Domenica è andata in scena lo show nel Pd. Otto ore di discussioni, di confronti e scontri nell’assemblea dei delegati del partito, terminata con l’eventualità di una scissione tra la maggioranza interna che, come si sa, fa leva sulla leaderschip di Matteo Renzi e la minoranza (ormai ex) con due principali antagonisti Enrico Rossi e Roberto Speranza, oltre, naturalmente, a Bersani e D’Alema. All’ultimo momento si è sfilato Michele Emiliano, dopo mesi di critiche feroci a Renzi e al governo, è rimasto nel Pd. E sfiderà proprio Renzi per la segreteria, con l’assoluta certezza di perdere.
Matteo Renzi ha aperto i lavori con una lunga ed appassionata difesa di tutto quello che ha fatto in questi tre anni come presidente del consiglio. Concludendo dicendo che bisogna continuare così. Dopo di che si è dimesso ma presentando già, da subito, onde evitare dubbi e incertezze, la sua candidatura alla segreteria al prossimo congresso. Deludendo gli avversari, che avrebbero sperato, e voluto, che le dimissioni fossero definitive. Una ingenua illusione perché Matteo Renzi, tra l’altro, non ha nemmeno un lavoro. Lasciare la politica (come peraltro aveva detto di fare se avesse perso il referendum) sarebbe stato un salto nel buio, ormai non può fare che il politico, purtroppo. Tra l’altro, ha detto che il Movimento 5 Stelle è gestito dalla “Casaleggio associati”. Si è dimenticato di aggiungere, come pensano tutti gli avversari, e pare anche a qualche Pm, che il Pd è gestito dalla Renzi (Matteo e il babbo Tiziano) associati. E così il primo candidato alla segreteria sarà ancora lui: “Mi potete battere con le elezioni, ma non mi potete cacciare”.
A ricordare gli errori che ha commesso Renzi ed il suo governo è intervenuto, immediatamente dopo, Guglielmo Epifani: dalla legge elettorale al Jobs Act, dalla riforma della scuola alla politica fiscale. Tutti errori che hanno avuto l’effetto di far arrabbiare milioni di elettori che hanno voltato le spalle al Pd. “E per stare in questo Pd - ha concluso l’ex sindacalista - ci devo pensare”. Se ci sarà la scissione vera, e con quali truppe, lo vedremo nei prossimi giorni, vista la confusione che regna sovrana, ma c’è da chiedersi perché se Renzi ha sbagliato quasi tutto - come penso e scrivo anch’io da anni - non ha mai trovato ostacoli sulla sua strada, nel partito e soprattutto in Parlamento. Le leggi sono state tutte votate dalla maggioranza, se si vuole anche raccogliticcia, ma formata anche dai 47 deputati e 20 senatori che adesso farebbero parte del gruppo degli scissionisti. Meglio tardi che mai? E no. Perché non hanno votato contro? Se fossero stati convinti delle conseguenze pesanti e negative di quelle riforme avrebbero avuto il dovere (il dovere, perbacco!) di votare contro, di bloccare tutto. Perché non lo hanno fatto? Non per spirito di partito, che è una banale sciocchezza alla quale non crede nessuno, ma perché Renzi avrebbe minacciato di fare la crisi, mandando a casa deputati e senatori, e a molti di loro sarebbe finita definitivamente la pacchia. Ricordo che si è permesso il lusso di sostituire, peraltro senza che nessuno si scandalizzasse, alcuni presidenti di commissione parlamentare per il sol fatto che non erano allineati perfettamente con quanto deciso da lui. Ora, con la bocciatura della legge elettorale maggioritaria ed il ritorno al proporzionale, ai dissidenti si aprono ampi spiragli, oltre al fatto che spetterebbe loro anche quella vergogna, che un Paese allo sbando come il nostro non si potrebbe permettere, che sono i “rimborsi elettorali”, peraltro bocciati quasi all’unanimità in un referendum truffa, che per i nuovi, eventuali gruppi sarebbero di 2,2 milioni di euro alla Camera e 1,2 milioni di euro per il Senato. Ma dove vanno a finire tutti questi soldi? Chi li prende? Che cosa ci fanno? Qualcuno lo sa? Tutto questo mentre il Cireneo Gian Carlo Padoan è a Bruxelles ad implorare altri margini di bilancio per fare più debiti per un Paese che sta andando a picco.
Fortunato Vinci – Agenzia Stampa Italia