Dott. Cappellari, quali novità introducono al dibattito storiografico intorno alla II guerra mondiale le sue opere?
Sembrerà strano che un argomento così dibattuto come lo sbarco di Anzio – o, meglio, come si dovrebbe in realtà chiamare, di Nettunia – nasconda ancora delle “sorprese” storiografiche. Durante i lunghi anni di ricerca mi sono imbattuto in alcuni episodi che la vulgata antifascista e anti-italiana aveva censurato. Già parlare di sbarco di Nettunia e non di sbarco di Anzio, inquadra bene la situazione. Si è passati da una “versione” storiografica scritta in omaggio ai cosiddetti “liberatori”, a una ricostruzione dei fatti storici libera da quella sudditanza morale che da sempre ha contraddistinto gli studiosi italiani. Fa piacere evidenziare il fatto che, dopo l’uscita del libro, anche sulle riviste specializzate di storia incominci a comparire con sempre maggiore frequenza il termine “sbarco di Nettunia”. Evidentemente, abbiamo colto nel segno. Ma, denominazioni a parte, è stata per la prima volta inquadrata questa operazione anfibia nel più ampio scenario della politica internazionale e della geopolitica seguita dagli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Abbiamo presentato lo sbarco di Nettunia come una manovra britannica tendente a “trattenere” in Italia la guerra, ossia una manovra politica con la quale Churchill tentò di mantenere una qualche influenza nei confronti dei due grandi alleati USA-URSS. Un tentativo maldestro che finì per travolgerlo. Il fallimento dell’operazione anfibia, infatti, rappresentò il colpo di grazia all’idea di una Gran Bretagna che, cedute tutte le posizioni di preminenza internazionale, mantenesse almeno un dominio sul Mediterraneo. Una vera e propria beffa. L’Impero britannico – dopo quello francese – tramontava…
Per decenni lo sbarco degli anglo-americani sulle coste laziali e il loro ingresso a Roma hanno goduto di una sorta di aurea mitica volta a disintegrare sul nascere ogni discussione a riguardo; ci racconti invece in quali difficoltà incorsero le truppe alleate durante il loro cammino…
Sembrerà assurdo pensare che un esercito come quello angloamericano, nel 1944, potesse incontrare delle difficoltà sul fronte italiano, data la disparità delle forze in campo. Eppure fu così. Le strade che portarono i carri armati del Gen. Clark a Roma furono lastricate di cadaveri dei giovani soldati alleati. Molti Ufficiali si giocarono la carriera durante la Campagna italiana. Certamente, un prezzo troppo alto per un traguardo militarmente secondario nel quadro dei futuri sviluppi della Seconda Guerra Mondiale. Cassino e Nettunia, ma anche Salerno, rappresentarono le tappe di un calvario non preventivato. L’Italia non fu il “ventre molle” dell’Asse, ma uno scoglio sul quale si infransero le ambizioni britanniche di predominio mondiale.
Ci tiene a porre particolare attenzione su di un fatto avvenuto a Cisterna di Littoria il 30 gennaio ’44; di cosa si tratta?
La battaglia di Cisterna di Littoria del 30 gennaio 1944 è uno di quegli episodi oscuri che per decenni è stato presentato sotto la distorta e falsa lente della propaganda di guerra alleata. Scopiazzata, naturalmente, dagli storici italiani di stampo antifascista. Questa battaglia fu descritta come un epico conflitto in cui i soldati statunitensi scrissero una delle più belle pagine di gloria dell’U.S. Army. In realtà, nostre ricerche hanno appurato che quello che avvenne a Cisterna di Littoria rappresentò essenzialmente la pagina più umiliante scritta dall’U.S. Army. Nonostante che furono impiegati i migliori reparti alleati presenti nello scacchiere mediterraneo, i Rangers, i Germanici seppero respingere il tentativo di infiltrazione, chiudendo in una sacca gli attaccanti e annientando ogni tentativo di ritirata. Ai Rangers non restò far altro che arrendersi in massa, Ufficiali in testa, senza impegnarsi in eroiche resistenze. In poche ore, vennero fatti centinaia di prigionieri, che poi furono fatti sfilare per le vie della Capitale. Pochissimi i morti, nonostante le leggende. Si trattò di uno dei più grandi disastri militari della storia dell’U.S. Army. Questo non è mai stato scritto da nessuno. Come mai? Semplicemente perché la “storia dello sbarco” doveva avere una funzione politico- pedagogica, ossia doveva “educare” le nuove generazioni di Italiani al mito dei “liberatori”. Purtroppo per i maldestri politicanti nostrani, la Storia – quella con la “S” maiuscola – della pedagogia politica spesso non sa che farsene…
In che proporzioni, per l’Italia di allora, può essere riassunta l’adesione alle armi sul fronte laziale da parte dei giovani volontari che difesero Roma dagli alleati?
Quella dei reparti della RSI sul fronte di Nettunia fu certamente una presenza simbolica, che non cancella gli eroismi di cui furono protagonisti i “ragazzi di Mussolini”. In queste zone si affrontarono decine di migliaia di uomini e, naturalmente, la presenza di diverse centinaia di soldati italiani non cambiò le carte in tavola. Tuttavia, sarebbe delittuoso dimenticarli – come si è fatto per decenni – o sminuire il loro contributo alla battaglia in difesa di Roma, come si tenta oggi. La presenza italiana, però, non si limitò alla sola prima linea, alla guerra di trincea e pattuglie tipica del fronte di Nettunia. A ridosso di questo settore operativo v’erano diverse migliaia di Italiani inquadrati nei Battaglioni del Genio Militare della RSI, di cui troppo spesso si ignora il sacrificio. Senza dimenticare le centinaia di Italiani schierati nella Flak. Per il resto, parlano i bollettini di guerra germanici, che non sono avari di complimenti sul comportamento tenuto dai reparti della Repubblica Sociale Italiana. La presenza di queste unità rappresentò una vittoria politica di Mussolini, che dimostrò come gli Italiani sapevano ancora battersi e riscattò – almeno in parte – lo stereotipo dell’Italiano “traditore” e “perdente”. I reparti della RSI sul fronte di Nettunia dimostrarono che la Repubblica Sociali Italiana non aveva mancato alla sua missione: combattere per l’onore d’Italia.
Credo che in pochissimi conoscano l’epopea di quei romani che, all’arrivo delle truppe alleate in città, scelsero di non riversarsi nelle strade per ricevere gomme americane e sigarette, bensì di salire sui tetti per formare comitati d’accoglienza tutt’altro che benevoli verso gli anglo-americani. Ce ne parli…
Per decenni si è dipinto i fascisti romani come dei sadici criminali e dei codardi-pagliacci. Forti fin quando erano “sostenuti” dai Germanici, vigliacchi quando si avvicinarono gli Alleati. Nelle Università, per non parlare delle scuole, questa è la versione che va di moda. Eppure, questa descrizione del fascismo romano, alla luce dei documenti da noi ritrovati, dimostra tutta la sua superficialità e la chiara malafede degli storici antifascisti. Tra il 4 e il 6 giugno 1944, cecchini fascisti e germanici si opposero, armi alla mano, all’entrata degli Statunitensi nella Capitale. Anche Roma, come Napoli prima e come Firenze poi, ebbe i suoi “franchi tiratori”, gruppi di fascisti, ma anche singoli, che all’entrata degli Alleati presero i fucili e tentarono un gesto disperato, quanto altamente simbolico. La First Special Service Force, la prima unità a entrare nella Capitale, subì perdite pesanti in tre giorni di scontri. Se è vero che tanti romani si gettarono ai piedi dei “liberatori”, è pur vero che questo idillio finì ben presto e, come scrisse un Ufficiale badogliano, Roma si trasformò in un’immensa casa di prostituzione (morale e fisica), prima conquista delle ritrovate “libertà” democratiche. La presenza dei cecchini fascisti dimostrò che oltre alle prostitute, ai voltagabbana, ai profittatori e agli speculatori, a Roma vi era anche gente di alti ideali patriottici. Qualcosa che deve far meditare. Come mai non si dice questo agli alunni delle scuole?
Forse per i medesimi motivi per cui non si dice che le truppe yankee esportarono a Roma altri “prodotti tipici”, a fronte di una propaganda che enfatizza solo le gomme da masticare e le sigarette…
Proprio questo volevo evidenziare. Le truppe di occupazione anglo-americane compirono crimini da sempre ignorati dalla vulgata antifascista e anti-italiana. E, quando proprio non si sono potuti occultare, questi crimini sono stati sempre moralmente giustificati. Facciamo un esempio concreto: alle Fosse Ardeatine, i Germanici fucilarono, durante una feroce e inumana rappresaglia (fattispecie giuridica prevista dalle Convenzioni internazionali di guerra), 335 civili ed esponenti della Resistenza; gli Alleati, nella loro guerra ai civili italiani, nella sola Roma, durante i loro vergognosi bombardamenti terroristici, provocarono la morte di più di 7.000 romani. Basti fare un raffronto per comprendere la disparità di come sono stati tramandati i due drammatici eventi. Le scolaresche che vengono portate in gita nei “sacri luoghi dell’antifascismo” fanno un’esperienza storica o politica? E’ evidente la strumentalità di come certi eventi sono presentati alle giovani generazioni. Non si rischia forse di seminare odio? E, forse, non è proprio questo che gli antifascisti vogliono? Ecco perché la Storia non interessa a nessuno. La Storia è una scienza e, quindi, delle favole degli antifascisti non sa che farsene. Di fronte alle evidenze scientifiche i “gendarmi della memoria” emergono un muro – invocando anche leggi speciali limitanti la libertà di ricerca – contro gli storici che, documenti alla mano, smontano le loro fantasiose ricostruzioni politico-pedagogiche.
Riguardo al mito della resistenza partigiana a Roma e nel Lazio cos’ha da dirci?
Certamente ben poco. La Resistenza fu un fenomeno complesso ed eterogeneo, legato a condizioni di tempo e di luogo che impediscono di liquidare il fenomeno con una frase. A meno che, invece di fare Storia, si faccia politica e, allora, il discorso è totalmente differente. In poche parole, possiamo solo definire militarmente ininfluente l’apporto della guerriglia alle operazioni di guerra degli Angloamericani, sia a Cassino, sia a Nettunia. Precisando, si può solo evidenziare l’assenza della Resistenza nelle provincie di Frosinone, Littoria e Roma – dove avrebbe avuto un alto valore militare – e così anche a Viterbo. Discorso a parte meritano la “Città Aperta” di Roma – ove erano presenti i GAP, piccole unità dedite al terrorismo – e la provincia di Rieti, dove si formarono diverse bande partigiane che trovarono ospitalità nei luoghi isolati che contraddistinguono questa regione montuosa e dove si registrarono episodi inquietanti come stupri, sequestri di persona, rapine, omicidi, occultamenti di cadavere, ecc. che portarono a dure conseguenze per la popolazione civile. Ma questa, evidentemente, è tutta un’altra storia che con lo sbarco di Nettunia e con le operazioni militari degli Alleati in generale non c’entra davvero nulla.
Il suo libro Lo sbarco di Nettunia e la battaglia per Roma termina con un capitolo dall’eloquente titolo “Fu davvero una vittoria?”; perché questo interrogativo?
Mi permetto di ricollegarmi a quanto già evidenziato in una precedente risposta. Se è vero che militarmente gli Alleati vinsero, è altrettanto vero che il prezzo pagato per questa vittoria superò ogni preventivo, sia in termini di tempo, sia in termini di vite umane. Ma, oltre questi “dettagli” – così li chiama qualcuno – è una realtà che la Campagna d’Italia rappresentò una dura sconfitta politica per l’Impero britannico. Era sceso in guerra contro l’Asse per difendere la Polonia – almeno così sosteneva – ed era stato costretto a vendere i Polacchi all’URSS, con tutto quello che ne conseguiva: la sovietizzazione dell’Europa Orientale. La guerra scatenata per la “libertà” da Francia e Gran Bretagna era solo una guerra per salvaguardare il loro dominio planetario, ma le prime gravi sconfitte subite e l’entrata in guerra degli USA cambiarono improvvisamente le carte in tavola. La Francia si eclissò sotto i carri armati germanici, l’Inghilterra sotto quelli… americani! Ormai ridotta ad alleato secondario, fu costretta a vedere tutti i suoi “dorati piedistalli” cadere uno ad uno. Tentò allora di preservare il dominio del Mediterraneo, lo “spazio vitale” per un’egemonia marittima che permettesse di salvare il suo Impero. E’ da queste constatazioni che nasce la Campagna d’Italia, il ritardo allo sbarco in Normandia, il sostegno ai partizan di Tito, l’intervento in Grecia contro i comunisti. Tutte scelte che verranno pagate a caro prezzo e non garantirono alla Gran Bretagna quella “forza morale”, oltre che militare, necessaria per preservare la sua missione imperiale. Un Impero che andrà in frantumi in pochi anni. E pensare che Hitler e Mussolini lo avevano predetto: alleandosi con i Soviet e con gli USA, i Britannici avrebbero dovuto rinunciare al loro primato mondiale. Quel primato per il quale avevano scatenato una guerra mondiale. Un controsenso, non credete? Sotto questo aspetto, Churchill, sempre dipinto come il “difensore della libertà”, “l’evangelizzatore democratico”, appare più come l’affossatore dell’Impero britannico… Per quanto riguarda la democrazia e la “libertà” rimangono gli ultimi 66 anni di guerre americane a indicare come quei “motti” altro non erano che politica “puritana” a stelle e strisce, che nascondevano il nuovo predominio mondiale che si stava sostituendo a quello anglo-francese: quello degli Stati Uniti d’America.