Referendum. L’intervista: Giacomo Leonelli (PD) spiega le ragioni del “SI”

leonelli(ASI) Giacomo Leonelli, consigliere e segretario regionale del Pd umbro, nel corso di un intervista gentilmente concessa, spiega le ragioni del “SI” al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre.
                                                                                 

- Perché al referendum costituzionale che, lo ricordiamo, apporterà modifiche alla stessa costituzione del nostro paese, gli italiani dovrebbero votare “si”?

Io credo che questa riforma si regga su 4 pilastri che danno anche il senso dei contenuti della riforma. Superamento del bicameralismo perfetto, che porta ad un procedimento legislativo più snello, ed al tempo stesso ad una maggiore stabilità di governo, perché la fiducia viene data da una sola camera. Riorganizzazione delle competenze stato – regioni. Si va a chiarire quello che fa lo stato e quello che fanno le regioni. Sembra una vicenda burocratica ma non lo è. Ci sono tante materie su cui le regioni, o comunque le autonomia locali hanno attivato dei percorsi nel corso degli anni anche con sprechi importanti. Se pensiamo per esempio agli aeroporti, ogni regione, ogni provincia ha voluto fare il suo aeroporto. Ma gli aeroporti vanno mantenuti. Oltre due terzi degli aeroporti italiani sono interni. Questo da la misura di una mancanza di gestione centrale sul tema, oltre che in altri ambiti come l’energia, la sanità; con ovvie ricadute sulle tasche dei cittadini. Terzo punto: la partecipazione. Vengono introdotti nuovi mezzi di partecipazione democratica alla vita istituzionale, con l’abbassamento del quorum sui referendum abrogativi. Oggi se si vuol far fallire un referendum abrogativo si sta a casa. A questo numero si sommano quelli che stanno a casa fisiologicamente. Ecco, così, con la riforma, il suddetto numero verrà abbassato e quindi il referendum abrogativo diverrà uno strumento più efficiente. Viene inoltre introdotto il tema delle leggi di iniziativa popolare che devono essere esaminate dal parlamento. Oggi, tanti cittadini si sono mobilitati nel corso degli anni sulle leggi di iniziativa popolare, ma il problema è che questi moduli contenenti le iniziative degli italiani, sono riposti in qualche cassetto nei palazzi del parlamento. Quindi nessuno è stato mai tenuto ad analizzarli e a votarli. Infine, abbassamento dei costi della politica. Si tratta della prima vera riforma per abbassare i costi della politica. Spariscono 315 senatori, con le loro 315 indennità e con i loro 315 vitalizi. Mentre lo stipendio dei consiglieri regionali, circa mille in tutta Italia, viene sensibilmente abbassato. Si tratta della prima volta in cui la politica, dopo anni di chiacchiere, riforma se stessa e prova a dare un inversione di marcia sulla questione della sobrietà e dei costi.

- Abbiamo toccato alcuni temi come la clausola di supremazia, e le modalità partecipative del popolo. I fautori del “no” sostengono che la clausola di supremazia porterà lo stato a poter decidere unilateralmente anche contro il parere di comuni e regioni con ovvie ripercussioni, quali il rischio di opere pubbliche problematiche ma di interesse strategico per il paese, quali discariche, inceneritori, ecc… Tutto questo contro la volontà dei cittadini. Lei che risponde a queste critiche?

Non è così. Questa è una cosa che non mi convince. Nessuno va contro il volere dei cittadini. Nessuno va contro il parere di sindaci ed amministratori locali a “gratis”. Ci sono delle barriere in cui questo paese è rimasto per troppo tempo impantanato. Quando ci sono da fare delle scelte di rilevanza nazionale, è giusto che ci si prenda le responsabilità di tali scelte. Non si può pensare che quando si deve trovare la sintesi di interessi contrapposti la strada sia sempre il pantano da cui non si esce mai. Per cui alla fine, un governo chiamato dagli italiani a guidare deve poter fare scelte di cui potersi prendere le responsabilità. D’altra parte capita in tutta Europa. Non dimentichiamo che la camera delle autonomia ci sta apposta. Cioè il senato, che si trasforma in camera delle autonomie, ci sta apposta per rappresentare le istanze e gli interessi di comuni e regioni. Chiaramente le autonomie locali potranno far sentire la loro voce in quella sede.

- Riguardo invece l’articolo 117, i sostenitori del “no” affermano che questo porterà ad una sottomisio0ne ai diktat di Bruxelles. Secondo lei è uno scenario plausibile?

Si tratta di un'altra cosa non esatta. Hanno creato un caso su una modifica letterale di fatto, perché si passa dalla parola “ordinamento comunitario” a “Unione Europea”. Mi pare chiaro che quella costituzione è stata fatta ai tempi della comunità europea, quando io ero bambino ed andavo a scuola, si parlava di CEE, comunità economica europea, cioè la famosa Europa dei 6. Oggi siamo in un contesto che è l’Unione Europea con i suoi stati membri, per cui è evidente che c’era bisogno di un aggiornamento. Dopodiché che l’Italia sia chiaramente vincolata a direttive e regolamenti europei, non lo dice certo la riforma che andremo a votare il 4 dicembre. Ma lo dicono dei trattati internazionali che abbiamo sottoscritto. Già oggi l’Italia è vincolata al rispetto dei vincoli e delle direttive europee. Quindi questa mi sembra l’ennesima tempesta in un bicchiere d’acqua da parte dei comitati del “no” che ne dimostra le difficoltà crescenti. I cittadini stanno finalmente decidendo nel merito delle questioni importanti della vita istituzionale. Mi sembra che si stia cercando di ricorrere ad una suggestione ideologica per influenzare l’elettorato. Quest’ultimo noi percepiamo che sta sempre entrando nel merito delle questioni.

- Parlando del nuovo senato. Ci potrebbe spiegare meglio il meccanismo che ci sarà per la nomina dei senatori nella nuova camera delle autonomie?

Su questo c’è chiaramente l’impegno politico del Pd ad eleggere i senatori scegliendoli tra i consiglieri regionali. Che le autonomie locali siano rappresentate in una camere non è un invenzione di nessuno. Accade in tanti paesi europei. In Germania per esempio c’è la camera dei Land, cioè delle regioni. Anche in Francia c’è un ordinamento simile. Quindi non è niente di inventato. Tra l’altro è nelle proposte della politica del centrosinistra da vent’anni il superamento del bicameralismo perfetto, e l’evoluzione del senato nella camera delle autonomie. Tutto questo va proprio nella direzione di rafforzare le istanze dei territori. Quindi sull’elezione c’è un impegno diretto del Pd ad eleggerli. Dopodiché anche questi poveri consiglieri regionali che vengono additati di essere una sorta di “sepolcri imbiancati” della casta, insomma io sono consigliere regionale, e sono stato eletto dai cittadini. Come me anche gli altri 19 colleghi del consiglio regionale dell’Umbria. Tutti eletti direttamente e con le preferenze. Che la morale ci venga fatta da senatori, e parlamentari deputati eletti con le liste bloccate, in un contesto perciò in cui i cittadini non li hanno potuti scegliere, mi pare francamente che faccia un po’ sorridere. Quindi mi pare che la riforma sia chiara. I nuovi senatori saranno eletti proporzionalmente nei consigli regionali. Esemplificando. Se una regione elegge tre consiglieri regionali, il governo non potrà nominarli tutti e tre senatori, ma si andrà ad eleggerli su una base proporzionale. Questo garantisce anche una adeguata proporzionalità anche nella rappresentanza delle parti politiche nel nuovo senato. Tutto questo al contrario di quello che dicono i comitati per il “no” che affermano che una parte politica di maggioranza potrebbe fare man bassa dei senatori attraverso i consiglieri regionali.

- Domanda legata a questo tema. Al recente convegno tenuto alla Sala dei Notari dal movimento 5 Stelle, l’On. Luigi Di Maio ha affermato che se vincesse il “si”, con l’attuale maggioranza alla camera in mano al Pd, e di conseguenza ci sarebbe pure una netta maggioranza al senato, se poi alle politiche vincesse una forza politica diversa, ci sarebbe il rischio paralisi. Poiché ci sarebbero due maggioranze diverse tra camera e senato. Lei crede sia uno scenario plausibile?

Innanzitutto da quello che mi dice, mi pare di capire che Di Maio abbia abbassato i toni. Era convinto di vincere. Per anni il loro slogan è stato “vinciamo noi”. Invece da quello che mi dice, potrebbe invece stare dando per scontata la vittoria del “si”. La prendo come una cosa positiva. A parte la battuta, anche in questo caso è un ragionamento che io non condivido affatto. Innanzitutto succede in molti paesi che la maggioranza alla camera delle autonomie sia diversa da quella alla camera dei deputati. Il problema non è nella diversità di maggioranze poiché con il superamento del bicameralismo paritario diventano diverse le materie di legiferazione. Il 97% delle leggi le farà la camera dei deputati. Su quel 3% dove chiaramente va coinvolto invece il senato. Si parla perciò dei temi legati alle autonomie locali e ai rapporti internazionali, paradossalmente a me non spaventa che ci sia una maggioranza diversa in senato. Anzi, sarebbe un rafforzamento del tema che su quello che conta si coinvolgerà anche il senato in un ottica votata alla ricerca di ragionamenti meno di parte e più condivisi con le forze che non sono al governo. Su questo mi pare proprio una contraddizione un ragionamento come quello che lei mi dice abbia fatto Di Maio, che io non ho sentito di persona. La verità è che la paralisi c’è oggi. Con l’attuale costituzione che dice che il senato viene eletto su base regionale, e con il bicameralismo perfetto che dice che camera e senato cono tenute a far le stesse cose, proprio al senato non si riesce ad avere la maggioranza assoluta. Renzi deve governare con i voti di Alfano. Letta doveva governare con i voti di Berlusconi. Monti doveva governare con i voti di tutti. Berlusconi sappiamo tutti quali sono state le sue manovre acrobatiche per le maggioranze in senato. La paralisi c’è oggi. E ci sarà sempre la paralisi se non si cambia, perché comunque, chiunque andrà a governare, per avere la maggioranza al senato dovrà sempre fare le larghe intese, cioè quello che c’è oggi che noi dobbiamo assolutamente superare. Non mi sorprende che il Movimento 5 Stelle su questo voti “no” perché loro hanno interesse a queste larghe intese. Quando puoi sparare sul mucchio dicendo “vedete noi siamo gli unici puri che non creiamo alleanze dove stare tutti insieme nella gestione della cosa pubblica” chiaramente questo ti porta un consenso elettorale. Credo che il ragionamento di Di Maio sia profondamente contraddittorio perché la paralisi c’è oggi. In quell’altro modo, anche ove ci fossero maggioranze diverse tra camera e senato, non ci sarà ,mai nessuna paralisi.

- In conclusione si può dire che il vostro intento è quello di procedere ad una riforma che porterà a governi più stabili, meno “inciucio” tra le forze politiche, ed il tutto rispettando le autonomie locali?

Si mi sembra un ottima sintesi. Più stabilità perché cin la fiducia data da una sola camera non ci sarà più quella corsa ai senatori a vita, o l’ “acquisto” di senatori tra una parte e l’altra che si vendono per 30 denari. Al tempo stesso non ci sarà più l’inciucio perché chi vincerà avrà il diritto - dovere di governare per 5 anni. Mi permetta di dire che c’è bisogno che chi vince, anche per un voto in più, deve poter governare per 5 anni per poi render conto agli italiani. L’attuale meccanismo invece per cui tutti vincono e tutti perdono, ed i cittadini non capiscono mai chi perché quello che hanno votato deve fare un governo con quello cui si è opposto in campagne elettorale, è un sistema che ha stancato e che allontana la democrazia dai cittadini e dalla istituzioni in una sorta di marmellata in cui si mettono tutti d’accordo. Quindi meno inciuci ed anche una valorizzazione del parlamento e della velocità di legiferazione. Il problema della velocità delle leggi è vero che oggi è superabile. Basta fare una convocazione d’urgenza di ambo le camere ed il voto di fiducia. Soltanto che è una distorsione. Un parlamentare chiamato semplicemente a pigiare un bottone perché altrimenti con il voto di fiducia va a casa anche lui, capite da soli che ha poco margine discrezionale sulle scelte che si fanno. Quindi insomma è giusto recuperare la centralità del parlamento.

- Ma se come diceva lei il 97% delle leggi le farà la camera dei deputati, i cittadini e le istituzioni locali, quali strumenti avranno per far sentire la loro voce in caso non siano d’accordo?

Avranno più strumenti di oggi. Anzitutto va detto che se un governo vuole fare una forzatura la fa uguale. Fa una decretazione d’urgenza e mette la fiducia. Per cui diciamo non è che una camera blocca quello che è l’iter di una legge che il governo vuole. Con gli attuali strumenti, il cittadino può fare un referendum abrogativo, ma con l’attuale ordinamento è difficilissimo che un referendum abrogativo passi. Mentre invece con la riforma costituzionale cambia anche il quorum per un referendum abrogativo che viene abbassato e quindi ci sono molte più possibilità che passi. Al tempo stesso vengono presentate le leggi d’iniziativa popolare. Oggi, come dicevo prima, abbiamo scaffali pieni di moduli e di firme di cittadini che hanno chiesto l’introduzione di una modifica legislativa, perché con l’attuale costituzione il parlamento non è vincolato a tenere contro di quelle proposte. Invece con la riforma ci sono molti più meccanismi di partecipazione diretta che non con il vecchio ordinamento. Dopodiché dobbiamo avere anche un rispetto del principio della democrazia parlamentare. Questo sistema per cui se uno vince le elezioni anche con un voto in più la prima preoccupazione deve essere farlo governare, è un sistema che va superato. Blocca l’Italia. Una volta vince uno, una volta vince un altro, ma questo sistema va comunque superato sennò il paese rischia di restare ancorato nel porto delle nebbie.

- Ci saranno adeguati contrappesi insomma?

Il tema dell’abbassamento del quorum sul referendum abrogativo permetterà ai cittadini, in caso una legge non piaccia, di poterla abrogare. Solo che oggi, per poterla abrogare, hanno bisogno che il 52% dell’elettorato partecipi a quel referendum. Questo di fatto non succede più da almeno venti anni. Diversamente con la riforma costituzionale, ove ci sia una maggiorazione delle firme depositate da 500.000 a 800.000, il quorum strutturale sarà abbassato per cui per avere validità quel referendum basterà che voti solo la metà degli elettori che hanno votato alle precedenti elezioni politiche (che diverrebbero le elezioni per la camera dei deputati).

Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia

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