(ASI) Roma – La battaglia per il referendum costituzionale continua senza freni. Varie iniziative si stanno formando su entrambi i fronti, quello del “Sì” e quello del “No”. Ma al momento il più mobilitato dimostra di essere il versante contrario alla riforma costituzionale.
Nel “No” si stanno coagulando varie forze provenienti anche dagli ambienti più dissimili ed eterogenei. Vi si trova il centrodestra di opposizione al governo Renzi, il quale ha dato vita ai “Comitati per il No”. Sigla che racchiude Forza Italia, Lega Nord – Noi con Salvini, Fratelli d’Italia, ovvero i maggiori partiti del centrodestra. Ma questa formazione referendaria oltre che ai partiti già citati, si apre anche ad altre entità politiche contrarie al progetto di riforma, e a contributi provenienti dalla società civile. Il “Comitati per il No” afferma di battersi contro una riforma che rischia di portare il Paese ad una “deriva autoritaria” del governo, e che lede profondamente i poteri di rappresentanza delle istituzioni locali, come le regioni. “Una riforma voluta da un presidente del consiglio non eletto dai cittadini – si legge in una delle note diffuse dal Comitato – che riduce la democrazia attraverso un sistema di finto monocameralismo ed una legge elettorale capace di produrre un potere smisurato nelle mani di un solo uomo al comando. Una riforma che lede al cittadino il diritto di scegliere i membri deputati a rappresentarlo nelle istituzioni: il cittadino infatti potrà eleggere direttamente solo alcuni dei membri della Camera dei deputati. I componenti del Senato invece saranno nominati dai consigli regionali e dai comuni con un sistema di elezione ancora non legiferato. Il nuovo disegno costituzionale riporterà attraverso la clausola di supremazia tutti i poteri in mano allo Stato, in dissonanza con la riforma del 2001 che attribuisce maggiori poteri alle Regioni, considerato che così com’è scritta non sono ben chiare quali funzioni spetteranno allo Stato o, alle Regioni. Questo non farà altro che creare confusione producendo maggiori contenziosi fra Stato e Regioni ed e per questo e non solo che bisogna dire ‘no’ ad una deriva autoritaria. Tutt’oggi viviamo in una democrazia sospesa e c’è da chiedersi come sia possibile che ancora non venga definita una data per il referendum, unico strumento rimasto nelle mani nel popolo e che ridà voce ai cittadini”.
Ma oltre che con il centrodestra, Matteo Renzi deve fare anche i conti con i dissapori interni al Partito Democratico. Dissapori che si stanno trasformando in pesanti spaccature, e che hanno portato figure di spicco del partito ad immettersi in prima persona nel fronte del “No”. Il 5 settembre al cinema Farnese di Roma, Massimo D’Alema annuncia “Fonderemo un comitato nazionale per il No. Il presidente sarà Guido Calvi.” Nell’occasione era riunita una folta folla proveniente per lo più dalle fila del P.D. e che sono contrarie alla riforma del loro segretario Matteo Renzi. Ci sono presenti anche alcuni rappresentati della minoranza non renziana del Partito Democratico, ma che non ha mandato i dirigenti più importanti – come ad esempio Pier Luigi Bersani – all’appuntamento di D’Alema per non dare una visione di spaccatura interna. In sala vi erano anche il capogruppo dei deputati di Sinistra Italiana Arturo Scotto e Alfredo D’Attorre. E di fronte a questo parterre il fu Premier del biennio 1998 – 2000, asserisce che la sua intenzione non è quella di dividere il Partito Democratico ma di salvaguardare la democraticità del Paese. «Non abbiamo nuovi capicorrente. Non ci interessa il P.D. come oggetto del nostro impegno, ma ci interessa il Paese. C’è un sistema democratico fortemente indebolito» – ha dichiarato Massimo D’Alema.
Matteo Renzi dal canto suo cerca di portare avanti il fronte del “Sì” alla riforma, mobilitandosi in prima persona e mobilitando i suoi sostenitori, alle feste dell’Unità e lanciando pesanti strali alla schiera del “No”. Non risparmiando nemmeno D’Alema. E proprio alla chiusura della festa dell’Unità di Catania tenutasi domenica 11 settembre, Matteo Renzi dichiara «Questa è la riforma della nostra storia, del nostro passato. E siccome quelli come D'Alema sono talmente esperti di passato che vorrebbero fregarci il futuro, continuando tutti i giorni con risse e polemiche, noi diciamo che questa riforma è la riforma del Pd, come lo era quella dell'Ulivo e del Pds».
Federico Pulcinelli – Agenzia Stampa Italia