Quelle mezzecalzette che stanno portando il Paese alla bancarotta

renzi1(ASI) Fui tra i primi, quando sulla scena politica comparve Matteo Renzi, ad esultare per il suo arrivo. Mai stato di sinistra, anzi sempre nell’area moderata, di liberale convinto. Epiche le mie critiche, per tre lustri, dalle colonne de “Il Tempo”, contro i bolscevichi dell’Umbria, eppure quell’uomo giovane, intraprendente, battagliero, con l’intenzione di voler rottamare tutto quello che di sporco c’era nel nostro Paese, mi intrigava; di più: mi convinceva e addirittura mi entusiasmava.

Così che senza un minimo dubbio, pagando anche due euro, andai a sostenerlo alle primarie contro Pierluigi Bersani. Pensai di investire altri due euro, ritornando al seggio per le primarie, quando il confronto fu con Pippo Civati e Gianni Cuperlo. Con il tempo, però, la fiducia in quell’uomo, che immaginavo potesse dare una svolta positiva al nostro sventurato Paese, è via via diminuita, oggi non solo non c’è più, ma sono fermamente convinto che bisogna mandarlo a casa prima possibile. Sta rovinando l’Italia, ammesso che non l’abbia già fatto. La bancarotta è veramente dietro l’angolo. Mai i miei soldi (i quattro euro) furono così male investiti. Mai errore di valutazione fu così macroscopico.

Come si fa - mi chiedo sconcertato - a non accorgersi dei danni che ha già prodotto. Come si fa a non capire che racconta il falso. Come si fa a non capire che non ne ha azzeccata una. Lui con quel suo governo di mezzecalzette, Boschi, Madia, Orlando, Poletti, Guidi, Martina, Giannini, Lorenzin, Alfano, Padoan e compagnia bella.

Dal disastro dell’emigrazione a quello delle banche, al disastro delle riforme (costituzionale, scuola, lavoro, Rai...) questi hanno già fatto molti più danni del terremoto. L’economia è allo stremo, si va avanti (si fa per dire) tra stenti ed improvvisazioni, come il gioco delle tre carte che fanno i disperati nei vicoli di Napoli.

Matteo Renzi una sola cosa doveva fare, subito, rivoluzionaria, essenziale, che sostengo inascoltato da anni, che capiscono tutti, che sanno tutti senza essere statisti, anche quelli che hanno fatto solo le serali: abbassare la pressione fiscale. Insopportabile (per chi i tributi li paga, naturalmente) che come un cappio sta ormai soffocando l’economia ed il Paese. Renzi, invece di far diminuire la pressione fiscale, con tutti quei provvedimenti assurdi e demagogici, l’ha fatta aumentare, come sta facendo aumentare il debito pubblico che è anche difficile sapere a quanto ammonta perché cresce di minuto in minuto. Pazzesco. Tra gli altri effetti perversi, c’è stato di fatto un aumento dell’evasione fiscale, perché (oltre a quelli che ne approfittano) ci sono tanti che lo fanno per sopravvivere. Infatti è impossibile combatterla seriamente per una ragione semplicissima. Se tutte le attività produttive dovessero pagare per intero le imposte e le tasse, dovrebbero fare una sola cosa: chiudere. Senza la riforma sul fisco, tutto il resto è inutile.

Vorrei che qualcuno mi spiegasse tra i sostenitori del governo, che peraltro diminuiscono di giorno in giorno, che senso può avere favorire (peraltro con costi altissimi) le assunzioni (ammesso che il Jobs act le abbia favorite) se non si rilanciano i consumi. I nuovi assunti in azienda (si scrive a tempo indeterminato, ma vuol dire: quando vuole l’imprenditore) se non cresce la domanda di beni e servizi che fanno? Giocano a carte? Questo, come si capisce facilmente, è un passaggio cruciale. Lo so, qualcuno mi potrebbe far rilevare che per abbassare la pressione fiscale ci vogliono notevoli risorse. Obiezione accolta: questo è certamente vero. Ma è altrettanto vero che nel nostro Paese gli sprechi sono infiniti e vergognosi. E si potrebbero trovare anche con estrema facilità, come fanno quasi tutti i giorni Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul Corriere della Sera. Non a caso, tra le buone intenzioni, c’è la spending review (come rendono chiare le idee queste espressioni in inglese) che significa “revisione della spesa pubblica, cioè un’analisi finalizzata a razionalizzare e rendere più efficiente e senza sprechi la spesa dello Stato e delle sue strutture (ministeri, tribunali, istruzione pubblica, sanità) e delle amministrazioni decentrate (regioni, province, comuni)”. Sono stati anche nominati i commissari che, però, via via se ne sono andati quando hanno capito che il governo non aveva nessun intenzione di fare seriamente il taglio degli sprechi. Certo, bisognava fare la vera rottamazione e ci voleva coraggio, quello che si ha avuto solo con i pensionati ai quali sono stati tagliati anche i pochi euro ai quali avevano diritto per la rivalutazione monetaria.

L’ultimo “commissario” ad aver abbandonato è stato il prof. Roberto Perotti, che domenica 4 settembre, in una intervista concessa a Federico Fubini del Corriere, ha fatto un’analisi profonda, autorevole ed articolata su quello che finora ha fatto il governo. Se Matteo Renzi fosse stato una persona seria, dopo aver letto quello che ha detto il professore, doveva chiudere il giornale, chiamare un taxi e andare al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Per totale, acclarata, manifesta incapacità di governare.

Anche perché la replica al professor Perotti da parte di Yoram Gutgeld, attuale commissario alla spending review, sempre sul Corriere, non solo non è stata convincente, ha dimostrato di essere una toppa peggio del buco. Un buco ulteriormente allargato dalla controreplica di Perotti.  

Fortunato Vinci - Agenzia Stampa Italia

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