(ASI) “Mi assumo la responsabilità di aver introdotto quel “reiterate”. Ciononostante, credo sia manifestazione di umiltà, ma anche di disponibilità, sentire ragioni contrarie alle proprie iniziali opinioni e aver rivalutato questo contesto normativo”.
Lo dichiara il presidente della Commissione giustizia del Senato, Nico D’Ascola nel corso del suo intervento in aula sul ddl che introduce il delitto di tortura nell’ ordinamento italiano. “È stato rivalutato proprio alla luce di quello che io già mi ero permesso di dire, ma che credo sia utile ricordare. La parola “reiterate” non introduce il rischio di un reato continuato, ma di un reato abituale, che è cosa diversa, cioè che per la tipicità della condotta sia necessario reiterare, magari in tempi anche diversi, quindi in giorni diversi, le medesime condotte di tortura, determinando ovviamente una tale rarefazione della norma da procurarne la inapplicabilità. Noi abbiamo ritenuto di tutelare le Forze dell'ordine, come è doveroso fare. Per questo – prosegue D’Ascola - avevo ritenuto di dire all'esordio che questa è una norma equilibrata, che tiene conto della necessità di tutelare persone destinatarie di condotte violente e offensive, ma anche ovviamente le forze dell'ordine, per esempio accogliendo quell'emendamento che vuole che intanto la tortura implichi un nucleo iniziale di illiceità. Infatti, il pubblico ufficiale che si mantenga nel perimetro dei poteri e nel rispetto dei doveri connessi alla funzione, ovvero al servizio se si tratta di incaricato di un pubblico servizio, non ha nulla da temere. La locuzione al plurale «violenze e minacce gravi» implica che non potrà mai ritenersi sussistente la tortura se vi è un unico atto. Gli atti – conclude il presidente - devono essere plurimi, quindi non uno solo, ma la reiterazione determinerebbe quel rischio di ritenere quel reato abituale, come i maltrattamenti in famiglia tanto per fare una esemplificazione che coglie l'idea”.