(ASI) Umbria - Intervista esclusiva al segretario regionale del Pd umbro, Giacomo Leonelli, che analizza il risultato delle amministrative e individua le necessità per il futuro.
-Incominciando dalle vicende di casa nostra. Assisi dopo 20 anni, passa dal centrodestra al centrosinistra. Quale sono state le cause di questo ribaltone?
Una proposta fortemente innovativa rispetto ad un ciclo politico che ritenevamo esaurito. In questi 20 anni si sono alternati Bartolini, Ricci, Lunghi, poi Bartolini ha fatto il vice sindaco di Ricci; insomma tre figure che hanno monopolizzato la scena politica di Assisi per vent’anni. Ci siamo presentati con un progetto fortemente innovativo, aperto al civismo, con un offerta del Pd ricca di giovani. Anche ad Assisi era arrivato il momento di cambiare. Altro asso del Partito Democratico sono state le buone capacità dei candidati del Pd che alla fine sono state premiate.
-La coalizione che ha vinto ad Assisi è stata definita “il laboratorio dei civici”; da notare che Stefania Proietti, la candidata di coalizione e nuovo sindaco di Assisi, proviene appunto dalla società civile e non è iscritta al Pd. Non solo la Proietti, ma anche numerosi altri elementi provenivano dal civismo. In quale senso si parla di “laboratorio civico”?
Si tratta di una coalizione in cui comunque il Pd è largamente prevalente. Il partito ha preso il 60% dei voti di questa coalizione. Porta 6 consiglieri su 10 della maggioranza. Credo che dunque il “marchio” Pd sia ben evidente. Stefania, pur non essendo iscritta al partito, è una persona che può offrire tanto alla città di Assisi, e credo non ci sia nulla di male ad attingere a figure magari che possano avere un valore aggiunto nella società civile. Il centrosinistra del resto lo faceva già vent’anni fa quando candidò Bracalente al consiglio regionale dell’Umbria. Io credo che il Pd non abdichi alla sua missione se propone figure di spessore della società civile. Anzi, mancherebbe alla propria missione se candidasse figure di secondo piano, anche se iscritte al Pd.
-Assisi fa parte dei risultati positivi che il Pd ha colto nel corso di questa tornata di amministrative. Ma nel quadro generale i successi a questa tornata delle amministrative sono stati in verità assai pochi. Lei come vede questa che lo stesso segretario del partito Matteo Renzi, ha definito come una sconfitta? Quali implicazioni avrà?
Sicuramente i risultati non sono soddisfacenti. Quanto alle implicazioni dal punto di vista nazionale ora vedremo cosa verrà fuori dalla direzione nazionale del partito di venerdì. Sicuramente è un risultato elettorale che ci dice che dobbiamo cercare di interpretare questa volontà e richiesta di rinnovamento della società italiana. Andrà analizzata poi anche l’inedita mobilità dell’elettorato di centrodestra nei confronti dei candidati del 5 Stelle, ma è da notare che ci sono anche comuni dove abbiamo perso contro il centrodestra. Bisogna in sostanza prendere atto che non c’è più una rendita di posizione. Non c’è più una realistica possibilità di vincere sulla mera continuità. Questo per noi è un cambiamento importante in quanto, nella nostra filosofia politica, il ricandidarsi per un secondo mandato era da considerarsi un valore aggiunto. Ciò non significa che sia impossibile rivincere al secondo turno. Però l’indicazione generale è che, anche se magari si è stati fautori di una buona interpretazione di governo, si finisce per essere comunque svantaggiati rispetto a soggetti che partono dal basso, che sono nuovi della politica, che sono giovani e che pertanto vanno incontro alle esigenze del rinnovamento.
-Si possono individuare tre casi esemplificativi della tornata elettorale del PD: Roma, con la Raggi che ha trionfato con un margine di 30 punti sul candidato Pd, Torino dove Piero Fassino è stato sconfitto e Varese dove il Pd ha riportato una storica vittoria, al pari di quella di Assisi, ma contro un centrodestra ben più forte e risoluto a “trazione” leghista. Lei che ne pensa?
In sostanza a Varese possiamo dire che si è verificato quanto affermavo precedentemente. Evidentemente quel sentimento di innovazione e di cambiamento lo abbiamo interpretato noi e abbiamo vinto. La novità di oggi è che magari il Pd è in grado di vincere nelle città più difficili e di perdere in quelle più facili. Questo è un dato di fatto ormai. Assisi lo dimostra. Assisi per noi era nettamente la città più difficile. Una città dove avevamo oltre 25 punti di distacco alle regionali con il centrodestra. Non c’è più ormai alcuna rendita di posizione e tutto può succedere. Su tutto questo andrà impostata la nuova strategia. Sicuramente dovrà prevedere la partecipazione dal basso, volti nuovi, rinnovamento, nuove energie da infondere nelle città e nelle comunità, schierando una compagine non auto referenziale così, come non auto referenziali dovranno essere i candidati. Tutto questo affinché ai ballottaggi si possa arrivare con una proposta che sia apprezzata come accaduto a Varese e ad Assisi.
-Tornando sul caso di Torino e Roma, una riflessione si rende forse necessaria analizzando le diversità tra le due realtà. La capitale era ovviamente un terreno difficile poiché affetta da molteplici e gravi lacune amministrative, però Torino non aveva problemi amministrativi gravi e manifesti. Che ne pensa? Secondo lei c’è una sovrapposizione tra la realtà e la necessità di cambiamento ad ogni costo? Il “nuovismo” finisce con lo schiacciare quelli che sono i reali meriti e le reali mancanze?
Potrebbe in effetti essere così. Io però la vedo in questo modo: c’è la necessità di arrivare ai ballottaggi assicurandosi che i cittadini abbiano sempre chiaro il progetto e risultati dei cinque anni di mandato in modo da poter essere certi che il voto sia effettivamente corrispondente a quello che è stato l’apprezzamento e l’efficacia dell’esperienza amministrativa. Purtroppo, spesso però accade che, nonostante il carattere positivo di queste esperienze di governo, questo non basti a controbilanciare un esigenza di rinnovamento rispetto al passato che finisce per manifestarsi nei ballottaggi. A queste amministrative abbiamo visto tanti casi esemplificativi di questa tendenza. Senza fare esempi di parte, basta guardare che questa tendenza ha riguardato tanto il centrosinistra quanto il centrodestra. A Matera ad esempio, il sindaco uscente era lo stesso che aveva ottenuto il titolo di capitale europea della cultura strappandolo a Perugia. Questa impresa era riuscita dopo che il sindaco di Matera aveva favorito notevoli investimenti e pompato tante di quelle risorse nel capoluogo della Basilicata, che penso proprio si possa dire abbia amministrato bene. Eppure ha perso perché non è riuscito a confermare la propria ricandidatura. A Pavia, quello che secondo Il Sole 24 Ore era il sindaco più amato d’Italia, Cattaneo, che è di centrodestra, ha perso nel turno di ballottaggio. Questo per dire che ormai non c’è più una valutazione correlata semplicemente ad un dato amministrativo. Si è in presenza di una valutazione improntata ad una forte istanza di cambiamento. Il Pd in questo senso si è fatto da sempre portatore ed interprete di simili istanze al punto che esse rappresentano un “mantra” per il partito. Queste due considerazioni sono evidenti nell’analisi del voto che lo stesso Fassino ha fatto nella sua città. Da questa analisi è emerso che non vi è stata flessione nel numero degli elettori PD, ma che al contrario si è assisto ad una convergenza dei voti dell’elettorato di centrodestra sulla candidata del 5 Stelle. Quindi è chiaro che nei secondi turni, una simile convergenza di voti su un unico candidato, rende assai difficile, se non impossibile, riuscire a tenervi testa.
-Perciò lei esclude che ci sia stata anche una certa influenza sul risultato finale data dall’impostazione “uno contro tutti” che hanno finito per assumere i ballottaggi che vedevano protagonista il Pd? Come giudica questa prospettiva alla luce delle conferme di questa impostazione anche da parte di esponenti del Pd nazionale?
“L’uno contro tutti” è stato citato non tanto da Renzi, o da altri esponenti del Pd, quanto dagli addetti ai lavori, dai giornalisti, ecc… Al contrario, ci era ben guardati dall’affermare che fosse un test politico, soprattutto i segretario ha cercato di non caratterizzare mai la campagna su se stesso. Perciò non credo che questo sia stato un problema. Renzi ha ragione quando dice che si vota sulle città. Noi a Perugia ci ricordiamo bene questa differenza. Due anni fa avevamo vinto le europee con il 49% del solo Pd, e pochi giorni dopo perdemmo il ballottaggio in maniera eclatante. Quindi ecco, sulla base di questo, posso affermare con certezza, che si voti, sulla base dei sindaci e delle città e non con altri criteri.
Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia
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