Dallo studio della CGIL, prodotto per rilanciare le ragioni dello sciopero generale del 6 maggio, emerge che il Pil pro capite medio europeo per il 2008 presenta un valore pari a 25.100 euro espresso in parità di potere d'acquisto. Una media frutto di una oscillazione compresa tra il valore più basso, che si colloca al 28% del dato medio europeo e riscontrabile per la regione bulgara di Severozapaden (7.100 euro) e il valore più elevato, pari al 343% del dato medio europeo individuato nella regione del Regno Unito Inner London (con un reddito di 85.800 euro e dove tra l’altro risulta collocata la capitale inglese).
Se si esaminano le prime venti regioni con il più alto livello del reddito procapite si nota che in ben sette regioni sono presenti delle capitali: Londra, il Granducato del Lussemburgo, Bruxelles, Praga, Parigi, Stoccolma, Vienna. Tra le quaranta regioni con il più alto livello di reddito pro-capite (superiore al 125% rispetto alla media nazionale) troviamo dieci regioni tedesche, cinque olandesi, quattro austriache e, con tre regioni ciascuna, Spagna ed Italia (Bolzano 137% con 34.300 euro, Lombardia 134% con 33.500 euro ed Emilia Romagna 127% con 31.900 euro), con due regioni sia Belgio che Finlandia. Infine con una regione ciascuna per la Repubblica Ceca, la Danimarca, l’Irlanda, la Francia, la Slovacchia, la Svezia e chiaramente il Lussemburgo.
Per quanto riguarda l’Italia, nel confronto tra il 1997 e il 2008 si rileva come, a distanza di undici anni, si sia ridotto sensibilmente il numero delle regioni italiane presenti tra le prime quaranta con il più alto reddito pro capite. Nel 1997, l’Italia presentava ben dieci regioni tra le quaranta: Lombardia (11°), Bolzano (12°), Emilia Romagna (15°), Valle d’Aosta (21°), Provincia autonoma di Trento (22°), Veneto (23°), Lazio (27°), Piemonte (31°), Friuli Venezia Giulia (36°) e Toscana (39°). Dieci anni più tardi l’Italia presenta solamente tre regioni in questa classifica e in posizioni di retrovia: Provincia Autonoma di Bolzano al 23° posto, Lombardia al 28° ed Emilia Romagna al 36°.
Nel rapporto del sindacato di Corso d’Italia si osserva che “questo dato, oltre a rilevare un sensibile arretramento del nostro sistema economico, risulta aggravato ulteriormente dal fatto che, rispetto al dato medio europeo, il livello del reddito pro capite di queste tre regioni tende ad essere più basso rispetto a quello che si registrava undici anni fa a seguito dell’ingresso delle nazioni dell’est europeo che hanno notevolmente abbassato il livello del reddito medio europeo”. La Lombardia presentava, nel 1997, un reddito pro-capite superiore rispetto al dato medio europeo del 161% mentre nel 2008 il dato è arretrato al 134%. Stessa dinamica per le altre due regioni presenti in classifica: la Provincia Autonoma di Bolzano passa dal 159% al 137% così come l’Emilia Romagna passa dal 152% al 127%.
Il confronto delle due graduatorie per gli anni 1997 e 2008 individua una sorta di “cristallizzazione” delle posizioni delle regioni più ricche. Nel passaggio, infatti, dal 1997 al 2008 delle venti regioni che presentavano il reddito pro-capite più elevato, undici anni più tardi ne rimangono ben quindici. Escono dalla graduatoria: Stoccarda al 21°, la Provincia di Anversa al 25°, la Provincia Autonoma di Bolzano al 23°, la Lombardia al 28° e l’Emilia Romagna al 36°.
Per quanto riguarda invece le prime quaranta regioni, nel 2008 rispetto al ’97 solamente nove regioni non sono più presenti tra le quaranta regioni con il reddito più elevato e sono la regione tedesca di Colonia, quella inglese del Chesire e ben sette regioni italiane: Valle d'Aosta, Provincia autonoma di Trento, Veneto, Lazio, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Toscana. “In una situazione nella quale le posizioni di privilegio, in termini di performance economica, sono piuttosto cristallizzate - spiega il rapporto della CGIL -, questa regola viene completamente disattesa per le migliori regioni italiane che tendono invece a scivolare via dalle migliori posizioni in graduatoria. Un inequivocabile segnale del disagio che ha attraversato le diverse economie locali italiane nel corso degli ultimi quindici anni”.
Il rapporto del sindacato si sofferma poi sui “Mezzogiorni d’Europa”, ovvero quelle aree marginali, con livelli di reddito inferiori al 75% rispetto alla media europea, presenti in gran parte delle regioni dei nuovi stati membri dell’est e in quelle tradizionalmente arretrate di Grecia, Spagna, Portogallo, Italia, Irlanda, Regno Unito e Francia. Per quanto riguarda le regioni con il più basso livello di reddito pro-capite, il rapporto precisa che in assoluto una regione su quattro in Europa presenta un livello di reddito pro-capite inferiore al 75%. “Un dato questo che deve far riflettere su una eterogeneità che si ripercuote significativamente sulle condizioni di vita”. In questa ‘sfortunata’ graduatoria troviamo tutte le regioni della Bulgaria e quasi tutte le regioni romene - fatta eccezione per Bucuresti–Ilfov (131% rispetto alla media europea).
Tra le 64 regioni con un reddito pro-capite inferiore al 75%: quindici sono polacche, sette ciascuna per la Repubblica Ceca e la Romania, sei ciascuna per Bulgaria ed Ungheria, quattro per Portogallo e Italia (Campania 66% con 16.400 euro, Sicilia 66% con 16.600 euro, Calabria 66% con 16.400 euro e Puglia 67% con 16.900 euro), tre per Grecia, Francia e Slovacchia; due per il Regno Unito, una per la Spagna, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania. Se si passa ad esaminare il confronto con il 1997, si nota come le quattro regioni meridionali con il più basso livello di reddito pro-capite pur permanendo nella parte bassa della graduatoria presentavano, comunque, un livello del reddito pro-capite meno distante rispetto al dato medio europeo rispetto a quanto mostrano nel 2008: Puglia al 77%, Sicilia al 76%, Campania al 74% e Calabria al 73%.
La collocazione “piuttosto negativa” delle regioni italiane nelle graduatorie dei redditi pro-capite europei, rispetto al confronto 1997-2008, è “da imputare prevalentemente alla dinamica piuttosto deludente del reddito pro-capite delle regioni italiane”. Tra le regioni italiane con il tasso di crescita medio anno più elevato registriamo il Lazio con il 2,1%, le Marche al 2,0%, il Veneto, la Provincia autonoma di Bolzano e l'Emilia Romagna all’1,8%. In questo contesto le regioni meridionali presentano diversi tassi di crescita medi annui: Basilicata 0,7%, Puglia 0,8%, Calabria 0,9%, Sicilia 1,2%, Campania 1,3%. Il tutto in un contesto nel quale ben settanta regioni europee - nel corso del decennio considerato - hanno registrato tassi di crescita medi annui superiori al 3,5%. Si può dire che in generale il decennio 1997-2008 ha rappresentato “per le regioni italiane in generale e per quelle meridionali in particolare un vero e proprio decennio perduto, di occasioni mancate per rafforzare la crescita delle regioni più avanzate e favorire un percorso di crescita stabile per quelle più arretrate del Mezzogiorno”.
Nel corso del periodo 2000-2007 le regioni europee con i tassi di crescita più significativi sono state quelle appartenenti agli stati membri di nuovo ingresso nell'Unione Europea: Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Cipro e Malta. A questa particolare situazione si devono aggiungere alcune regioni del Regno Unito, dell'Irlanda, della Spagna e della Finlandia. Gran parte di quelle regioni che rientrano nei paesi meno sviluppati hanno segnalato nel corso del periodo precedente alla crisi (2000-2007) tassi di crescita significativi di gran lunga superiori al 3%.
L'ingresso dei paesi dell'est europeo nell'Ue ha prodotto, almeno fino alla crisi economica finanziaria del 2008, “degli indubbi vantaggi in termini di crescita economica, resterà da vedere, quando saranno disponibili gli ultimi aggiornamenti Eurostat, quali saranno gli effetti della crisi per questi paesi e per le loro regioni più arretrate”. Ritornando all'Italia si nota che, sulla base del dato relativo al Pil pro capite 2008, il paese si colloca ancora tra quelli dell’Ue ad alto sviluppo “anche se oramai - denuncia il rapporto - stiamo scivolando in modo preoccupante verso quei paesi a sviluppo moderato (un gruppo di paesi di cui fanno parte: Cipro, Grecia, Slovenia, Repubblica Ceca, Malta e Portogallo”.
Nel corso dell'ultimo decennio, per quanto riguarda il nostro paese, “i governi centrali e i differenti governi locali non sembrano essere riusciti a risolvere i problemi economici e sociali delle aree più arretrate del paese”, spiega il rapporto del sindacato sostenendo che “ciò si è manifestato mentre una crisi di carattere strutturale, da collegare alla globalizzazione dell'economia e dei mercati, iniziava a manifestarsi anche nelle aree più sviluppate e più mature in termini di produzioni del Centro-Nord”. La crisi in corso quindi coglie il nostro paese “nel mezzo di un difficile attraversamento” e “non è affatto scontata la possibilità di riuscire a mantenere la nostra posizione di paesi ad alta crescita senza poter risolvere i problemi del nostro Mezzogiorno”. La situazione delicata in cui versa il Mezzogiorno emerge con chiarezza prendendo in esame le regioni Sicilia, Campania e Calabria. Nel 1995 queste avevano un reddito pro capite collocato nella classe 75%-100% rispetto al dato medio europeo: nell'anno 2007 sono scivolate nella classe 50%-75%. Un peggioramento complessivo che però ha interessato anche altre regioni italiane.