(ASI) Ha molto occupato le pagine dei giornali e i commenti degli opinionisti su tv, giornali e web, la recente polemica tra D'Alema e Renzi, innescata dall'intervento dell'ex segretario al recente convegno delle minoranze del Pd.
I commenti sul ragionamento di D'Alema si sono però quasi del tutto incentrati sull'accusa di autoritarismo e arroganza all'attuale gestione del partito, e non hanno sottolineato altri passaggi del discorso, di maggiore sostanza politica e non meno critici verso Renzi.
D'Alema ha tenuto a sottolineare il suo attuale status di uomo per sua espressa rinuncia privo di incarichi istituzionali, definendosi un appartenente alla "sinistra extraparlamentare". E ha precisato di parlare per "dare consigli", non per prendere parte a qualcuna delle diverse fazioni della minoranza interna. Per D'Alema, infatti, lo stato di divisone delle minoranze Pd le condannerà a non avere nessun peso, se non sapranno trovare la necessaria unità di intenti e di azione. Unità da ricercare utilizzando tutti gli strumenti di discussione e di mediazione tradizionalmente usati in politica. Un richiamo sferzante, questo, all'a-b-c degli strumenti della politica nei confronti di chi sembra allegramente averlo dimenticato. Un ritorno all'arte nobile della politica, ritenuto indispensabile per definire i punti "invalicabili" oltre cui la minoranza, per Massimo D'Alema, non dovrà mai accettare di andare nel confronto con una maggioranza a forte conduzione personale e con tinte di arroganza. La vicenda Mattarella ha dimostrato, infatti, per D'Alema, che Renzi ragiona esclusivamente secondo logiche di potere e di rapporti di forza, e che diventa disponibile all'ascolto solo quando si confronta con interlocutori coerenti e decisi, contro i quali rischia di perdere. Verso un interlocutore così, ha chiosato seccamente il leader Maximo, "non si annunciano ultimatum, ma si danno dei colpi, quando necessario, cercando di fare in modo che lascino il segno".
Per lui, il PD non è più neanche un grande partito democratico, visto che, rispetto ai DS, gli iscritti sono scesi da 600.000 a 250.000. Un processo di dimagrimento che, secondo D'Alema, non solo non è contrastato, ma in qualche modo viene perseguito come un valore positivo dalla dirigenza che guida il partito attualmente. Dunque, per il presidente di Italianieuropei, occorre ormai domandarsi cosa stia diventando il PD. Non è un fatto positivo, per lui, che il Pd sia ormai l'unico partito di dimensioni significative, senza più il contraltare di un partito di centro destra di altrettante dimensioni. Questa situazione determina, infatti, un inevitabile risucchio del PD verso il centro e il suo caratterizzarsi sempre più accentuato come grande macchina distributrice di potere in Italia. Insomma, un partito dall'accresciuta forza attrattiva verso i trasformismi, che ne sta cambiando la natura in certe parti del Paese. Tra l'altro, ha annotato puntutamente D'Alema nel suo discorso, il saldo tra quanti se ne vanno da questo "nuovo" modello di partito, e quanti vi arrivano, non è positivo né sul piano quantitativo, né su quello della qualità politica.
La domanda è allora duplice: quale è il destino di un partito rimasto senza popolo, ma anche quale è il destino di un popolo rimasto senza partito? La risposta non può che essere, a scanso di tentazioni scissioniste mai sopite, quella di "dare battaglia dentro il partito". Ma - e qui D'Alema riconosce i meriti sia pur solo tattici della leadership di Renzi- la battaglia per il partito, si combatte da dentro e da fuori il partito. Renzi è riuscito, con il metodo delle Leopolde in tutto il Paese, ad organizzare il sostegno esterno: buona parte delle forze che lo sostengono, ha sottolineato D'Alema, è composta da persone che non sono iscritti al PD. Dunque, anche le minoranze devono organizzarsi da questo punto di vista, dando vita ad una grande, non meglio definita associazione che non sia, né voglia proporsi, come un nuovo partito, ma sia capace di offrire spazi veri di riflessione e partecipazione a tantissimi cittadini, iscritti o no al PD, che oggi questi spazi non hanno, ma che rappresentano comunque una ricchezza che l'Italia non può permettersi di disperdere.
Un programma a tutto tondo, come si vede. Un rilancio della lotta basata sul confronto aperto su contenuti e metodi con l'attuale leader del PD. Una dichiarazione di guerra volutamente malcelata, secondo alcuni osservatori. Comunque, una sfida aperta al modello di partito che si sta configurando con la terapia renziana. I contenuti, sia pur abbozzati a grandi linee, ci sono. La linea è tracciata. Ma non mancano le incognite. Anzitutto, quella sulla compattezza delle minoranze. E, poi, quella dell'attrattiva di questi richiami verso un elettorato "di sinistra" negli ultimi anni diviso e sfilacciato tra tentazioni di sinistra massimalista, ribellismi grillini e rifiuti astensionisti.
Daniele Orlandi – Agenzia Stampa Italia