Le errate politiche monetarie restrittive adottate dalla Bce e dal Sebc (Sistema europeo delle banche centrali) nell’Eurozona e la convinzione sbagliata per cui alla radice del problema fosse l’elevato debito pubblico e non privato, prima e dopo lo scoppio della crisi, hanno contribuito a rendere la recessione molto più prolungata e profonda, impedendo all’economia italiana ed europea di tornare a crescere. Si calcola che il Pil italiano ha subito un calo del 9% negli ultimi 6 anni, mentre la disoccupazione giovanile ha raggiunto il dato drammatico del 39,1%.
Esplicativo del grave andamento economico e sociale dell’Italia è il caso dell’Umbria, la cui analisi è doverosa per rilevarne alcuni aspetti peculiari. Nel “cuore verde d’Italia” a partire dal 2008 si è registrata una crescita della disoccupazione, con dati preoccupanti tra i giovani e le donne, una crescita dei licenziamenti e del ricorso alla CIG (ordinaria e straordinaria) a causa della diffusa crisi delle piccole-medie, un peggioramento delle condizioni delle famiglie, le quali rappresentano un grande ammortizzatore sociale. Tra i settori più colpiti nel tessuto economico regionale vi sono quello edile (nella Provincia di Perugia dal 2008 a oggi vi è stata una riduzione del 50% degli addetti, mentre a Terni il numero delle imprese dal 2009 a oggi sono passate da 840 circa a 620 circa); il Terziario (commercio, turismo, servizi) che ha perso, secondo una stima di Movimprese, 1500 attività; e il settore metalmeccanico con i gravi casi della Merloni, della Faber e Ims . Di rilievo sono i dati relativi alla cassa integrazione. In Umbria ci sono 10000 cassaintegrati e, inoltre, mentre in Italia c’è un terzo di cassa integrazione in deroga (la cassa integrazione istituita per fronteggiare le crisi economiche), qui arriviamo ai due terzi. A Giugno le ore di cassaintegrazione straordinaria utilizzate dalle aziende sono aumentate del 45% rispetto a un anno fa (contro una media nazionale del 21%). Inoltre a causa dell’estrema frammentazione produttiva regionale, vi sono salari del 9% più bassi della media nazionale.
La particolarità di tale regione è il rapido passaggio dalla positiva situazione pre-crisi a quella negativa post-crisi. Negli ultimi anni che hanno preceduto la recessione, la dimensione del mercato del lavoro era positiva come dimostra la crescita di 46000 occupati nel quinquennio 2004-2008, mentre la disoccupazione era diminuita fino a toccare il minimo storico di 18000 unità.
A partire dal 2008 e soprattutto nel 2009 il totale degli Individui in difficoltà1 nella regione è cresciuto notevolmente (passando dall’8,6% del totale degli individui del 2008 al 10,4% nel 2009), con un forte incremento al suo interno degli occupati in difficoltà. Quest’ultimo dato mostra la crescente precarietà dei lavoratori e il fatto che anche chi ha un lavoro non ha la garanzia di non cadere nelle condizioni di indigenza forte. Per converso si è registrata una riduzione degli Individui non in difficoltà, che sono passati dal 91,7% del 2005 al 88,7% del 2011.
In termini assoluti in tale Regione tra il 2004 e il 2010 le persone che vivono in condizione di deprivazione materiale, ossia di involontaria incapacità di sostenere spese per determinati beni e servizi, sono passate da 80000 a 120000, mentre in percentuale l’indice è passato dal 9,4% al 13,9%, con un incremento del 48%2. All’opposto però vi è un incremento della ricchezza in mano ai pochi, con un crescente allargamento della forbice e rafforzamento del fenomeno della polarizzazione della ricchezza. Nel 2010 i Paperoni dell’Umbria erano 7000, rimanendo sostanzialmente invariati rispetto all’anno precedente, ma con una crescita del patrimonio finanziario del 2,58 %3.
In Umbria sono preoccupanti le condizioni delle famiglie monogenitoriali, le famiglie composte da persone sole e i nuclei con capofamiglia giovane e spesso laureato o all’opposto con bassissimo livello di istruzione (scuole elementari). Altrettanto vulnerabili agli effetti della crisi sono le famiglie giovani con capofamiglia donna e i nuclei dei divorziati/separati/vedovi e quindi monogenitoriali. Il mercato del lavoro reso sempre più flessibile dalle politiche giuslavoristiche che si sono susseguite a partire dagli anni 90’ fino ad oggi (soprattutto tramite la Legge Treu del 1997 e il Libro Bianco sul mercato del lavoro del 2001 tradotto nel Decreto Biagi del 2003) accompagnato al graduale sfibramento del Welfare State ha avuto i suoi effetti più importanti e gravi nei giovani. Allarmante è anche la condizione degli esodati a seguito della Riforma Fornero. Per quanto riguarda la questione giovanile a livello regionale i dati mostrano una condizione migliore rispetto alla media italiana come dimostra il livello di disoccupazione giovanile umbro che si aggira intorno al 23%. Per quanto riguarda, però, la condizione professionale del capofamiglia relativamente ai nuclei familiari dei giovani, la regione verde risente fortemente il problema del precariato, poiché l’8,5% ha un contratto a tempo determinato contro il 6,4% del Centro-Nord.
Gravissimo è il fatto che in Umbria la laurea non rappresenta un elemento positivo per evitare la povertà, ma anzi un fattore penalizzante: il 17,1% dei capifamiglia delle famiglie giovani povere è laureato contro il 9,5% della media italiana.
La precarizzazione del lavoro e quindi della vita ha determinato un crescente malessere, stress e ansia e quindi un deterioramento della salute delle persone, come dimostra la crescita dell’uso nella regione dal 2000 al 2010 di farmaci antidepressivi. Nel rapporto Osservasalute si evince come dalle 23,5 dosi giornaliere definite ogni mille abitanti del 2003 si è passati alle 43,5 del 2011, con una crescita media annua del 7,1%.
Sfuggono alla statistiche ufficiali i c.d. poveri invisibili come i senza tetto, gli immigrati irregolari, gli internati in istituti e i campi nomadi, i quali versano spesso in condizioni di povertà estrema.
In Umbria al processo generale di impoverimento dell’Italia va sommandosi un preoccupante fenomeno che rappresenta l’altra faccia della crisi, ossia la crescente infiltrazione della criminalità organizzata, soprattutto della ‘Ndrangheta, che avvantaggiata dalla difficoltà di accesso legale al credito per le imprese rende più facile l’ingresso di capitali sporchi. Inoltre la diffusione della logica del subappalto, soprattutto nell’edilizia, ha determinato la diffusione del lavoro nero e l’insorgere dei fenomeni di caporalato.
Gabriele Toccaceli – Agenzia Stampa Italia
1-La definizione Individui in difficoltà comprende una serie di persone che rispondono a dei criteri: persone in cerca di prima occupazione in difficoltà, disoccupato alla ricerca di una nuova occupazione, occupati in CIG (ordinaria o straordinaria), inattivi in difficoltà, occupati a tempo determinato (da meno di 1 mese a 6 mesi)
2-Dati tratti dal Rapporto sulle povertà in Umbria del 2012 elaborato dall’ AUR (Agenzia Umbria Ricerche).
3-Dati tratti dal Rapporto del 2010 dell’Aipd (Associazione italiana private banking).