Ha violato quel principio in un secondo modo, che sarà comprensibile dopo qualche spiegazione su ciò che costituisce la Costituzione. La Costituzione italiana (e di Paesi a struttura simile, come la Francia) non è composta soltanto dalla Carta costituzionale (con le sue modificazioni), ma anche (elenco non completo, anche perché non è che i confini siano evidenti e assoluti):
1) dalle leggi costituzionali, cioè aventi rango e forza pari alla Costituzione;
2) dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (la quale individua, tra le norme costituzionali, quelle fondamentali, come i principi di eguaglianza e di sovranità popolare, che sono immodificabili e a cui le altre norme costituzionali devono adeguarsi);
3) dalla prassi interpretativa e applicativa delle norme costituzionali;
4) dai trattati internazionali che limitano la sovranità nazionale ai sensi dell’art. 11 della Carta costituzionale (come quello di Maastricht, quello di Lisbona, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e valgono come le norme interne dell’ordinamento italiano;
5) da quelle leggi ordinarie (non costituzionali), che stabiliscono chi sia o diventi o cessi di essere cittadino ed elettore, e quelle che stabiliscono come si eleggano i rappresentanti del popolo e come si elegga o nomini il premier: legge sulla cittadinanza e legge elettorale.
Orbene, è vero che la legge elettorale vigente (Porcellum) stabilisce non che il premier sia eletto dal popolo, ma che il popolo voti indicando il candidato a premier, ed è vero che la Carta costituzionale stabilisce che sia il Capo dello Stato a nominare il premier; ma è anche vero che essa riconosce che il popolo è sovrano; quindi, una volta che il popolo sovrano, votando, abbia espresso un’indicazione di chi vuole come premier, il Capo dello Stato non è libero di nominarne un altro, soprattutto se quello indicato dal popolo non è stato sfiduciato dai rappresentanti del popolo. E qui sta la seconda violazione dell’art.1 della Carta Costituzionale. Vi è poi una violazione della prassi costituzionale congiunta a una, più grave, mistificazione. Napolitano ha nominato Monti prima senatore a vita, ruolo che dovrebbe essere incompatibile col premierato, dato che il premierato è un ruolo pienamente politico, basato direttamente o indirettamente sul voto-mandato popolare, e che presuppone uno schieramento di maggioranza e uno di opposizione, col premier alla guida del primo. In ogni caso, Monti, non avendo mandato popolare, non poteva essere eletto premier. Si è detto che questa scelta di Napolitano sarebbe stata, però, legittimata dal fatto che Monti non sarebbe un premier politico, di parte, ma tecnico, a-partitico. Al che si può replicare che la scelta del premier e della maggioranza di governo è, essa stessa, nell’ordinamento vigente, un atto politico riservato al popolo, direttamente o mediante i suoi eletti, quindi non avocabile dal Capo dello Stato. Ma la cosa più grave è un’altra, è la mistificazione circa il “tecnico”. Che cos’è un tecnico? E’ uno competente in una tecnica, cioè in un metodo per risolvere un certo tipo di problemi o per fare un certo tipo di cose: pensiamo all’ingegnere civile che progetta un edificio, all’ingegnere elettronico che progetta un radioricevitore, ma anche al chirurgo ortopedico che riduce e ingessa una frattura ossea, all’artificiere che disinnesca una bomba, al contabile che redige un bilancio di esercizio, al notaio che formula uno statuto di spa. Il ruolo del tecnico presuppone una situazione in cui sia stabilito quale sia il problema da risolvere (frattura ossea) e che vi sia una tecnica codificata per risolverlo.
Al contrario, nel caso della situazione italiana, e in generale di un sistema complesso come è complesso ogni Paese, i problemi sono molti (non solo economici, ma anche sociologici, idrogeologici, legislativi), sono non chiari ma controversi nella loro individuazione e nelle loro cause; non vi è una tecnica precisa e condivisa (perché, anche all’interno della scienza-tecnica economica vi sono scuole totalmente divergenti sia nell’analisi delle cause che nelle ricette, anzi il nocciolo delle scelte è tra opposti modelli economici); non si tratta solo di risolvere i problemi, ma di scegliere che obiettivi perseguire, che priorità fissare, quali classi sociali tassare, quali privare da assistenza, quale modello di sviluppo (o modestamente di sopravvivenza) adottare, e forse ancor più se difendere una certa indipendenza nazionale oppure no, se accettare o respingere un’architettura euro finanziaria ad egemonia tedesca, come contestare e modificare l’attuale struttura dell’Eurosistema. Tutte queste scelte sono scelte prettamente politiche, non tecniche; e, in base alla Costituzione italiana e ai principi generali della democrazia rappresentativa, solo un governo politico, con un mandato popolare, può essere legittimamente posto a compierle. Non un tecnico o un governo di tecnici. E infatti il governo Monti ha compiuto, con l’avallo esplicito e ripetuto di Napolitano, una serie di scelte pesantemente politiche, ideologiche, classiste, e ben poco “tecniche”. La tesi del governo dei tecnici è una balla per coprire una palese e fondamentale incostituzionalità, non sanabile a posteriori da un voto parlamentare, tanto più che i parlamentari e i partiti non erano liberi e sereni, ma erano tenuti sotto varie minacce, interne ed esterne, dallo spread allo scioglimento anticipato prima della maturazione della pensione.
Fonte: libro “Traditori al governo?” di Marco Della Luna
Davide Caluppi - Agenzia Stampa Italia
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