(ASI) L'acciaio italiano è in crisi e questo è appurato. Dopo la chiacchierata con Giacomo Zucco, portavoce del Tea Party (qui l'intervista), proponiamo ai nostri lettori l'intervento di Alessandro Micozzi, ternano, esperto di economia ed esponente di Forza Nuova, movimento politico che fa sua la linea della nazionalizzazione della grande industria.
Micozzi affronta un tema difficile, esponendo i vantaggi dell'intervento statale per salvare la siderurgia, senza dimenticare tuttavia gli ostacoli rappresentati, ad esempio, dal sistema sindacale. Anche per questo motivo il dirigente getta acqua fredda sui caldi e facili entusiasmi di chi propone una svolta economica su modello di quella venezuelana: il contesto politico nel quale ha operato Chavez è completamente diverso dalla realtà italiana, a partire dai poteri dei quali disponeva il defunto presidente sudamericano.
Crisi dell'acciaio. Un commento...
Che è la conclusione logica a cui doveva approdare una politica liberista, spinta per altro agli eccessi. La mano invisibile di Adam Smith, al di fuori dei suoi scritti non si è mai vista. E non poteva essere diversamente. Non esiste un solo caso al mondo che trovi riscontro in quella teoria. Al contrario, dove l’intervento dello stato, qualora fosse espresso da persone competenti e non politici putrescenti, è risultato un utile rinforzo.
Nazionalizzare: bene o male?
Continuando su quanto le ho detto poco fa per taluni versi può risultare utile. Ora è chiaro che si debbano valutare gli interventi sul come e sul dove. Le realtà geo-economiche mondiali, sono assai complesse e differenti. Non dimentichiamoci che a far da detonatore ultimo a questa situazione internazionale, fu la sciagurata azione dei colossi del rating, delle banche americane e dei fondi di investimento più o meno a loro connessi. Nel caso dell’Italia si dovrebbe operare con la stessa attenzione che ad esempio il Presidente Putin stà osservando nel prendere misure a tutela dell’interesse economico della sua nazione.
Perché nazionalizzare ce lo ha spiegato. Ma non crede potrebbero esserci ostacoli al tentativo?
Sì, principalmente due e peraltro ovvi. I grandi capitali e tutto un fittizio mondo pseudo-sindacale che a parole vuol fare gli interessi dei lavoratori, ma è molto spesso collusa col padronato per interessi personali, il tutto ovviamente patrocinato dai rispettivi referenti politici. Le ripeto, interventi mirati, metterebbero in sicurezza molti posti di lavoro, e credo che ridarebbero fiducia nella parola stato, qualora fosse in grado di indossare l’iniziale maiuscola.
Il modello Chavez potrebbe essere la 'chiave di Volta'?
No. Lo sbaglio di fondo che tanti fanno è voler prendere assolutamente un modello di riferimento. Certo, il presidente Chavez ha fatto delle ottime cose, come le fece Peron in Argentina. Ma poi ciascuno dovette fare i conti con le situazioni dei propri paesi, quando non anche con l’interferenza della mano, questa volta non invisibile, degli USA e dei suoi sodali. Quindi la risposta va cercata approfondendo le possibilità di miglioramento dei settori che sono in sofferenza. Ma non dimentichi la particolare situazione italiana. Non è detto che i nostri “alleati” accolgano bene una ristrutturazione che induca produttività e competitività sui mercati internazionali. Credo che sarebbe ben difficile digerire la perdita di commesse che alimentano guerre, interferenze di ogni tipo in casa altrui.
Cosa sarebbe necessario secondo lei per rilanciare l'italian steel?
Le cose che ho prima elencato, con una sola aggiunta. Ma non vale solo per l’acciaio, ma per tutto il nostro Paese. Un cambio vero di chi lo dirige. E non solo una sostituzione di marionette a secondo del teatrino da mettere in scena.
Marco Petrelli – Agenzia Stampa Italia