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(ASI) L’assegnazione dell’incarico governativo ad Enrico Letta rappresenta il compimento di un percorso involutivo, cominciato con le ipotesi avanzate da Silvio Berlusconi subito dopo l’esito incertissimo delle ultime elezioni. Il governo di larghe intese diventa dunque una realtà che potrebbe ben presto innestarsi sul percorso già tracciato dal governo tecnico di Monti.
Per sua stessa ammissione, Enrico Letta è diretto discepolo politico di Beniamino Andreatta, sul cui nome pesa come un macigno l’accordo concluso nel 1992 con l’allora commissario europeo Karel Van Miert per la privatizzazione completa e definitiva dell’IRI, struttura che per gran parte del Novecento aveva costituito le fondamenta dell’apparato produttivo pubblico o a partecipazione mista dello Stato italiano. Al di là delle note cariche ricoperte nei governi di centro-sinistra tra il 1998 e il 2001 e tra il 2006 e il 2008, Letta è inoltre membro del Comitato Esecutivo della branca italiana dell’Aspen Institute, una fondazione privata di alto profilo internazionale che, come riportato nella sua descrizione ufficiale, “nasce negli Stati Uniti nel 1950 per iniziativa di un gruppo di intellettuali e uomini di affari americani convinti della necessità di rilanciare il dialogo, la conoscenza e i valori umanistici in una realtà geopolitica internazionale complessa e in evoluzione, appena uscita dalla devastante esperienza della Seconda Guerra Mondiale […] In Italia l'Istituto inizia la propria attività nel 1984 con una forte caratterizzazione transatlantica, oggi ancora ugualmente molto presente”.

È anche membro del gruppo europeo della Commissione Trilaterale, l’organismo che dal 1973 raccoglie i principali e più noti uomini d’affari ed esperti di politica estera provenienti dai “Tre Lati” (da cui la formula) del mondo a capitalismo avanzato: la regione nordamericana, la regione europea e l’insieme dei Paesi non-comunisti della regione Asia-Pacifico (in particolare Corea del Sud e Giappone). Malgrado alcune recenti e selezionate aperture a precisi ambienti o istituti “indipendenti” di Cina e Vietnam, gli scopi generali della Commissione sono rimasti sostanzialmente invariati rispetto al passato: promuovere il modello di sviluppo neoliberista nel mondo, individuare nuovi mercati da coinvolgere nel processo di internazionalizzazione d’impresa e accerchiare la “massa eurasiatica” (quasi completamente coincidente con l’area occupata allora dall’Unione Sovietica, oggi dalla Russia) attraverso la costruzione di una cintura di pressione all’interno di quelle regioni costiere dell’intero continente eurasiatico che lo stratega statunitense Nicholas Spykman definiva con il nome di “Rimland”.

Il retroterra formativo del pur giovane Enrico Letta è dunque segnato da evidenti passaggi personali che non sembrano distanziarlo dalla linea che avrebbe probabilmente tracciato un governo guidato da Giuliano Amato, segnalato alcuni giorni fa dall’analista statunitense Edward Luttwak come l’“uomo ideale” per la Casa Bianca. In generale, abbiamo probabilmente assistito non alla frantumazione del Partito Democratico quanto piuttosto alla sua ristrutturazione, avviata contemporaneamente a quella cui si sta sottoponendo l’intero sistema politico del nostro Paese. Il siluramento politico di Franco Marini e di Romano Prodi, nonché le dimissioni della Bindi (area cristiano-sociale) e di Bersani (area socialdemocratica e dei “giovani turchi” guidati dall’economista Stefano Fassina) hanno evidenziato la probabile saldatura interna tra un’oramai più forte ala cattolico-liberale, riconducibile proprio ad Enrico Letta, a Matteo Renzi e a Francesco Boccia (molto presente in televisione negli ultimi giorni), e la solita “scheggia impazzita” dei dalemiani. Entrambe queste correnti sono profondamente legate agli Stati Uniti attraverso la comune frequentazione della Fondazione Clinton, dove per due anni si sono contese approvazioni e riconoscimenti internazionali. Questa volta, invece, sembrano essersi coalizzate al punto che sono in molti ad aver puntato il dito proprio contro di loro dopo la debacle nelle operazioni di voto per il Quirinale.

Come per magia, dalla parte opposta (se così si può dire), Silvio Berlusconi pare completamente riabilitato attraverso il ruolo determinante svolto dal suo partito e dalla sua coalizione nell’operazione che ha condotto alla rielezione di Giorgio Napolitano al Colle, ma anche alla luce di una capacità di sopravvivenza in apparenza del tutto inspiegabile. Dopo oltre tre anni di estenuanti tensioni e attacchi personali, ora anche il quotidiano Repubblica, agguerrita voce dell’antiberlusconismo militante, sembra voler stemperare i toni e adeguarsi al nuovo corso della politica italiana. Cominceranno entro breve le consultazioni di Enrico Letta per la formazione del nuovo governo, che dovrà ricercare una disponibilità al confronto praticamente già annunciata dalla gran parte delle forze parlamentari (Lega Nord compresa).

Fuori dal coro rimane Beppe Grillo che, tuttavia, continuerà presumibilmente a porre l’accento su una serie di questioni di rilevanza assai scarsa, riconducibili ad un problema ribadito alla noia quasi come una liturgia laica. Infatti gli arcinoti “costi della politica”, aspetto sul quale si dovrà senz’altro intervenire e fare chiarezza, non rappresentano che una pagliuzza dinnanzi alla gigantesca trave costituita dalle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea, dall’esorbitante pressione fiscale su famiglie e piccole imprese, dalla completa assenza di una politica energetica ed industriale di iniziativa pubblica e da quegli impegni internazionali cui le nostre Forze Armate sono chiamate ad adempiere per interessi che nulla o quasi hanno a che vedere con il nostro Paese.

Andrea Fais – Agenzia Stampa Italia

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