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(ASI) “La lotta di liberazione continua”. Questo è lo slogan che la rete di solidarietà con il popolo palestinese, Shabaka, ha coniato per il convegno svoltosi sabato 5 maggio, in occasione del 64esimo anniversario della Nakba, presso il Centro Frentani, a Roma.

Frase pertinente, del resto, data la difficile condizione cui sono sottoposti gli abitanti palestinesi, ancora oggi, a più di sei decenni dalla nascita dello Stato d’Israele. Il 14 maggio 1948, data che ne segna il riconoscimento unilaterale, rappresenta per gli uomini e le donne di Palestina l’inizio di una catastrofe (in lingua araba la Nakba, appunto) che può essere efficacemente riassunta dai seguenti dati: prima della Risoluzione Onu 181 (1947), che sancisce la successiva nascita dello Stato sionista, il 93% della terra di Palestina era abitata da palestinesi. Dopo il maggio 1948, il numero di abitanti palestinesi si ridusse da 1,4milioni a sole 150.000 unità. Drastica riduzione spiegata dal fatto che lo Stato d’Israele è stato costituito sul 78% del territorio palestinese. Gli abitanti di Palestina epurati dalla loro terra si dividono in vittime di una vera e propria pulizia etnica, perpetrata da Israele in quegli anni cruciali, e profughi. Attualmente questi ultimi rappresentano il 75% della popolazione palestinese. Ad oggi, ai palestinesi resta il possesso di un misero 10% della Palestina storica.

Quel maggio 1948 è stato, tuttavia, soltanto l’origine di una catastrofe che si protrae sino ai nostri giorni, segnati dai soprusi che numerosi gruppi di israeliani perpetuano - spesso foraggiati dal loro Stato - verso i loro concittadini non ebrei. Le storie raccontate dai relatori della conferenza testimoniano questa avvilente realtà. Umm Kamel el Kurd, prima relatrice ad intervenire, ha sprigionato l’energia di una donna, una madre palestinese che, pur costretta a subire le peggiori angherie, mantiene salde una dignità e una forza di resistenza che le fanno onore. Una mattina del 2008, all’alba, le forze armate israeliane irruppero nella sua abitazione a Sheikh Jarrah (Gerusalemme Est), lei e la sua famiglia furono espulsi per permettere l’insediamento di coloni israeliani. Umm Kamel non volle però assistere passivamente alla sottrazione di un proprio diritto fondamentale. Ella ha montato una tenda a poche decine di metri dal luogo dove si trova la sua legittima abitazione e, malgrado le forze israeliane gliela abbiano più volte smontata minacciando ripercussioni più gravi, quest’imperterrita donna palestinese non cede di un metro, finché - afferma con voce carica d’emozione - non le sarà “restituita giustizia”.

L’impronta prevaricatrice sionista, che appare nitida nello sguardo profondo di Umm Kamel, trova riscontro anche nei racconti del giovane Imam Raed Da’ana, altro rappresentante di un’organizzazione umanitaria di Gerusalemme. Raed Da’ana si è soffermato principalmente sugli aspetti religiosi della prepotenza d’Israele. I luoghi sacri di Gerusalemme - testimonia l’Imam - si stanno trasformando in musei per turisti, e vanno invece perdendo la loro natura di luoghi di preghiera. La spianata delle Moschee, per esempio, è accessibile ai soli turisti e agli arabi che abbiano compiuto 50 anni. Anche a un Imam, se giovane come il relatore della conferenza, è proibito l’ingresso. Inoltre - aggiunge Raed Da’ana - la struttura della Moschea di Al Aqsa (importante tempio islamico sovente profanato da irruzioni sacrileghe di gruppi di ortodossi ebrei) è minacciata costantemente dagli scavi che le autorità israeliane stanno portando avanti nei suoi sotterranei, con l’intento di costruire dei tunnel adibiti a curiosi percorsi turistici. L’arroganza non colpisce soltanto i luoghi sacri dell’islam, le cronache dalla Terra Santa asseriscono che anche il cristianesimo è oggetto di oppressione da parte dello Stato d’Israele. Un passo indietro coi ricordi può guidarci alla primavera 2002, quando la Basilica della Natività venne irrispettosamente assediata dalle truppe israeliane nell’intento di catturare una decina di palestinesi rifugiati al suo interno. Ma le discriminazioni anti-cristiane non si esauriscono con quel famoso episodio: la moderatrice Angela Lano ha snocciolato una serie di statistiche e racconti che confermano l’attualità della questione.

“E’ arrivato il momento affinché tutti i popoli della terra spendano energie per restituire libertà ai luoghi sacri di Gerusalemme”. L’auspicio invocato con forza da Umm Kamel el Kurd resterà un urlo lanciato nel vuoto, almeno fin quando l’Europa non avrà assunto la capacità d’indignarsi per questa catastrofe che i palestinesi subiscono ogni giorno sulla propria pelle, ma che coinvolge direttamente anche la culla della cultura cristiana. In attesa che gli europei si ridestino dal torpore verso cui la secolarizzazione li ha consegnati, in Terra Santa, nonostante l’impari dispiegamento di forze in campo, c’è chi combatte strenuamente: per il popolo palestinese “la lotta di liberazione continua”.

Federico Cenci Agenzia Stampa Italia

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