(ASI) Il “fenomeno Mamdani” e la promessa di abbassare il costo della vita a New York segnano un passaggio simbolico e culturale: dalle capitali europee alla Grande Mela, la leadership musulmana cresce mentre la tradizione cristiana sembra perdere centralità.
L’elezione di Mamdani a sindaco di New York ha colpito l’opinione pubblica mondiale, non solo per l’importanza della città ma anche per il suo valore simbolico: la “Grande Mela”, ferita dall’attentato dell’11 settembre, sceglie oggi un sindaco di fede musulmana.
Un fatto che, più che politico, appare culturale e sociologico. Dopo Londra, Birmingham e altre città inglesi, anche New York entra a far parte di quel gruppo di metropoli occidentali guidate da rappresentanti di una tradizione religiosa diversa da quella cristiana che per secoli ha segnato la nostra identità.
Ma il cosiddetto “fenomeno Mamdani” è legato soprattutto a un tema molto concreto: la promessa di abbassare il costo della vita a New York, una delle città più care al mondo. Proprio questa visione sociale, unita a una campagna centrata su equità e redistribuzione, ha convinto una parte significativa dell’elettorato, stanco delle disuguaglianze e delle difficoltà economiche quotidiane.
Non è un giudizio, né una critica, ma una constatazione: l’Occidente cambia, si trasforma, e lo fa in modo spesso silenzioso. La presenza islamica cresce, le comunità si consolidano, e le nuove generazioni, nate e cresciute in Europa o negli Stati Uniti, partecipano oggi pienamente alla vita pubblica.
In questo contesto, la nostra cultura cristiana, che ha dato forma a valori, istituzioni e linguaggi comuni, sembra perdere centralità e riconoscimento. Non per volontà altrui, ma per un progressivo disinteresse interno, una sorta di smarrimento identitario che rende più difficile riconoscere ciò che siamo stati e ciò che vorremmo continuare a essere.
L’elezione di Mamdani è quindi un segnale del tempo: l’Occidente non è più un blocco culturale omogeneo, ma un mosaico in continuo mutamento. La sfida sarà quella di trovare un equilibrio tra accoglienza e identità, tra dialogo e memoria.
Perché la vera modernità non è dimenticare le proprie radici, ma saperle far convivere con quelle degli altri.



