(ASI) - La situazione nella Striscia di Gaza si presenta come un’emergenza umanitaria aggravata da recenti blocchi applicati all’ingresso degli aiuti umanitari internazionali. Le autorità israeliane mantengono chiusi i principali valichi di frontiera verso l’enclave palestinese, impedendo l’ingresso di materiali necessari per affrontare la stagione invernale che si sta velocemente avvicinando.
Secondo un reportage del quotidiano italiano Il Manifesto, nove agenzie internazionali si sono viste respingere 23 richieste di ingresso per quasi 4.000 bancali di materiali, tra i quali figurano kit termici per proteggersi dal freddo, tende, coperte e biancheria. Tutto bloccato in depositi in Egitto o in Giordania. ll numero delle persone senza un riparo sicuro nella Striscia viene stimato in circa 1,5 milioni.
Tra le ragioni ufficiali di Israele c’è la mancata restituzione da parte del movimento di Hamas delle salme degli ostaggi israeliani uccisi. In attesa di tale restituzione, il valico di Rafah rimarrà chiuso. Organizzazioni non governative operanti nella Striscia affermano che l’ingresso degli aiuti è ben al di sotto dei livelli concordati. L’organizzazione umanitaria WeWorld, segnala che circa 300 camion al giorno riescono finora a entrare, rispetto al doppio che era stato previsto.
Anche se la tregua formale è ancora in essere, in pratica la popolazione civile continua ad affrontare difficoltà che sono ancora ben lontane dall’essere affrontate e risolte. Il blocco dei valichi, infatti, limita l'approvvigionamento di ogni tipologia di aiuti fondamentali e peggiora costantemente le condizioni dei rifugiati e degli sfollati, che ben presto si troveranno ad affrontare la dura stagione invernale. Anche la situazione delle infrastrutture è purtroppo grave: le organizzazioni umanitarie segnalano la mancanza di acqua potabile, di elettricità stabile e di servizi igienico-sanitari inadeguati.
La crisi nella Striscia di Gaza, mostra quanto la gestione degli aiuti umanitari resti intrecciata a scelte politiche e militari. La popolazione civile continua a essere il soggetto più esposto in una contesa in cui le decisioni di sicurezza prevalgono spesso sulle necessità immediate delle persone, ancora costrette a sopravvivere sperando in aperture sporadiche e provvidenziali, anziché beneficiare di flussi continuativi, in grado di generare sicurezza, stabilità e un’assistenza permanente che possa garantire ricostruzione sia fisica che sociale.
Carlo Armanni - Agenzia Stampa Italia



