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Terrorismo islamico: falsità e mistificazione? Intervista all'Avvocato Carlo Corbucci

(ASI) Quello del pericolo di terrorismo islamico in Italia è un argomento che ciclicamente ricompare sulla stampa dopo più o meno lunghi periodi di letargo mediatico.

A far riemergere lo spettro basta qualche retata nei confronti di presunte cellule di fanatici neutralizzate mentre preparavano ipotetici attentati. I media catalizzano per un po’ l’attenzione dell’opinione pubblica sul caso generando preoccupazione, dopo di che la notizia viene archiviata e degli esiti dei processi rimaniamo ignari.
L’avvocato Carlo Corbucci, esperto di cultura dell’Islam, da anni tutela gli interessi legali degli accusati di terrorismo islamico. La sua lunga esperienza nel settore l’ha portato ad individuare un vero e proprio meccanismo dietro la costruzione di certi casi. Carlo Corbucci ha così deciso di raccogliere e documentare queste storie, il più recente risultato del suo lavoro di indagine si chiama Il terrorismo islamico, falsità e mistificazione (Agorà, 2011), libro che si serve di 1750 pagine per raccontare dettagliatamente una realtà che vive nella penombra della Giustizia italiana. Lo abbiamo incontrato per farci aiutare a comprendere questo aspetto inesplorato della nostra società.

Avvocato, come nasce il suo impegno in quest’ambito?

Nell’ambito giudiziario nasce con il primo caso trattato, quello dei tre presunti kamikaze di Anzio, assolti. Da lì sono venute richieste di difesa da varie carceri d’Italia. Nell’ambito culturale da una conoscenza ultratrentennale del mondo islamico.

Esiste un profilo tipo dell’immigrato che riceve l’accusa di terrorismo islamico?

No, sembrerebbe essere occasionale, anche se ci si indirizza prevalentemente verso frequentatori troppo assidui di alcune moschee: tunisini, ragazzi un po’ troppo scalmanati e chiacchieroni che danno libero campo a sfoghi o a navigazioni in internet alla ricerca di notizie sulla jihad e sugli esiti delle resistenze locali. Questo soprattutto fino alla fine dell’anno 2010, perché poi tutto si è assopito per riemergere timidamente ogni tanto. Ovvero, quando si tratta di rinnovare il “mercato della paura” o preparare qualche nuova operazione militare.

Nel suo libro fa esplicito riferimento a delle frodi che, come una costante, verrebbero perpetrate all’indirizzo degli accusati di terrorismo islamico. Cosa intende precisamente?

Non è facile riassumere quello che nel libro è descritto in 1750 pagine. Si tratta in certi casi di frodi in senso letterale con la costruzione vera e propria di incastri; in altri casi di gonfiature ed esagerazioni; in altri casi ancora di forzature fatte anche con l’alterazione di intercettazioni telefoniche o con l’utilizzo di esse pure là dove la logica e l’onestà intellettuale imporrebbero di escluderle. Talvolta poi, la frode è dialettica: si vuole far credere con raggiri e trucchi dialettici quello che non c’è, così volendo sopperire alla mancanza di riscontri oggettivi e di prove concrete. Infine, con formule, equazioni e teoremi sul genere:
volontà o desiderio o intenzione o sentimento o progetto di volersi recare in Iraq o Afghanistan per unirsi alla resistenza locale contro gli americani (ed i loro “forzati” alleati), equivale a terrorismo, il quale, a sua volta, equivale ad una raggiunta prova che gli imputati stavano progettando stragi nella metropolitana di Milano, nel Duomo di Milano, nelle moschee, nelle piazze, nei mercati iracheni ed afghani, alla Croce rossa, ecc. Se poi si chiede che le Corti precisino meglio questo legame, soccorre la formula del “fatto notorio” che recita: poiché è notorio che chi vuole andare in quei luoghi lo fa per compiere quelle stragi, e poiché è notorio che le stragi avvengono, è logico e conseguente che gli autori siano da ricercare tra quelli che si sono recati in quei luoghi o desiderano - ed ancor più si adoperano - per recarvisi.
Soltanto ultimamente, di fronte alle esagerazioni e agli abusi delle Corti di merito in ciò tollerate per anni, la Cassazione ha avuto lo scrupolo di precisare che il semplice desiderio o sentimento di volersi recare in quei luoghi non equivale a progettualità concreta o ad atto concludente a ciò finalizzato. Prima si fingeva di intendere atto concludente qualunque cosa, bastava fare una premessa che rassicurasse che si era recepita la direttiva che occorre almeno un minimo di potenzialità reale di pericolosità per considerare poi, nell’applicazione pratica, quel minimo come presente in ogni più insignificante comportamento degli imputati.
Ovviamente quest’attitudine non era propria di tutte le Corti; alcune volevano giustamente riscontri concreti, ma le Corti disponibili ad accontentarsi di molto meno erano prevalenti.

Lo scorso 6 febbraio la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha assolto Riad Nasri, tunisino estradato in Italia dopo aver passato diversi anni, con l’accusa di appartenere ad Al Qaeda, nel carcere di massima sicurezza americano di Guantanamo. Può fornirci qualche dato esplicativo su casi simili a questo?

Gli Stati Uniti hanno consegnato tre ex detenuti di Guantanamo, dopo un periodo che oscilla tra i sette e i nove anni di prigionia in quel lager. Essi sono stati tutti e tre processati in Italia con la stessa accusa: uno di loro, difeso da me e dall’avv. Giuseppina Regina, ha avuto una condanna a due anni e subito è stato liberato grazie anche ad un esemplare insegnamento di vera civiltà dato dal Procuratore Generale di Milano dottor Spataro che, rilevando come l’imputato avesse già ben pagato il suo debito con la giustizia per essere stato trattenuto illegittimamente prigioniero nove anni in Guantanamo (con tutti gli annessi e connessi), stimava giusto chiedere comunque la condanna - perché in ogni caso l’imputato aveva tentato di raggiungere l’afghanistan, anche se era stato catturato subito prima di riuscirvi -, ma, chiedendo il minimo della pena, non si opponeva alla liberazione. Il secondo, più sfortunato, capitava con un altro procuratore forse meno disponibile a considerare l’internamento in Guantanamo per nove anni, senza processo, di un islamico, e così ha avuto - mi sembra - nove anni di carcere. Il terzo imputato, quello a cui lei ha fatto riferimento, è stato appunto assolto.

Abbiamo accennato a Guantanamo, ove la tortura è di casa e i diritti del detenuto una chimera. In pochi sanno che cronache di realtà non molto dissimili da quell’inferno sono emerse, in passato, anche dal nostro Paese. La sua attività presumo che l’abbia reso un testimone diretto di questo. Vuol parlarci di carceri come era quello, per esempio, di Benevento?

Quello di Benevento attualmente può considerarsi uno dei migliori carceri d’Italia. Qualche anno fa non era così, forse per la presenza di alcune guardie carcerarie che ora non ci sono più. Verso la direzione non abbiamo invece mai avuto lamentele. Quello di Macomer qualche anno fa era un inferno. Poi, improvvisamente, anche lì la situazione è migliorata. Qualche difficoltà sembra persistere a Rossano, ma forse è anche per il disagio dovuto all’inaccessibilità in quel carcere da parte dei familiari dei detenuti. Da Roma ci vogliono nove ore di viaggio in un treno notturno che parte alle ore 23.00 e non ha neppure le cuccette. Un nostro assistito, l’ex Imam di Bruxelles di 68 anni, operato al cuore da detenuto e condannato a nove anni, lamenta invece che è punito da troppo tempo con una sanzione per cui non può fare quattro telefonate al mese alla moglie e agli undici figli, di cui quattro minori. Sarà perché ha avuto una condanna a nove anni per terrorismo in quanto “troppo carismatico”. Carismatico al punto da far presumere che, con le sue prediche, riuscisse a suggestionare, pur senza espliciti inviti a farlo (e, proprio per questo, considerato più pericoloso) alcuni soggetti psicologicamente deboli, a recarsi in Afghanistan per fare la guerra santa (!).
Questo, in sintesi, il senso della sentenza di condanna.

Stando a quanto lei riporta, quella del terrorismo islamico in Italia si rivelerebbe una preoccupazione fallace. C’è un modo grave, tuttavia, con cui istituzioni e media affrontano il tema, e che suscita enfasi nell’opinione pubblica. Riconduce tutto ciò ad un disegno preciso?

Più che fallace la definirei montata ad arte, per motivi politici e militari meglio illustrati nel libro. La preoccupazione c’è, ovviamente, ma è nei destinatari delle suggestioni: una parte più ingenua della popolazione, alcuni giudici popolari e tutti quelli che devono essere utilizzati. Un vero pericolo non è mai esistito e, se qualche esempio sembra dimostrare il contrario, è perché quell’esempio serviva, appunto, a dimostrare il contrario ed è accaduto proprio per quello.
Questa non è soltanto la nostra opinione, ma quella ormai di molti. Anche se non serve a nulla saperlo in pochi o molti che si sia. Ma la conoscenza e la verità sono frutto a se stesse e non aspettano riconoscimenti.

Lei è dell’opinione che l’Islam come cultura rappresenti un ostacolo ad un processo di omologazione dei cervelli. In cosa consisterebbe di preciso questo processo e perché ritiene che una fede religiosa possa contrastarlo?

Non soltanto una fede religiosa costituisce questo ostacolo. Lo costituiscono: le nazioni, le ideologie, le monete nazionali, le diverse identità culturali, l’intelligenza, la diversità in genere e tutto quello che si oppone alla moneta unica, alla banca mondiale, ai governi tecnici, al tramonto della politica, ai controlli globali, all’instaurazione di un potere unico centrale definito fraudolentemente “Nazioni Unite” mentre non ha nulla a che vedere con la sigla che attualmente designa quell’attuale istituzione.

In che modo gli stravolgimenti geopolitici che stanno avvenendo in Nord Africa e Medio Oriente hanno cambiato la percezione che in Occidente si ha di quanto avviene in quella regione? Crede che dobbiamo attenderci prossimamente nuovi casi di terrorismo islamico in Italia o ritiene che la “primavera araba” stia mitigando le preoccupazioni occidentali circa questo pericolo?

Sì, credo purtroppo che altri casi ci saranno. Sempre che vengano adottate le misure che la Banca mondiale, il Fondo Monetario internazionale, il Council on Foreign Relations, la Cia (e tutti coloro i quali soffiano sul fuoco sollecitando attacchi all’Iran, accerchiamenti alla Russia e alla Cina), vogliono prontamente imporre alla gente. Come effetto, a quel punto, è probabile che un nuovo “mercato della paura” venga attrezzato.  Però, se un certo numero di persone che contano dovessero mostrare di aver capito il gioco, è possibile che gli strateghi siano costretti a cambiare tattica e ad adottare metodi almeno meno mostruosi.
Quanto alla “primavera araba”, credo che aumenterà le preoccupazioni dell’Occidente soltanto se sfuggirà di mano a chi l’ha suscitata come risultato di un cambio di strategia: da quella dei missili a quella delle rivoluzioni, prima colorate e poi, sempre colorate ma di sangue.  Se resterà sotto il controllo di chi al di là delle apparenze ha voluto da dietro le quinte questa primavera (senza con ciò far torto a chi vi ha sinceramente partecipato con autentica speranza), non ci saranno pericoli in tal senso. Se invece quei Paesi esprimeranno fosse pure un Islam annacquato ma non omologabile completamente all’Occidente, credo che “i guardiani della casa dei padroni del mondo attuale” saranno molto pre-occupati. Prepareranno nuove strategie, che non potranno non essere sempre più repressive. A quel punto i destinatari potrebbero aumentare: non più soltanto musulmani, ma tutti coloro che sembrano volersi opporre alle ricette del “buon governo” e del “politically correct”.

 
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