Grazie a questi accordi da circa due settimane sta agendo nel mare che circonda l’isola caraibica la piattaforma petrolifera Scarabeo 9; costata oltre 700 milioni di dollari e costruita dall’italiana Saipem, società dell’Eni, ha iniziato le perforazioni a 1700 metri di profondità, nel "blocco cubano" denominato Jaguey, a circa 22 miglia dalla costa cubana, all’altezza di Playa de Santa Fe.
Quest’area fa parte della zona economica esclusiva di L’Avana e vede all’opera agli altri spagnoli di Repsol, che hanno affittato la piattaforma cinese, anche ditte malesi, russe, e venezuelane, mentre a breve dovrebbero arrivare anche società norvegesi ed indiane.
Secondo il governo di L’Avana a largo dell’isola, stando ad uno studio realizzato dal servizio geologico degli Usa, ci sarebbero qualcosa come 4,6 miliardi di barili nella peggiore delle ipotesi; qualcuno, quanto mai ottimista, pensa che potrebbero essercene fino a 20 miliardi barili.
Qualora le stime, anche le più pessimistiche, fossero confermate Cuba si trasformerebbe in breve tempo in uno dei maggiori produttori di petrolio dell’area americana, tanto che da qui a quattro anni l’estrazione di greggio potrebbe arrivare a 525,000 barili al giorno, decisamente sufficienti per i bisogni interni e per l’esportazione, il che significherebbe nuove entrate per le già provate casse statali.
I cubani hanno in mano il loro futuro; in passato legandosi mani e piedi all’Urss, più per convenienza che per affinità ideologica, hanno limitato fortemente il loro progresso, ora dovrebbero stare attenti a non commettere nuovamente un errore simile legandosi mani e piedi ad un altro paese.