(ASI) New York – Si è appena conclusa nella capitale americana la 78ª sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Dal 18 al 22 settembre, capi politici provenienti da tutto il mondo si sono riuniti per discutere i temi di più stretta attualità.
In rappresentanza dell’Unione europea è intervenuto il presidente del Consiglio, Charles Michel, il quale ha portato all’attenzione dei presenti le istanze di Bruxelles. Dal funzionamento dell’Onu alla crisi climatica, dalla transizione verde alle relazioni con il Sud del mondo fino al conflitto in corso in Ucraina, molteplici sono state le questioni affrontate nel suo discorso all’Assemblea.
Alla radice dell’intervento, la constatazione di un ordine globale indebolito da un equilibrio mai così fragile, lacerato da minacce naturali e dall’aggressività di nuovi e vecchi attori pronti a tutto pur di conquistare un maggior peso nei tavoli negoziali che contano. “Le tensioni si stanno moltiplicando. Un pericoloso confronto bipolare ci minaccia, come se tutti dovessero schierarsi gli uni contro gli altri”, ha esordito Michel.
Nelle sue parole, la preoccupazione per il clima sempre più fuori controllo responsabile di catastrofi naturali imprevedibili e violente, per la povertà dilagante in numerose zone del globo, per l’uso distorto a fini militari delle tecnologie di ultima generazione e dell’intelligenza artificiale. Ma anche l’apprensione per una guerra che dopo un lungo periodo di pace è tornata a insanguinare i confini dell’Europa, con gravi ripercussioni sull’ordine internazionale.
Dinanzi a tali insidie – ha proseguito Michel – l’Unione è pronta a fare la propria parte, lavorando alla costruzione di “un mondo multipolare, un mondo che coopera, che si muove verso una maggiore democrazia e un maggiore rispetto dei diritti umani”. Un’Europa, in sostanza, che predilige il dialogo al triste rumore delle armi. Un’Europa guidata da quelli che il presidente considera “sacri principi” sanciti nella Carta delle Nazioni Unite: sovranità, integrità territoriale, diritti umani.
Eppure, a suo avviso, l’Onu sta attraversando un periodo difficile. E’ sotto gli occhi di tutti, d’altronde, la paralisi mostrata di fronte l’invasione russa dell’Ucraina. Un evento ostile che non si è riusciti in alcun modo ad arginare. Le risoluzioni approvate nell’Assemblea Generale sono cadute nel vuoto. Il senso di impotenza ha toccato l’apice quando, nel mese di aprile, la Federazione russa ha addirittura presieduto il Consiglio di Sicurezza, come se nulla stesse accadendo.
“Le Nazioni Unite sono disfunzionali” ha tagliato corto Michel. E lo sono, a suo dire, almeno per due motivi. In primis, vi è la questione del diritto di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza tra i quali figura, per l’appunto, la Russia di Putin. Poiché non esistono attualmente limiti all’esercizio di tale potere, un membro può ricorrervi in maniera opportunistica per bloccare decisioni ostili alle proprie azioni. L’esempio dell’invasione russa e dell’impossibilità di prendere provvedimenti è quanto mai calzante. Come ha espressamente affermato lo stesso Michel, al momento “un membro permanente del Consiglio di Sicurezza può violare palesemente, e impunemente, la nostra Carta e il diritto internazionale”.
In secondo luogo, sorge il problema della rappresentatività delle Nazioni Unite. In altri termini, l’organo appare troppo ancorato all’ordine globale uscito dalle ceneri della Seconda guerra mondiale. A differenza dell’epoca passata, oggi si stanno formando nuovi centri di potere, nuove alleanze, nuovi organismi internazionali che rappresentano le istanze di paesi emergenti decisi a rivestire un ruolo sempre maggiore nei negoziati internazionali. Ma quanta voce hanno in capitolo all’interno delle Nazioni Unite?
Michel ha proposto una soluzione per ciascuna criticità. La prima – secondo quanto già prospettato in precedenza dai delegati di Francia e Messico – consiste nell’emendare la Carta Onu introducendo la possibilità di limitare il ricorso al veto da parte di chi commette “atrocità di massa”. Impossibile non cogliere un’allusione a quanto sta succedendo in Ucraina. In relazione alla necessità di estendere l’Onu agli Stati e alle organizzazioni emergenti, Michel si è impegnato a organizzare quanto prima un vertice negoziale tra Unione europea, Unione africana, la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (Celac) e l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean), alla presenza del Segretario Generale delle Nazioni Unite.
Il presidente del Consiglio europeo si è poi focalizzato sull’emergenza ambientale. Un’emergenza che non è più possibile ignorare, come dimostrano i sempre più frequenti eventi climatici estremi che flagellano tutto il mondo. Michel ha esortato gli interlocutori a intraprendere senza indugio decisioni rapide e coraggiose per limitare, ad esempio, il riscaldamento globale a 1,5°C o azzerare le emissioni nocive di carbonio entro il 2050. A suo parere, bisogna spingere l’acceleratore sulla transizione verde, promuovendo le energie rinnovabili su larga scala.
Ma per fare tutto questo serve un serio impegno economico. “Non accadrà alcun miracolo se non decidiamo di mobilitare subito massicce quantità di finanziamenti”, ha esclamato il presidente. Michel ha chiesto alla comunità internazionale di compiere ogni sforzo per erogare 100 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima e di investire 5.000 miliardi all’anno – ovvero il 4% del PIL globale – in favore della transizione energetica entro il 2030. Si tratta di impegni già presi in precedenza, che però sinora sono stati solo parzialmente mantenuti.
Michel ha lanciato un monito: coinvolgere i paesi in via di sviluppo nel processo di transizione è un dovere congiunto. D’altronde, se è vero che gli Stati più industrializzati sono i maggiori responsabili dell’attuale precaria situazione ambientale, è anche vero che sono spesso e volentieri gli Stati più poveri a pagarne le spese. Ciò non solo a causa della loro particolare conformazione geografica, ma anche perché le loro labili economie non sono in grado di sopportare le ricadute dei cambiamenti climatici e delle costose politiche necessarie a contrastarli. “Ad oggi solo un quarto degli investimenti privati globali viene effettuato nei paesi in via di sviluppo. Eppure i paesi del G20 sono responsabili dell’80% delle emissioni globali” ha ammonito Michel.
Secondo il presidente, è arrivato il momento di sostenere finanziariamente i paesi più in affanno. “Non è questione di elemosina, è questione di giustizia. Si tratta di rendere il sistema finanziario globale più robusto, più inclusivo, più efficace”, ha sentenziato. Si tratta, in altre parole, di aumentare gli investimenti nel duplice obiettivo di risanare le economie locali e metterle concretamente nelle condizioni di attuare la transizione ecologica. Michel ha paventato, in merito, l’ipotesi di coinvolgere attivamente il settore privato e di riformare il funzionamento delle banche multilaterali di sviluppo – ad esempio la Banca mondiale – le quali sono per l’appunto incaricate di supportare gli Stati più poveri.
Dietro le parole del presidente non si cela unicamente la volontà di arginare l’annosa dialettica fra un Nord ricco e un Sud desideroso di diventarlo. Vi è, altresì, l’intenzione squisitamente politica di andare incontro alle richieste di maggior coinvolgimento internazionale da anni avanzate da numerose cancellerie africane. Queste ultime, infatti, non hanno mai dimenticato il controverso passato coloniale che le ha segnate e le classi dirigenti locali hanno tutto l’interesse di adoperarsi per evitare il ripetersi di spiacevoli dinamiche di potere. Non va dimenticato nemmeno come, ben coscienti di ciò, Russia e Cina non perdano occasione per screditare l’Occidente agli occhi dell’opinione pubblica locale, rinfacciando proprio le conseguenze delle logiche coloniali.
A proposito di Mosca e Pechino, nel discorso di Michel ha trovato ampio spazio la drammatica guerra in Ucraina. Il presidente ha ribadito che l’Unione è “fermamente al fianco di Kyiv” e lo rimarrà “per tutto il tempo necessario”. Obiettivi finali dell’intervento diplomatico, economico e militare di Bruxelles sono il raggiungimento del cessate il fuoco, la sottoscrizione di una “pace giusta” che rispetti il diritto internazionale e garantisca la piena sovranità politica e territoriale dell’Ucraina, l’accertamento giudiziale dei crimini commessi.
Michel ha chiamato in causa direttamente il delegato cinese, esortandolo a prendere apertamente posizione. “Uniamo le forze per persuadere la Russia a porre fine a questa guerra criminale. Uniamo le forze per convincere la Russia a rispettare i principi della Carta delle Nazioni Unite”, ha scandito senza troppi giri di parole. Tuttavia, non va dimenticato quanto le relazioni fra Bruxelles e Pechino continuino a essere particolarmente tese. Oltre all’atteggiamento ambiguo finora esibito dalla Cina nei confronti degli sviluppi bellici, a pesare sono anche le accuse di concorrenza economica sleale che Bruxelles va ormai da tempo muovendo contro il paese del dragone.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia