Cina. Dopo tre mesi risale il PMI manifatturiero, continua lo slancio dei servizi

135282252 14607077568111n(ASI) L'indice PMI manifatturiero cinese interrompe un trimestre complicato, durante il quale era progressivamente sceso sotto i 50 punti, evidenziando una fase di contrazione del settore. Il dato del mese di giugno è ancora inferiore a questa soglia (49), ma i due decimi recuperati rispetto a maggio (48,8) rappresentano «un incoraggiante segno del miglioramento delle attività produttive e del rafforzamento dello slancio economico», come sostiene il Dipartimento Nazionale di Statistica, citato da Xinhua.

Dei 21 settori industriali presi in esame dal sondaggio, a giugno sono ben 12 ad aver mostrato un indice in crescita rispetto agli 8 del mese scorso: un aumento che indica un miglior clima manifatturiero, stando all'analista Zhao Qinghe.

Secondo i dati diramati in mattinata dal Dipartimento, sia la produzione che la domanda sono migliorati. L'indice della produzione è tornato in territorio espansivo mentre quello relativo ai nuovi ordini, sebbene ancora al di sotto dei 50 punti, ha registrato un incremento. A segnare una crescita stabile sono, nel dettaglio, il settore auto, quello delle attrezzature ferroviarie e marittime, e i macchinari elettrici. In espansione anche la manifattura hi-tech e le apparecchiature. Stabile, invece, la performance dell'industria dei beni di consumo.

Anche sul fronte dell'inflazione, la situazione in Cina pare in costante miglioramento: a giugno la quota di intervistati che lamenta elevati costi delle materie prime e dei trasporti è diminuita per il quarto mese consecutivo. Restano, tuttavia, ancora difficoltà per le piccole imprese, mentre l'indice PMI relativo a quelle grandi aumenta tanto da aver superato in questo mese la cosiddetta linea "boom-and-bust" (espansione-contrazione). Il dato delle medie imprese resta sotto la soglia dei 50 punti ma è comunque in risalita rispetto a maggio.

Proprio oggi, la banca centrale cinese (PBoC) ha annunciato la decisione di aumentare di 200 miliardi di yuan (€ 25,25 mld) la quota di cessione e risconto per il settore agricolo e per le piccole imprese nel quadro degli sforzi mirati a ridurre i costi di finanziamento e ad incrementare l'occupazione. È solo l'ultimo di una serie di interventi di politica monetaria operati dalla PBoC per sostenere l'economia durante e dopo la pandemia.

Passando ai servizi e alle costruzioni, il PMI non manifatturiero continua invece a crescere in modo sostenuto, come da mesi a questa parte, con un dato di 53,2 punti. «L'economia cinese ha mantenuto una tendenza alla ripresa», ha osservato Zhao. Nel primo trimestre di quest'anno, il PIL è cresciuto del 4,5% segnando un cambio di passo considerevole dopo la rimozione delle misure restrittive introdotte nei tre anni precedenti per contenere la diffusione del Covid-19. Dal secondo trimestre gli analisti si attendono un ulteriore miglioramento, tale da consentire alla Cina di centrare l'obiettivo del 5% fissato dal governo per quest'anno.

Gli shock e le incertezze provenienti dall'esterno non permettono certo a Pechino di dormire sonni tranquilli ma il governo, coadiuvato dal Consiglio di Stato, ha già messo in campo una serie di misure per contenere i contraccolpi della guerra russo-ucraina e, soprattutto, delle sue conseguenze economiche sull'Europa, dove un'inflazione elevata, a malapena scalfita dall'aggressiva politica rialzista della BCE, ha già portato l'Eurozona in recessione tecnica.

Nell'ottobre 2020, la leadership cinese introdusse il concetto di doppia circolazione: una rimodulazione del rapporto tra circolo economico interno e circolo economico esterno, per effetto della quale il primo avrebbe dovuto assumere maggiore importanza rispetto al secondo. Non pochi analisti, soprattutto in Occidente, descrissero quella decisione come una scelta di chiudere gradualmente l'economia per intraprendere un percorso orientato verso un non meglio precisato modello autarchico. Un'operazione già di per sé impossibile in un contesto, ormai irreversibile, di globalizzazione.

La Cina sta, molto più semplicemente, ricalibrando alcune priorità nel solco di un fisiologico processo storico di trasformazione ed innovazione del suo modello di sviluppo, da quasi un decennio ormai trainato dai consumi interni e non più dall'export.

Non ci saranno chiusure, tutt'altro. I progetti approvati e già operativi per modernizzare le vecchie zone economiche speciali, aperte negli anni Ottanta, riorganizzando la geografia degli investimenti con l'inaugurazione di 21 aree-pilota di libero scambio (Shanghai, Guangdong, Tianjin ecc. ...) e di un nuovo porto di libero scambio (Hainan), evidenziano l'intenzione di aprire ulteriormente il mercato attraverso specifiche normative, facilitazioni e servizi di alto livello per le imprese straniere interessate ad investire nella regione Asia-Pacifico, già integrata dall'entrata in vigore del Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP).

Da grande "fabbrica del mondo", dove realizzare prodotti finiti o semi-lavorati destinati ai mercati occidentali, la Cina sta ormai diventando il principale "mercato di consumo" del pianeta: un mercato di sbocco, più che di origine, per moltissimi prodotti stranieri. Il passo successivo vedrà il colosso asiatico trasformarsi (anche) in un gigantesco hub commerciale, logistico e finanziario.

Per questo, come sostenuto, tra le righe, da Scholz e Macron la scorsa settimana durante i rispettivi incontri con il primo ministro Li Qiang, sarà necessario che l'UE non confonda la riduzione del rischio (de-risking) lungo le catene di approvvigionamento con i distopici disegni di disaccoppiamento (de-coupling) dall'economia cinese teorizzati dagli ambienti più interventisti della politica statunitense. Se la guerra russo-ucraina ha messo in luce un'urgenza, questa richiama in modo inequivocabile l'importanza di perseguire una vera politica di autonomia strategica da Washington.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

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