(ASI) La domanda che gli analisti si pongono dal marzo scorso è: riuscirà la Cina a rispettare l'obiettivo di crescita del 5,5% fissato dal governo ad inizio anno? Molti esperti, in particolare in Occidente, ritengono di no.
Le previsioni più ottimistiche stimano il tasso di crescita al 4,3%, quelle più pessimistiche arrivano addirittura sotto al 2%. Le nuove chiusure decise tra marzo e aprile in diverse città, prima tra tutte Shanghai, hanno indubbiamente prodotto un impatto sensibile sull'economia del Paese.
Ferme restando la crisi di una parte del settore immobiliare e le recrudescenze pandemiche che il Paese ha dovuto affrontare tra gennaio e maggio, lo stesso governo cinese aveva già indicato alcune criticità riassunte nella cosiddetta "triplice pressione": contrazione della domanda, problemi di approvvigionamento e indebolimento delle aspettative. Un quadro complessivo cui lo scoppio della guerra in Ucraina non ha fatto che aggiungere incertezze.
Eppure, il mercato cinese sembra ancora in salute. I nuovi dati del Ministero del Commercio, riferiti alla Cina continentale, confermano, a distanza di una decina di giorni dai precedenti, la crescita dei flussi di investimenti diretti esteri su base annua del 17,3% nei primi sette mesi dell'anno, per un totale di 798,33 miliardi di yuan (€ 116 mld), frutto della presenza di oltre 1 milione di società straniere registrate in loco, il più alto numero al mondo.
Durante la conferenza stampa di ieri, il portavoce ministeriale Shu Jueting, citato da Xinhua, ha attribuito il successo a quattro fattori principali: un sistema industriale completo, un mercato di enormi dimensioni, la stabilità sociale e positivi fondamentali economici di lungo periodo. A questo si aggiungono - sempre secondo Shu - le maggiori opportunità create da un mercato mai aperto quanto oggi e i miglioramenti apportati nel quadro normativo.
Dopo l'entrata in vigore, il primo gennaio 2020, della nuova legge sugli investimenti esteri, vera e propria pietra angolare dello sviluppo del Paese in questa terza decade di secolo, la Cina ha recentemente stilato una nuova, più ridotta, lista negativa per gli investimenti esteri con l'obiettivo di ampliare e facilitare l'accesso al mercato. Come riporta Xinhua, il governo ha inoltre «abolito, rivisto o promulgato 520 regolamenti per migliorare l'ecosistema giuridico in tema di investimenti esteri e ha aumentato gli sforzi in materia di protezione dei legittimi diritti e interessi delle imprese straniere».
Sul fronte interno, Pechino promette di consolidare la ripresa con una serie di mosse annunciate mercoledì scorso dal Consiglio di Stato. Si tratta di 19 politiche di accompagnamento finalizzate a creare maggior sinergia tra i provvedimenti già in vigore, dopo l'emissione, lo scorso maggio, di un pacchetto di 33 misure in ambito fiscale, finanziario, industriale ed altri ancora.
Durante il vertice, presieduto dal primo ministro Li Keqiang, è emerso che l'economia cinese ha proseguito nella sua fase di recupero sin dallo scorso giugno ma che le fondamenta di questa ripresa non possono ancora essere ritenute solide a causa di alcuni fattori avversi. L'indicazione del Consiglio di Stato è dunque quella di «adottare misure decisive e fare buon uso degli attrezzi disponibili in cassetta».
Uno dei comparti su cui Pechino fa punta di più è quello delle infrastrutture e delle grandi opere, tra i settori-traino dell'economia cinese nel corso dell'ultimo decennio, anche in chiave di sostenibilità, in particolare con l'avvio di grandi progetti, sia in patria che all'estero, nell'ambito dell'iniziativa Belt and Road (BRI). Il Consiglio di Stato ha così messo sul piatto ulteriori 300 miliardi di yuan in quote per strumenti finanziari policy-based e orientati allo sviluppo, oltre ai 300 già impiegati. La previsione degli analisti cinesi è che questo straordinario sostegno finanziario possa aumentare la spesa stimolando investimenti efficaci e rafforzando la domanda di prestiti.
Quello del credito è un problema cresciuto nel corso dell'ultimo anno a causa della crisi post-pandemica, che ha creato difficoltà soprattutto ai privati e alle piccole imprese, più esposti in questo senso. Dopo vari tagli al coefficiente di riserva obbligatoria bancario, di cui l'ultimo ad aprile con l'obiettivo di sostenere le PMI e le aree rurali, lunedì scorso la Banca centrale cinese (PBoC) ha annunciato il taglio del tasso di prestito primario, esortando le banche a fornire maggior supporto creditizio alle entità di mercato e fare pieno uso degli strumenti finanziari policy-based orientati allo sviluppo per incrementare il sostegno all'edilizia infrastrutturale.
Secondo Wen Bing, capo economista di China Minsheng Bank, la prima banca cinese a maggioranza privata, fondata a Pechino nel 1996, «con il sostegno del governo è probabile che le basi della ripartenza si consolideranno e il ritmo di crescita si rafforzerà nella fase successiva». Una valutazione sostanzialmente in linea con quanto ipotizzato dagli analisti di Bluerating, che già lo scorso 14 luglio prevedevano una probabile stabilizzazione dell'economia cinese nel secondo semestre, proprio in attesa di un maggior sostegno politico nel breve termine.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia