(ASI) L'inarrestabile, quanto rapida, avanzata dell'esercito dei talebani in Afghanistan, oggi alle porte della capitale Kabul, certifica la sconfitta militare e il fallimento politico degli USA e della Nato che dopo 20 anni sono costretti a lasciare in fretta il Paese.
Si ripete la dinamica del Vietnam, quando nel 1975 le truppe statunitensi fuggirono precipitosamente dall'allora Saigon (oggi Ho Chi Min) - e qualcuno direbbe - "Risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza".
La cosa che fa pensare oltre alle tante vittime innocenti provocate in 20 anni di conflitto sul campo è che ia maggioranza della popolazione sembra preferire i talebani pur di ritrovare la pace sociale e una stabilità ormai perduta da decenni. Afgani che non hanno creduto ai politici imposti dagli USA, né al 'messianismo salvifico' occidentale. Non sono stati fatti adeguati investimenti sulle infrastrutture e su porogrammi di inclusione sociale, preferendo quasi eslusivamente investire sulle strutture militari e in quelle della sicurezza.
È mancata da parte di Washinton anche la conoscenza del contesto politico-sociale-culturale. Mentre oggi i Talebani ritornano da vincitori e sono loro a dettare le condizioni: "Non entreremo a Kabul con la forza. Sono in corso trattative per un ingresso pacifico a Kabul. Abbiamo ordinato a tutte le nostre forze di fermarsi alle porte di Kabul". Ora l'opinione pubblica internazionale dovrà interrogarsi sull'operato delle amminstrazioni statunitensi degli ultimi 20 anni (Bush Jr.,Obama-Trump, Biden) e dei loro alleati, in particolare alla luce degli enormi costi umani ed economici di questa guerra.
Sul fronte interno resta ancora tutto da decifrare il programma politico dei talebani. Va infatti tenuto conto di una nuova derigenza politica e di una nuova generazione, con una formazione ed una mentalità che potrebbero non coincidere con quelle della vecchia guardia guidata dal Mulah Omar.
*Nella foto il comunicato dei talebani riguardo alla presa di Kabul.