(ASI) Nelle ultime settimane si è aperto un nuovo capitolo della questione relativa allo Xinjiang, la regione autonoma nordoccidentale cinese dove, tra le diverse etnie autoctone (47 in tutto, di cui 13 principali), spicca quella turcofona musulmana degli uiguri, che ne costituisce la maggioranza relativa. Da oltre vent'anni, la diaspora uigura emigrata nei Paesi occidentali ed in altri Paesi a maggioranza musulmana cerca di esercitare pressione sui governi stranieri per promuovere la causa indipendentista del cosiddetto Turkestan Orientale, denunciando presunte detenzioni arbitrarie, violenze e sterilizzazioni forzate ai danni della comunità uigura residente nello Xinjiang.
Il governo cinese, che ha sempre respinto al mittente ogni accusa, ha più volte spiegato, attraverso rapporti e pubblicazioni, che i centri di istruzione e formazione presenti nella regione rientrano in un programma pensato per tutte quelle persone che, senza essersi macchiate di reati gravi, sono state comunque affiliate a cellule islamiste ed ora cercano di reinserirsi nella società attraverso un percorso di apprendimento tecnico e avviamento al lavoro.
Sul piano storico e culturale, poi, Pechino tiene a precisare che l'attuale Xinjiang coincide grossomodo con l'area geografica del Bacino del Tarim e le fasce montuose delle tre catene centrasiatiche che lo circondano (Tienshan, Pamir e Kunlun). Questo vasto territorio era già stato sotto il controllo della Dinastia Han secoli prima dell'arrivo degli Uiguri e rappresenteva il principale snodo strategico dell'antica Via della Seta che da Chang'an, l'odierna Xi'an, giungeva sino a Roma. Il PCC considera dunque l'intera regione parte integrante ed inalienabile della Repubblica Popolare, pur riconoscendone l'intrinseca natura multietnica e multiconfessionale.
La dirigenza cinese, al pari di quanto avvenuto in altre quattro regioni (Tibet, Mongolia Interna, Nigxia e Guangxi), ha già concesso un marcato grado di autonomia nello Xinjiang sia al primo livello amministrativo, stabilito nel 1955, che ai livelli inferiori. All'interno della Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang esistono infatti anche cinque prefetture autonome (Bayingolin, Bortala, Changji, Ili e Kizilsu) e sei contee autonome (Barkol, Tashkurgan, Hoboksar, Mori, Yanqi e Qapqal), designate sulla base della particolare concentrazione demografica di alcune minoranze: Uiguri, Kazaki, Hui e Tagiki, tra le comunità di tradizione musulmana, ma anche Mongoli, Xibe, Daur ed altri ancora.
Lo scorso 14 giugno, il governo centrale a Pechino e quello regionale a Ürümqi, guidato da Shohrat Zakir, hanno presentato i dati del nuovo censimento, sottolineando i cambiamenti demografici registrati nel corso degli ultimi dieci anni nella regione autonoma. I dati emersi mostrano che, ad ottobre 2020, la popolazione regionale combinata di tutte le minoranze, cioè di tutti i gruppi etnici al di fuori degli Han, aveva raggiunto quasi 15 milioni di unità, cioè 1,86 milioni in più (+14,27%) rispetto al dato del 2010, arrivando a rappresentare il 57,76% del totale.
A causa di una morfologia in parte montagnosa ed in parte desertica, lo Xinjiang, malgrado sia la suddivisione amministrativa più estesa dell'intero Paese (ca. 1,66 milioni di km2), è inabitabile dall'uomo in gran parte del suo territorio. La regione racchiude difatti soltanto l'1,84% circa della popolazione nazionale, ovvero 25,8 milioni di abitanti, di cui 11,6 milioni di etnia uigura (44,96% del totale regionale), seguiti a breve distanza dalla comunità di etnia han, aumentata di 2,17 milioni di unità nel corso dell'ultima decade, sino a raggiungere quota 10,9 milioni (42,24% del totale regionale).
È dunque l'intera popolazione dello Xinjiang ad essere cresciuta nel periodo 2010-2020, per un incremento pari a 4 milioni di abitanti (+18,5%), il quarto miglior dato a livello nazionale. Secondo il rapporto allegato al censimento, la positiva tendenza demografica registrata nel decennio scorso è legata anche all'aumento della qualità della vita e dell'istruzione. Prendendo in esame la popolazione al di sopra dei 14 anni di età, infatti, la media del ciclo di istruzione è salita da 9,27 a 10,11 anni, un dato superiore alla media nazionale, pari a 9,91 anni. La popolazione al di sotto dei 14 anni di età è invece aumentata di 1,27 milioni di unità, sino a 5,8 milioni, pari a circa il 22,5% del totale regionale. La fascia anagrafica più numerosa resta logicamente quella della popolazione in età lavorativa (15-59 anni), che rappresenta circa il 66,3% del totale. Quella dai 60 anni in su si ferma all'11,3%.
Passando al genere, la popolazione maschile (13,35 mln) dello Xinjiang è di poco superiore a quella femminile (12,49 mln): 51,7% contro 48,3%. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, invece, il 56,5% della popolazione è residente nelle aree urbane mentre il 43,5% nelle zone rurali. A questo proposito, nel decennio scorso, le città hanno registrato un incremento del 13,73% mostrando «significativi risultati nella promozione della strategia di urbanizzazione centrata sul popolo e orientata alla qualità».
Il 18 giugno scorso, la capitale cinese ha ospitato l'11a Conferenza sulle Questioni relative allo Xinjiang. Sono intervenuti per l'occasione diversi residenti, che hanno voluto rispondere alle accuse provenienti da alcuni uiguri emigrati negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove lo scorso anno è stato improvvisato una sorta di "tribunale uiguro". Si tratta in realtà di una struttura privata, senza alcun riconoscimento legale sia in territorio britannico sia a livello internazionale, supportata dal Congresso Mondiale Uiguro (WUC), organizzazione non-governativa guidata da Dolqun Isa e ritenuta collegata a formazioni separatiste ed islamiste, come l'ETIM ed l'ETLO, responsabili di gravi attentati terroristici nel corso degli ultimi venticinque anni sia in Cina che all'estero.
Yan Feifei, capitano della Sezione di Investigazione Economica del Dipartimento di Pubblica Sicurezza della Contea di Zhaosu, nella Prefettura Autonoma Kazaka di Ili, ha personalmente seguito il caso di Shailaguri Shawutibayi, una delle sedicenti testimoni dei presunti campi di internamento presenti nello Xinjiang, sostenendo che la donna non è mai stata in alcun centro di istruzione e formazione, e che ha lasciato il Paese il 5 aprile 2018 mentre erano in corso indagini su di lei per un'elaborata truffa sui prestiti, come confermato da Tian Shilin, direttore del Dipartimento di Vigilanza della Banca Commerciale Rurale della Contea di Zhaosu.
Pazil Ziyaoden, fratello minore di un'altra sedicente testimone di abusi e violenze fuggita all'estero, cioè Thursunai Ziyaoden, ha negato che la sorella sia mai stata costretta a subire una sterilizzazione forzata, spiegando che non ha mai avuto figli durante i suoi due matrimoni semplicemente perché è sterile di suo. Marhaba Abdughopur, ginecologa presso il Centro di Salute di Rasqui, nei pressi di Hotan, e sorella minore di Shamsinur Upur, ha negato seccamente le accuse lanciate all'estero dalla sorella, secondo cui le donne uigure con tre o più figli sarebbero costrette a rimuovere l'utero. Marhaba Abdughopur si è detta molto arrabbiata per le dichiarazioni, definite ridicole, della sorella, affermando di avere, oltre a Shamsinur, altri sei tra fratelli e sorelle, e di essere madre di tre figli.
Abduhelil Dawut, quinto fratello di Hameki Dawut, altra sedicente testimone degli abusi, ha precisato che la sorella non è mai stata in un centro di istruzione e formazione, negando che il padre sia morto a seguito di ripetuti interrogatori della polizia, come invece dichiarato dalla sorella. L'uomo, in realtà, non sarebbe mai stato indagato né detenuto e morì d'infarto naturale. Altra presunta testimonianza presa in esame durante la conferenza dello scorso 18 giugno è quella di Miriguri Tursun, smentita dal fratello minore Akbar Tursun. La donna aveva affermato di essere stata picchiata in un centro di istruzione e formazione, dove in realtà non avrebbe mai messo piede, di aver perso, a seguito delle percosse, un figlio, che sarebbe invece vivo e vegeto, e che lo stesso Akbar era stato torturato a morte in uno di questi centri.
Habiba Yimit, moglie di Maimutti Taiwakuli e madre dei loro tre figli, ha smentito invece la versione del marito, che aveva affermato di essere stato torturato numerose volte in carcere prima di fuggire dallo Xinjiang. Stando alla donna, il consorte non avrebbe mai trascorso un solo minuto della sua vita in prigione. Habiba Yimit, alle prese con la leucemia di una dei tre figli nel 2012, fu abbandonata poco tempo dopo dal marito, che scappò all'estero per affiliarsi ad un'organizzazione terroristica.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia