(ASI) Lo sguardo del resto del mondo sulla Cina è logicamente aumentato dopo la comparsa del primo focolaio di Covid-19 a Wuhan alla fine del 2019. Nel 2020 hanno dominato dapprima la paura per le scioccanti immagini delle strade blindate e della corsa dei sanitari contro un nemico invisibile ma potenzialmente letale, poi lo sconforto e la frustrazione per essere piombati in una situazione analoga senza tuttavia essere dotati degli stessi mezzi e delle stesse capacità per arginare in tempi relativamente brevi gli effetti più devastanti dell'emergenza in termini sanitari ed economici.

Nel giro di due mesi, lo shock iniziale ha lasciato il posto alla rabbia incontrollata, che ha consentito ad una miriade di teorie complottiste, spesso persino in contraddizione tra loro, di proliferare attraverso la rete contribuendo a seminare panico e disinformazione in un momento delicatissimo, anche dal punto di vista sociale e psicologico, per tutti quei Paesi che, come l'Italia, non avevano mai vissuto una simile situazione dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. L'ondata autunnale della pandemia ha tuttavia fugato ogni dubbio, mettendo a nudo i gravi limiti dell'Europa e degli Stati Uniti nella gestione dell'emergenza. Sottovalutazione, impreparazione e pregressi deficit nel sistema sanitario stanno compromettendo, ad oltre un anno di distanza dall'identificazione del nuovo virus, la stabilità sociale ed economica nei rispettivi Paesi.

Anche in Cina, come nel resto del mondo, potranno ripresentarsi nuovi focolai locali nei prossimi mesi. Era successo a giugno dell'anno scorso nel mercato all'ingrosso di Xinfadi, a Pechino, e di recente è capitato ancora, con la complicità della stagione invernale, a Shijiazhuang, capoluogo dello Hebei, dove il governo sta monitorando da giorni la situazione epidemica e sta già installando un centro temporaneo di osservazione medica per tenere sotto controllo i nuovi casi ed impedire che il contagio possa diffondersi nella vicina area metropolitana della capitale cinese. Fin quando non sarà vaccinata una quota di popolazione sufficiente a raggiungere la cosiddetta immunità di gregge, anche in Cina il virus non potrà dirsi del tutto sconfitto. Tuttavia è evidente che una maggiore capacità di intervento abbia sin qui permesso a Pechino - come ad altri governi asiatici, in primis Seoul e Singapore - di piegare tempestivamente la curva del contagio ed invertire la drammatica traiettoria del primo trimestre 2020.

Il clima avvelenato dell'ultima campagna elettorale per la conquista della Casa Bianca è culminato nell'assalto al Campidoglio da parte di alcune migliaia di manifestanti pro-Trump lo scorso 6 gennaio. Eppure, al netto degli attivisti più esagitati o pittoreschi, come l'ormai famigerato Jake Angeli, quel giorno a Washington sono scese in strada tantissime altre persone, evidenziando la forte spaccatura presente nel Paese. Sondaggi alla mano, molti elettori, non solo tra i repubblicani, sono ancora convinti che il risultato delle presidenziali sia stato inficiato dai brogli denunciati a gran voce dal presidente uscente. Che tali brogli siano effettivamente avvenuti o meno, resta comunque il dato oggettivo dei 74,2 milioni di voti popolari conquistati da Trump che, malgrado la sconfitta, ha aumentato il consenso rispetto alle elezioni del 2016, quando ne conquistò quasi 63 milioni.

Nei principali Paesi europei non sono stati per fortuna raggiunti gli stessi livelli di tensione politica ma le cose, in termini economici, vanno peggio. Per il Vecchio Continente, il 2020 è stato un anno letteralmente disastroso, con Italia, Francia, Germania e Spagna che, a conti confermati, faranno segnare flessioni senza precedenti recenti. Se gli Stati Uniti ripartono da una contrazione tutto sommato limitata (-3,6%), l'Eurozona dovrà fare i conti con una flessione ben più difficile da affrontare (-7,4%), cui a poco servirà il rimbalzo previsto nel 2021 (+3,6%). Un quadro, nel complesso, diametralmente opposto a quello che caratterizza l'altro versante del pianeta, dove il dato aggregato dei Paesi dell'Asia Orientale e del Pacifico, ovvero tutti quelli emergenti (tra cui anche la Mongolia) più la Corea del Sud e Singapore, evidenzia una crescita dello 0,9% per il 2020, cui faranno seguito tassi molto più alti nel 2021 (+7,4%) e nel 2022 (+5,2%) [Dati Banca Mondiale].

Quella cinese, infatti, non è l'unica economia ad essersi mantenuta in terreno positivo nel 2020, con un dato che dovrebbe confermarsi intorno al 2%. Nella più ampia regione Asia-Pacifico, il Vietnam dovrebbe aver sfiorato addirittura il 3%, il Myanmar un valore compreso tra lo 0,5 e l'1%, mentre il Brunei intorno all'1,8%. Anche alcune economie mature della regione, come Corea del Sud e Nuova Zelanda, hanno limitato i danni dell'effetto Covid-19 recuperando, a partire dal terzo trimestre, buona parte del terreno perduto nei primi due. Una situazione che consentirà loro di ripartire prima e meglio pur avendo chiuso il 2020 in terreno negativo. Più in difficoltà Giappone e Australia che, però, beneficeranno presto dei vantaggi del Partenariato Economico Regionale Globale (RCEP), firmato in videoconferenza lo scorso novembre dai leader dei 15 Paesi aderenti. Quando il nuovo mega-accordo di libero scambio sarà ufficialmente entrato in vigore, il mercato dei consumi cinese diventerà centrale per la ripresa regionale e mondiale.

I consumi interni, da sei anni traino della crescita del gigante asiatico (57,8% sul totale nel 2019), saranno la chiave di volta di questa decade. Già nel settembre 2019, prima dello scoppio della pandemia, uno studio di Amélie Thévenet e Ross Teverson per Jupiter AM, riportato da Focus Risparmio, aveva indicato la tendenza: «Il governo cinese sembra riconoscere il bisogno di ribilanciare la propria economia verso un modello più focalizzato sul livello domestico e guidato dai consumi. Alcuni progressi sono già stati compiuti su tale fronte e la guerra dei dazi potrebbe anche fornire loro un incentivo per velocizzare il piano, dato che i consumi domestici sono per loro più facili da stimolare rispetto ad altri aspetti più influenzabili dai mercati internazionali e dal commercio transfrontaliero».

Con la pandemia, questa linea si è ulteriormente rafforzata culminando, durante la quinta sessione plenaria del 19° Comitato Centrale ad ottobre scorso, nell'adozione del concetto di "doppia circolazione", una rimodulazione nel rapporto tra circolo economico interno e circolo economico esterno, non solo e non tanto per cercare di neutralizzare i fattori di rischio legati alla guerra commerciale e all'instabilità globale, ma anche e soprattutto per adeguare le politiche di sviluppo del Paese ad una nuova era, caratterizzata da una più elevata capacità di attrazione degli investimenti esteri e da maggiori volumi di importazione di beni high-end dai Paesi avanzati. Con il recente raggiungimento di un accordo di principio sugli investimenti, l'UE ha compiuto un passo importante nella definizione di un quadro più ampio e semplificato per l'accesso al mercato cinese, ma siamo ancora in tempo per intercettare appieno il nuovo trend oppure dovremo metterci in fila dietro altri attori più competitivi e scaltri di noi?

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

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