(ASI) Alcune voci ritengono che possa essere il preludio ad un attacco contro l’Iran. Gli Stati Uniti potrebbero chiudere a breve, per ragioni di sicurezza, la propria ambasciata a Baghdad.
L’attacco avvenuto domenica scorsa contro la struttura è stato, come ha scritto ieri il quotidiano Washington Post, “il più ampio da dieci anni” verso una sede diplomatica in Iraq. Una ventina di razzi hanno raggiunto infatti la Green Zone, dove sorge l’edificio e altri governativi, provocando solo lievi danni. L’assenza di vittime ha evitato, nelle ultime ore, l’attuazione dell’opzione militare “discussa ma non decisa” ieri, dal presidente uscente Usa Donald Trump alla Casa Bianca, col proprio Consiglio di sicurezza nazionale. Il tycoon ha postato, su Twitter al termine del vertice, una fotografia inerente a tre vettori non esplosi, a causa di lanci falliti, incolpando la Repubblica Islamica dell’ offensiva. Ha rivolto così il proprio appello alla controparte, invitandola a non compiere ulteriori passi nella direzione sbagliata. “Se un americano verrà ucciso, riterrò l’Iran responsabile”, ha tuonato il Comandante in capo sul noto social network.
Eventuale escalation. Aumentano dunque i timori, con l’avvicinarsi del 3 gennaio 2021, di azioni dei Pasdaran per vendicare ulteriormente l’uccisone, in un raid del pentagono proprio in quella data dell’ anno che si sta per concludere, del loro generale Qassam Soleimani nella capitale della nazione dell’Eufrate. La rappresaglia iraniana scattata cinque giorni dopo, verso le truppe di Washington schierate da ormai molto tempo sul territorio iracheno, non sembra essere stata sufficiente. Lo scenario è aggravato inoltre dall’ uccisione all’ inizio di dicembre, attribuita ai servizi segreti israeliani, del responsabile del programma atomico di Teheran Mosen Fakrizadeh. Gli Ayatollah desiderano colpire pertanto pure il nemico sionista. Una prima reazione sembra essere stata un’ offensiva cyber, verso alcune aziende che operano sul territorio di Benjamin Netanyahu, ma ci sarebbe la volontà di concretizzare alcune azioni belliche vere e proprie.
Usa – Israele pronti a intervenire in Iran. La crisi politica a Gerusalemme e le conseguenti elezioni anticipate non sembrano aver fermato gli intenti poco pacifici. Tel Aviv ha schierato, per motivi difensivi e precauzionali da qualche giorno nel Golfo Persico, un sottomarino contenente vettori. "Se l'Iran e i suoi partner agiranno direttamente o per procura, contro lo Stato di Israele, pagheranno un prezzo molto elevato”, ha fatto sapere il capo di stato maggiore Aviv Kochavi. Anche Washington ha effettuato la medesima scelta nell’area di crisi. Il pentagono ha dislocato il nucleare USS Georgia che contiene 154 missili da crociera. E’ scortato dagli incrociatori Philippine Sea, che ne ha a bordo 122 e dal Port Royal. Altri jet del dipartimento della Difesa sono giunti, intanto, nelle basi militari situate nelle nazioni alleate degli Usa in Medioriente. Bombardieri B52 hanno sorvolato recentemente, a scopo di deterrenza, l’area nei pressi del confine con l’Iran.
Possibili conseguenze di un eventuale attacco. Un eventuale conflitto, tra l’ Iran contro gli Usa e Israele, avrebbe conseguenze deleterie. Le ostilità si espanderebbero, molto probabilmente, in tutta la regione. Russia e Cina tutelerebbero i propri interessi convergenti, ben distanti però da quelli degli Usa. Il conflitto per procura, già in atto in diversi territori tra Washington e Mosca (sostenuta da Pechino), si intensificherebbe, producendo notevoli rischi per lo scacchiere geopolitico mondiale e per la pace nell’ intero pianeta. I prezzi del petrolio aumenterebbero insieme a quelli dei carburanti e di tutto ciò che viaggia su gomma. Un incremento dell’ inflazione, non regolato da politiche fiscali espansive volte a incentivare i redditi delle famiglie e delle imprese, genererebbe più povertà e appesantirebbe l’economia globale, già provata dalle conseguenze dell’ emergenza legata al Coronavirus.
Marco Paganelli – Agenzia Stampa Italia