(ASI) Dopo le celebrazioni per il quarantesimo anniversario dell'istituzione della Zona Economica Speciale di Shenzhen, il villaggio di pescatori diventato metropoli e capitale dell'innovazione, il presidente cinese Xi Jinping ha esortato tutti i dirigenti politici, nazionali e locali, a compiere gli ultimi sforzi per raggiungere una «completa vittoria» in quella che viene ritenuta l'ultima battaglia nella guerra alla povertà lanciata nel 1978 da Deng Xiaoping. L'appello è arrivato ieri all'interno di un documento sul tema, pubblicato alla vigilia della 7a Giornata Nazionale per la Riduzione della Povertà, che cade oggi.
Il 2020, secondo Xi, segna «un anno decisivo per completare la costruzione di una società moderatamente prospera in tutti i suoi aspetti e sradicare la povertà su scala nazionale». Nonostante le grandi difficoltà provocate dalla pandemia, scoppiata proprio a Wuhan lo scorso gennaio, e dalle inondazioni che in estate hanno colpito la Valle dello Yangtze ed alcune province meridionali, considerate le più gravi dal 1998, il primo obiettivo centenario resta dunque invariato. Il "moderato benessere" di una società caratterizzata da una folta e diffusa classe media, sintetizzato dal concetto confuciano di Xiǎokāng, era stato fissato molti anni fa dalla leadership cinese come il traguardo da raggiungere entro il 2021, anno in cui sarà celebrato il primo secolo di vita del Partito Comunista Cinese.
A causa dell'emergenza Covid e delle forti alluvioni, le previsioni indicano che quest'anno il PIL cinese crescerà probabilmente soltanto del 2-2,5% contro il 6,1% dell'anno scorso. Questa contrazione senz'altro inciderà negativamente sulle politiche di sviluppo, in particolare nelle aree più colpite dai due distinti eventi calamitosi: la provincia dello Hubei, vittima dell'epidemia di SARS-CoV-2, e le aree centro-meridionali flagellate dalle violente piogge estive. Eppure, Xi Jinping rilancia ed invita a mantenere dritta la barra, senza esitazioni, ribadendo che «la lotta alla povertà è entrata nella sua fase finale».
Le disposizioni sono chiare. «Tutte le municipalità e i dipartimenti devono dare piena attuazione al sistema e al meccanismo di riduzione della povertà, al contempo confermando i provvedimenti politici e consolidando i risultati attraverso molteplici misure», ha detto il capo di Stato cinese. Tra questi, Xi ha citato l'importanza di stimolare le forze produttive delle aree ancora caratterizzate da condizioni di arretratezza, tra cui molti villaggi e zone rurali. In questi casi non bastano però le robuste politiche fiscali messe in campo da Pechino in tutto il Paese nel corso degli ultimi sei anni, nel quadro della riforma strutturale dell'offerta, con un forte taglio delle tasse per le piccole e medie imprese, specie quelle innovative. È infatti lo Stato a sostenere direttamente piani di sviluppo sanitario, infrastrutturale, scolastico ed abitativo.
Come ormai tutte le statistiche internazionali evidenziano, a partire dal 1980 il governo cinese, per effetto delle politiche di riforma e apertura, ha strappato ad una condizione di povertà estrema circa 850 milioni di persone. Lo scorso anno, in vista della celebrazioni per il 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare, il segretario generale dell'ONU Antonio Guterres aveva indirizzato alla leadership cinese un messaggio di congratulazioni, sottolineandone in particolare la capacità di aver ridotto significativamente i tassi di mortalità infantile e materna, migliorato la nutrizione, diminuito il rallentamento della crescita e dimezzato la quota di popolazione priva di accesso all'acqua potabile e ai servizi igienici, oltre ad aver creato «uno dei migliori sistemi formativi al mondo, oggi in grado di attrarre studenti stranieri di varie provenienze». Guterres, in quell'occasione, aveva anche ricordato come «dopo aver guidato il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio [gli MDG fissati per il 2015, nda], la Cina sta ora attivamente applicando l'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile [gli SDG fissati per il 2030, nda]».
In questi quarant'anni, lo sviluppo economico e sociale del Paese ha seguito un percorso complesso e diversificato, incentrato sulle zone economiche speciali, vere e proprie sperimentazioni guidate dallo Stato centrale e dalle autorità locali per testare di volta in volta gli effetti delle misure adottate per aprire agli investimenti privati le città o le regioni coinvolte. Prudenza, insomma, ma anche velocità non appena il nuovo paradigma di sviluppo, quello dell'economia socialista di mercato, ha evidenziato la sua efficacia, diventando un modello per altri Paesi in via di sviluppo della regione Asia-Pacifico.
Nel 1980, la Cina era ancora una nazione prevalentemente agricola ed arretrata. Soltanto il 19% della popolazione viveva nelle aree urbane. Nel 2017 le città, espanse e trasformate con massicci interventi edilizi ed infrastrutturali, sono arrivate ad ospitare circa il 58% della popolazione. A questa trasformazione urbana è seguito un netto miglioramento delle condizioni di vita e l'aumento del salario medio, più che raddoppiato (2,51 volte) tra il 2010 e il 2019, al punto che è stato proprio il colosso asiatico a trainare, tra il 2008 e il 2017, la crescita media dei salari a livello mondiale: secondo i dati dell'ILO, infatti, in questi dieci anni, il dato complessivo della crescita globale, pari al 22%, scenderebbe al 13% se la Cina fosse esclusa dal computo dei 136 Paesi presi in esame. Il PIL pro-capite cinese resta ancora notevolmente più basso rispetto a quello delle economie più avanzate ma dal 1990 al 2019 è cresciuto di oltre 32 volte, come attesta la Banca Mondiale.
Nel 2002, alla classe media apparteneva appena il 4% della popolazione cinese. Soltanto dieci anni dopo, il dato era salito al 31%, pari a circa 420 milioni di persone. L'anno successivo, nel 2013, ha toccato quota 39%, ovvero circa 531 milioni di persone. Sino ai primi anni Duemila, il mastodontico sviluppo economico del Paese aveva riguardato, oltre a Pechino, soprattutto le aree metropolitane costiere più importanti, in particolare Shanghai, Shenzhen, Tianjin e Guangzhou. Dal 2002 in poi, come effetto delle politiche lanciate nel 1999 dall'ex presidente Jiang Zemin, anche le province della Cina Occidentale hanno cominciato a crescere in modo esponenziale. Su tutte, la megalopoli di Chongqing (oltre 30 milioni di abitanti), ma anche altre città di primo livello emergenti come Xi'an e Chengdu o di secondo livello come Ürümqi, capoluogo della Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, e Lanzhou, capoluogo della Provincia del Gansu.
Nell'anno più difficile per la Cina e per il mondo, i robusti fondamentali macroeconomici del Paese asiatico lasciano comunque ben sperare per il prossimo futuro. L'incremento esponenziale della classe media cinese è, nei fatti, la speranza delle economie del resto del mondo. Buona parte degli 1,4 miliardi di consumatori cinesi, sempre più digitalizzati, consapevoli ed esigenti, cerca oggi beni e servizi di fascia medio-alta ed i primi a trarne vantaggio, se l'opportunità sarà ben compresa, potrebbero essere proprio quei Paesi che un tempo vedevano la Cina soltanto come un mercato dove trasferire innumerevoli produzioni. Anche per questo, chiunque vincerà l'ormai imminente sfida elettorale negli Stati Uniti non potrà far altro che prenderne atto e tornare al tavolo dei negoziati con Pechino.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia