(ASI) Per le grandi esclusive di Agenzia Stampa Italia siamo tornati nella prestigiosa cornice dell’Ambasciata del Messico in Italia per incontrare S.E. Carlos Garcia de Alba, da cinque mesi rappresentante diplomatico del paese americano nel nostro paese.
Come sempre tanti i temi trattati nel corso dell’incontro, sia quelli bilaterali inerenti i rapporti sempre più stretti e proficui tra i due paesi sia quelli legati al posizione geopolitico di Città del Messico senza trascurare le peculiarità del paese e la sua storia.
Il Messico è la seconda economia dell'America Latina, dopo il Brasile, la 15esima economia mondiale in termini assoluti e l'11esima a parità di potere d'acquisto. Una popolazione di quasi 130 milioni di abitanti e le abbondanti materie prime ne fanno un attore internazionale imprescindibile. Il Suo Paese ha più volte chiesto, insieme ad altri Stati, una riforma del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che permetta di allargare il numero dei membri permanenti dagli attuali cinque (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia e Cina) ad una serie di altri Paesi finora esclusi. Quali passi in avanti sono stati fatti in questo senso?
Il Messico è da tempo impegnato nel chiedere una revisione del sistema di funzionamento dell’ONU e, fortunatamente, da questo punto di vista non siamo soli, molti sono i paesi che avvertono questa necessità, tra questi anche l’Italia con cui lavoriamo insieme. Oggi il Consiglio di sicurezza dell’ONU riflette gli equilibri usciti da una guerra finita quasi 80 anni fa ma in questi decenni il mondo è molto cambiato. A parole i cinque membri permanenti (USA, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna ndr) si dicono favorevoli ad una revisione di questo sistema ma nei fatti poi hanno un atteggiamento diverso.
È in dubbio che oggi il mondo sia molto cambiato e noi continueremo a batterci affinché questi cambiamenti vengano riconosciuti, lo ripeto non siamo soli in questa battaglia anche l’Italia è con noi e anche se sono molti anni che si parla di una revisione del Consiglio di sicurezza noi vorremmo realizzarlo.
Qualche anno fa il Messico insieme a Indonesia, Turchia, Corea del Sud ed Australia aveva lanciato il progetto MIKTA. A che punto è oggi è quel progetto e quali sono i principali ostacoli che ha dovuto affrontare?
Questo meccanismo di aiuto e consultazione reciproco è ancora vivo, credo che questi paesi abbiano avuto una buona intuizione ad istituire questo meccanismo di dialogo; siamo paesi che hanno dei valori e degli ideali comuni: crediamo nei principi della democrazia, della libertà, dell’indipendenza e della sovranità; abbiamo un certo livello di vita ed economie avanzate. Questo ci ha spinto inizialmente a creare il MIKTA. Continuano a portare avanti questo progetto, i vari delegati proseguono i loro incontri. Personalmente credo molto in questo gruppo; io stesso sono in contatto con i miei omologhi di Indonesia, Turchia, Australia e Sud Corea. Siamo paesi medi, con una forte presenza regionale; da circa un mese i lavori sono coordinati dalla Corea. Nella mia carriera diplomatica ho più volte incontrato i rappresentanti degli altri stati e da quando sono a Roma ho già incontrato quelli nella Capitale per studiare le iniziative da intraprendere per migliorare la struttura e dare più visibilità.
Credo che il mondo abbia bisogno di queste strutture agili, noi non abbiamo un segretariato generale o uffici o personale, non ne abbiamo bisogno, ma credo che il mondo abbia bisogno di queste iniziative che mettano insieme paesi in rappresentanza di zone diverse per promuovere lo scambio di merci e le iniziative culturali, io stesso sto pensando di organizzare una rassegnare cinematografica di questi cinque paesi. Sono paesi che conosco bene e posso garantire che chi ha avuto l’idea di creare questo gruppo è stato lungimirante.
L'ascesa di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha in una prima fase innalzato le tensioni con il Messico, accusato dall'inquilino della Casa Bianca di concorrenza sleale e scarsa capacità di controllo alle frontiere. Lo scorso dicembre, il vecchio NAFTA, l'accordo commerciale siglato nel 1994 da Stati Uniti, Canada e Messico, è stato sostituito dall'USMCA, il nuovo accordo preteso proprio da Trump. Il presidente messicano López Obrador si è detto molto ottimista per le ricadute di questa intesa in tema di commercio e investimenti. Cosa si aspetta il Messico da questo nuovo quadro normativo?
Trovo questa domanda importante visto che il Canada ha ratificato l’accordo pochi giorni fa. L’atteggiamento assunto da Trump credo dimostri l’importanza di questo nuovo trattato per l’economia dei tre paesi. A mio parere quando il presidente Trump parlava del peggior accordo mai siglato dagli USA lo facesse per logiche di campagna elettorale e di politica interna.
Il precedente accordo risaliva a 25 anni fa, sicuramente all’epoca i firmatari sapevano che alla zona nordamericana serviva un accordo che favorisse il libero scambio tra le parti; oggi i tre paesi insieme valgono quanto l’Unione europea, la prima potenza commerciale al mondo; il livello di scambio commerciale tra noi è cresciuto in questi anni e tutti e tre abbiamo bisogno degli altri, perché questo ci aiuta ad essere più competitivi.
Viviamo in un epoca in cui nessun paese può pensare di farcela da solo; il mondo è sempre più globalizzato; l’USMCA o NAFTA2 non è solo un accordo di libero scambio ma di integrazione tra tre economie, se vogliamo essere competitivi dobbiamo essere sempre più integrati.
Questo nuovo accordo comprende dei capitoli, degli argomenti, che 25 anni non erano stati trattati, si pensi alle telecomunicazione, all’energia e, mi piace sottolinearlo, Canada, Usa e Messico insieme su petrolio, gas e rinnovabili rappresentano il principale hub energetico mondiale; si parla di proprietà intellettuale, di e-commerce.
I detrattori dicono che l’accordo ci penalizzerà, ad esempio nel settore delle automotive, probabilmente sì, non lo escludo visto che prima ci voleva il 62,5% di componenti locali per essere liberi da dazi ed ora questa soglia è stata portata al 75% probabilmente questo spingerà alcune aziende a delocalizzare, ma sono solo ipotesi, ma in tutte le trattative si vince su alcuni punti e si perde su altri; io credo che questo nuovo accordo alla lunga porterà più benefici al mio paese e non solo. Se vogliamo far fronte alla Cina e all’Asia abbiamo bisogno di economie sempre più integrate.
ci sono voluti 25 anni per aggiornare il trattato, magari la prossima volta ci metteremo meno in una regione molto più integrata.
Questo nuovo trattato inoltre apre nuove e grandi opportunità anche agli imprenditori europei ed italiani perché offre un mercato molto vasto; mi permetto di dare un consiglio ai potenziali investitori italiani in Nord America: leggete bene i dettagli dell’accordo perché potrete sfruttarne tutte grandi potenzialità mentre se non conoscete l’accordo rischiate di perdere una grossa opportunità poiché ora il Messico rappresenta una piattaforma strategica in diversi settori visto che abbiamo accordi di libero scambio con 47 paesi al mondo e quasi tutti i paesi della regione sudamericana.
Negli ultimi mesi il continente indiolatino ha visto il golpe in Venezuela e quello in Bolivia. In entrambe le occasioni però il Messico ha assunto posizioni diverse rispetto a quelle degli USA. Per quanto riguarda il Venezuela non ha riconosciuto Guaidò quale presidente ad interim mentre dopo i disordini in Bolivia ha dato asilo politico al presidente uscente Evo Morales. A cosa è dovuta questa posizione?
Sono due situazioni diverse che però rientrano nella nostra politica di non ingerenza negli affari interni di altri paesi. Per quanto riguarda Evo Morales noi abbiamo una lunga tradizione di asilo politico, si pensi anche al caso di Lev Trotsky; Morales ha fatto richiesta di asilo politico e noi gli abbiamo dato ospitalità, anche se ora si trova in Argentina. Ma dare asilo fa parte della nostra storia, della nostra tradizione. Anni fa parlando con il governatore dello Utah citavamo la comunità di mormoni che si trova in Messico, nel 1846 quando Joseph Smith (fondatore del mormonismo ndr) era perseguitato nello stato dell’Ohio si rifugiò nello Utah che nel 1846 era territorio messicano. Da sempre il Messico è stato territorio di rifugio per tutti coloro che vengono perseguitati per motivi ideologici, politici o razziali; il nostro è stato sempre un territorio che ha accolto, gli ebrei durante la II Guerra mondiale, i perseguitati dalle dittature del Sud America degli anni 70 ed 80.
Per quanto riguarda invece la vicenda del Venezuela noi non abbiamo riconosciuto Guaidò per via della nostra politica di non ingerenza negli affari di altri paesi; siamo vicini al popolo venezuelano che vive una situazione non semplice. Vedremo come si evolveranno i fatti sia in Venezuela che in Bolivia e giudicheremo. In Venezuela sono passati 14 mesi dalla proclamazione di Guaidò e credo che abbiamo fatto la scelta giusta visto che le cose non sono chiare. Noi abbiamo agito con senso di responsabilità.
Tornando al tema delle migrazioni, nel giugno scorso il presidente López Obrador ha concluso con Trump un accordo che finora sembra efficace, tanto da convincere il presidente statunitense a sospendere i dazi già annunciati nei confronti del Messico. Eppure, restano le tensioni e le polemiche non solo in Messico ma anche nel resto del mondo. Come state fronteggiando l'emergenza e quali politiche intendete adottare per eliminare le principali cause economiche e sociali delle migrazioni dagli Stati dell'America Centrale?
Vorrei dividere la risposta in due parti.
Per prima cosa bisogna sempre pensare ai diritti umani. Come ho già detto noi abbiamo una lunga tradizione di accoglienza e questo continuerà ad essere una parte centrale della nostra politica, noi da sempre rimaniamo vicini ai messicani che lasciano il nostro paese e allora perché non dovremmo aiutare che lascia il proprio paese e viene in Messico? In gran parte inoltre si tratta di persone che vorrebbero entrare negli USA e che stanno aspettando che la loro richiesta di ingresso venga accolta quindi non potevano non alleviare le loro sofferenze in quel periodo di transizione anche perché questa attesa è frutto di una decisione unilaterale degli Stati Uniti.
Secondariamente vorrei sottolineare che il presidente Lopez Obrador ed il Ministro degli Esteri stanno provando a cambiare le cose perché, anche se ci vorrà del tempo, hanno capito che l’unico modo di provare ad arginare il flusso migratorio che viene dal centroamerica è investire in quei paesi, cercare di eliminare le ragioni che portano una persona ad abbandonare la propria casa in cerca di un futuro migliore. Noi lo stiamo facendo, non basta aiutare i transmigranti, anche perché molti di loro non vogliono rimanere in Messico ma andare negli USA. Dobbiamo evitare che vedano la migrazione come unica speranza di una vita migliore eliminando la povertà, la insicurezza e lo sfruttamento delle risorse della terra, il peggioramento delle condizioni sociali.
Quali sono i vantaggi che un imprenditore italiano potrebbe avere venendo ad investire nel vostro paese ed eventualmente in quali settori potrebbe inserirsi?
Gli imprenditori italiani ormai sono integrati in tutti settori economici del paese, ci sono aziende storiche come la Pirelli e la Fiat, ma ci sono praticamente tutte le grandi aziende italiane. Oggi gli imprenditori italiani hanno investito anche in settori un tempo trascurati come quello energetico; l’Eni, e mi fa molto piacere sottolinearlo, è stata la prima azienda che usufruendo della nuova legge che prevede investimenti privati sia locali che stranieri nel settore, ha estratto e raffinato petrolio. L’Eni sta svolgendo un grande lavoro nel settore petrolifero ma anche in quello delle energie alternative grazie agli investimenti di Enel e di Enel Green Power che operano in molte regioni. In Messico sono già presenti circa 2mila aziende italiane.
Devo però ricordare anche gli investimenti messicani in Italia. Pochi lo sanno ma il principale produttore di pane in Italia è messicano: la BIMBO che ha una sede a Monterotondo vicino a Roma ed una tra Bologna e Modena; c’è poi Gruma un importantissimo produttore di farina di mais che ha un impianto produttivo in Veneto; ci sono poi aziende che operano nel settore immobiliare; c’è poi un’azienda che opera nel settore dei parchi acquatici, ma non solo, ci sono anche tante realtà più piccole ma operanti in Italia. Le aziende messicane sanno che anche l’Italia offre buone opportunità per investire. Siamo il terzo paese, tra quelli in via di sviluppo, per investimenti operati nel mondo.
Nel Messico vive anche una piccola comunità di italiani, addirittura a Chipilo, nella parte meridionale del paese si parla il dialetto veneto. Com’è l’integrazione della comunità italiana nel tessuto del paese e qual è il suo apporto al Messico?
I rapporti tra la comunità italiana e il Messico sono di lunga data; si pensi a quelli legati alla religione o alla coltivazione della vite introdotta dai missionari, ai gesuiti espulsi dal governo spagnolo che sono venuti in Italia ad arricchire il dibattito culturale.
A Chipilo c’è una comunità importante ma non delle più grandi che ha la peculiarità di continuare a parlare il dialetto veneto, un dialetto locale; molto più numerose sono le comunità a Città del Messico, a Guadalajara la mia città, a Tijuana a Monterrey; sono comunità perfettamente integrate nel tessuto sociale locale. In Messico si sono tra i 40 ed i 50mila italiani sparsi. Noi non ci rendiamo conto della loro presenza perché sono integrati così bene che non hanno bisogno di fare gruppo a sé.
L’italiano è sempre stato ben accettato in Messico, è sempre stato visto con simpatia. Siamo entrambi latini e quindi l’integrazione è semplice, inoltre gli italiani hanno portato contributi ed innovazioni in praticamente tutti i settori.
Lei ha assunto da poco la guida della rappresentanza diplomatica messicana in Italia. Che opinione aveva del nostro paese e di Roma prima di giungere qui ed ora questa idea è confermata o è cambiata?
La mia è una vicenda un po’ speciale perché sono Ambasciatore solo da cinque mesi ma si tratta della terza volta che mi trovo a vivere in Italia e a Roma. Sono venuto negli anni 80 a studiare alla Sapienza, prima con un corso di specializzazione poi con un dottorato di ricerca; conosco questa bellissima lingua che ci ha dato Dante Alighieri. Agli inizi della mia carriera diplomatica sono tornato a Roma come Addetto commerciale, proprio in questo palazzo, in un ufficio a pochi metri di distanza da questo per circa tre anni. Devo molto a questo paese come ho detto anche al presidente Mattarella quando ho presentato le mie credenziali; l’Italia mi ha dato mia ex moglie ed un figlio Fernando di 30 anni che è italo-messicano, mi ha dato una cultura e sono tornato anche per dire grazie al vostro paese.
Fabriazio Di Ernesto - Ettore Bertolini - Agenzia Stampa Italia