(ASI) Comincerà domani a Pechino la Conferenza sul Dialogo fra le Civiltà Asiatiche, un grande evento dedicato al tema Scambi e reciproci insegnamenti fra le civiltà asiatiche ed una comunità dal futuro condiviso, pensato dal governo cinese per avvicinare le culture e le tradizioni dell'Asia e favorirne l'interazione e lo scambio reciproco. Sono attesi più di 2.000 funzionari e rappresentanti governativi da 47 Paesi, nonché 2.800 giornalisti cinesi e stranieri, indirizzati dal lavoro di orientamento di 3.700 giovani volontari da 39 università e 12 aziende, per quello che si appresta a diventare un appuntamento strategico, non solo dal punto di vista culturale, fra i numerosi attori del Continente asiatico.
Il programma include anche lo svolgimento di tre importanti manifestazioni: la Fiera Culturale Asiatica, dove sono previsti circa 30.000 visitatori provenienti sia dalla Cina che dall'estero; la Settimana della Civiltà Asiatica, che vedrà svolgersi parate, performance culturali, un'esposizione turisitico-culturale, una rassegna cinematografica ed un'esibizione congiunta delle tradizioni continentali; ed il Festival del Cibo Asiatico, che proporrà le tradizioni agroalimentari dell'Asia, non soltanto nello spazio fieristico di Pechino, ma anche a Hangzhou, Guangzhou e Chengdu.
Contemporaneamente è in cartello nella capitale anche un panel di discussione, in collaborazione con l'UNESCO, dal titolo Salvaguardare la diversità delle civiltà asiatiche, incentrato su tre aspetti in particolare: le prospettive storiche della diversità fra le civiltà asiatiche; le interazioni culturali fra i popoli asiatici, come la comune eredità delle Vie della Seta; e le sfide per la rivitalizzazione della diversità culturale fra le civiltà asiatiche, promuovendo al contempo i loro punti in comune.
L'attenzione della Cina verso questa particolare "diplomazia culturale" è senza dubbio facilitata dalla longevità della sua plurimillenaria civiltà e dalla capacità di salvaguardia delle tradizioni che il Paese ha saputo mettere in campo anche in momenti bui del secolo scorso, come la Seconda Guerra Mondiale o la Rivoluzione culturale, che misero a repentaglio il patrimonio storico e culturale nazionale. L'idea di interazione nella diversità va dunque a rimarcare il concetto di civiltà espresso più volte da Xi Jinping in questi ultimi anni. Dopo aver visitato oltre cinquanta Paesi nel corso dell'ultimo lustro, il presidente cinese non ha mai lasciato al caso gli aspetti culturali, pubblicando un editoriale sul principale organo di informazione del Paese che lo ha di volta in volta ospitato.
«L’Italia è la patria dell’antica civiltà romana e la culla del Rinascimento», ha scritto Xi sulle pagine del Corriere della Sera lo scorso 20 marzo, poche ore prima dei vertici con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. «Già più di duemila anni fa, l’antica Via della Seta ha permesso il collegamento tra l’antica Cina e l’antica Roma, nonostante le grandi distanze che le separavano», ha sostenuto in quella circostanza il leader cinese, ricordando che «la dinastia Han inviò Gan Ying in missione alla ricerca di ciò che chiamavano "Da Qin" o "Grande Qin" che si riferiva proprio all’impero romano, mentre nei componimenti del poeta Virgilio e del geografo romano Pomponio Mela si trovano molteplici citazioni del "Paese della seta"».
L'odierna promozione della cultura cinese nel mondo è cominciata circa quindici anni fa con la fondazione all'estero dei primi Istituti Confucio e delle prime Classi Confucio: ad oggi, stando ai dati diffusi da CGTN, i primi sono 548 mentre le seconde 1.193, per un totale di 1,87 milioni di studenti coinvolti in ben 154 fra Paesi e regioni del mondo. La crescita economica e tecnologica del gigante asiatico ha fatto il resto, sfoggiando all'estero apprezzati brand nel campo dell'hi-tech, traguardi scientifici, storie innovative ed iniziative ecologiche che hanno permesso alla Cina di farsi conoscere nel mondo con un volto nuovo, sempre più distante da quello stereotipato del passato, quando nell'immaginario occidentale il Paese asiatico era spesso associato ad un sistema politico repressivo, ad un sistema industriale inquinante e ad un sistema manifatturiero a bassissimo valore aggiunto, "predatore" di aziende straniere delocalizzate.
«Se tutte le civiltà promuovessero l'inclusività, il cosiddetto 'scontro di civiltà' sarebbe fuori discussione e l'armonia fra le civiltà diventerebbe realtà», aveva detto Xi Jinping al quartier generale dell'UNESCO, a Parigi, nel 2014, descrivendo due anni dopo, al Cairo, in occasione del Vertice della Lega Araba, la diversità culturale nei termini di un nutrimento per il pianeta, esattamente come «le diverse specie di Madre Natura». Non ci sono «civiltà superiori o civiltà inferiori», precisava Xi alle Nazioni Unite nel gennaio 2017, ma diverse culture per «identità e luoghi» perché, come sottolineava esattamente due anni fa durante il discorso di apertura del primo Forum Belt and Road per la Cooperazione Internazionale, «la storia mostra che la civiltà avanza con l'apertura e le nazioni prosperano attraverso gli scambi».
Ad oltre cinque anni dal lancio dell'iniziativa Belt and Road per la ricostruzione in chiave moderna delle antiche direttrici terrestri e marittime della Via della Seta, il presidente Xi Jinping vuole così chiudere una lunga fase di costruzione dell'immagine internazionale del Paese ed aprirne un'altra, dove alla grande strategia economica - ormai ampiamente consolidata - pensata per stimolare idee, capitali e investimenti attraverso business forum, tavole rotonde, programmi di scambio, collaborazioni scientifiche, fiere ed eventi di altissimo profilo internazionale, si accompagni la guida di un processo di interazione e confronto culturale sempre più dinamico, finalizzato a superare quelle divisioni e quelle incomprensioni che, per troppo tempo, hanno ostacolato uno sviluppo armonico non soltanto in Asia, ma anche nel resto del mondo.
Malgrado le riflessioni sul dialogo di civiltà possano risultare retoriche o banali agli occhi di un osservatore occidentale sempre più abituato al cinismo e all'indifferenza di una certa comunicazione social, in realtà la sensibilità per la conoscenza reciproca non è affatto scontata in un mondo dove la società dei consumi, da una parte, e l'integralismo religioso, dall'altra, hanno fortemente indebolito identità e tradizioni, svuotandole di significato o strumentalizzandole per finalità politiche. In questo senso, l'idea di "globalizzazione armoniosa" portata avanti dalla Cina, connessa ad una visione multipolare della governance mondiale ed evidentemente ispirata al concetto confuciano di "Grande Unità" (dàtóng), sarà indubbiamente uno degli elementi più caratterizzanti di quest'epoca.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia