(ASI) È stata ufficializzata soltanto ieri dal Ministero degli Esteri cinese la data esatta dell'arrivo del presidente cinese Xi Jinping in Italia, per quella che sarà la sua prima visita di Stato ufficiale in assoluto da quanto siede sullo scranno più importante della Repubblica Popolare. Nel novembre 2016, il leader del Paese asiatico era sbarcato in Italia soltanto di passaggio, trascorrendo una giornata in Sardegna, ricevuto dall'allora presidente del Consiglio Matteo Renzi e dall'allora presidente della Regione Francesco Pigliaru, nell'ambito di una breve tappa inclusa in agenda tra il vertice sui cambiamenti climatici del Cop22, appena concluso a Marrakech, ed il vertice APEC a Lima, in Perù, previsto per i giorni successivi.
Stavolta, invece, la situazione è completamente diversa. Xi Jinping arriva in Italia per incontrare direttamente a Roma i vertici del nuovo governo Lega-M5S e per firmare un memorandum d'intesa che dovrebbe sancire l'adesione ufficiale del nostro Paese all'iniziativa Belt and Road (BRI), il megaprogetto lanciato proprio da Xi nell'autunno del 2013, non a caso dal palco dell'aula magna dell'Università Nazarbayev di Astana, nel quadro di un tour in Asia Centrale, cuore dell'antica Via della Seta.
L'obiettivo di Pechino è quello di ricostruire in chiave moderna proprio le storiche rotte terrestri e marittime che avevano per secoli collegato l'Europa all'Asia e viceversa, intensificando commerci e trasporti ma anche incontri, confronti e scambi culturali. Il volano della nuova Via della Seta sono evidentemente le infrastrutture, cioè strade, ferrovie, porti ed aeroporti che andranno a connettere gli altipiani e i deserti un tempo attraversati da cammelli e cavalli. È anche a questo scopo che Pechino, oltre tre anni fa, ha lanciato la Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (AIIB), una banca multilaterale di sviluppo partita ufficialmente con 57 Paesi membri firmatari dell'accordo quadro, fra cui anche importanti economie europee come Italia, Germania, Francia, Regno Unito e Svizzera, ma oggi già saliti a 93, di cui tre azionisti principali: Cina, India e Russia, cioè l'asse portante del gruppo BRICS.
Stando alle indiscrezioni riportate dal Financial Times, e rilanciate venerdì scorso da Vittorio Nuti sul Sole24Ore, il nostro governo potrebbe rivolgersi proprio all'AIIB per accendere alcuni prestiti e finanziare i progetti legati alla BRI che coinvolgono il nostro Paese, rassicurando al tempo stesso Bruxelles: «Secondo il Ft, il potenziale coinvolgimento dell'AIIB potrebbe essere la conferma degli sforzi italiani per dissipare i timori della Commissione UE sull'apertura italiana al collegamento commerciale e infrastrutturale con l'Asia e la Cina rendendo il memorandum d'intesa conforme alle norme europee in materia. Questo perché l'AIIB opererebbe in linea con gli standard internazionali, inclusi gli appalti competitivi e gli studi sull'impatto ambientale, che sono richiesti all'interno dell'UE».
Al netto delle polemiche interne e dei moniti da parte di alti esponenti della Casa Bianca e dell'Unione Europea, relativi soprattutto ai timori sul tema del 5G, comunque non previsto nell'accordo quadro, il governo sembra procedere compatto sulla decisione di avvicinarsi ulteriormente alla Cina compiendo un passo che, a suo modo, sarebbe storico. Parole di grande apprezzamento per l'iniziativa cinese erano già arrivate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la sua visita di Stato in Cina nel febbraio del 2017, affermando che «l’Italia ritiene di poter concorrere alla costruzione di una nuova Via della Seta - anzi, per meglio dire, alle nuove Vie della Seta -, che siano certo i nuovi percorsi del commercio e dell’ingegno costruttivo, ma anche della cultura, della conoscenza e di una sempre maggiore comprensione reciproca, in un processo di stimolo e di accrescimento vicendevoli». Tra giovedì e venerdì, si potrebbe così concludere un percorso fatto di incontri e trattative, fondato su relazioni bilaterali consolidate ormai sin dal secolo scorso.
Sebbene non giuridicamente vincolante, come hanno tenuto a precisare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro dello Sviluppo Economico Luigi di Maio, con la firma del memorandum, l'Italia sarebbe infatti il primo Paese del G7 ad aderire alla BRI, aprendo a Pechino un varco importante all'interno del Vecchio Continente, dove fin'ora il gigante asiatico aveva concentrato investimenti di rilievo sulla portualità soltanto in Grecia.
Dopo il Pireo, dunque, anche il porto di Trieste, probabilmente preferito a quello di Venezia, o il porto di Genova, oppure addirittura entrambi sui due versanti settentrionali - occidentale ed orientale - del Mediterraneo, potrebbero, seguendo modalità ed approcci chiaramente diversi dal caso greco, trasformarsi in veri e propri hub intercontinentali. Secondo le proposte cinesi originarie, infatti, l'Italia è sempre stata segnalata come unico punto mondiale di incrocio fra la direttrice marittima e quella terrestre della nuova Via della Seta, provenienti rispettivamente dall'Oceano Indiano, via Suez e Pireo, e da Rotterdam, via Russia, Bielorussia, Polonia e Germania, potenziando i collegamenti navali e ferroviari già esistenti, testati in questi ultimi anni e capaci di ridurre i tempi dei traffici commerciali rispetto alla rotta artica che resta la più ostica e complessa per le condizioni climatiche ed ambientali, almeno fino a quando non si sarà sciolta almeno una parte dei ghiacciai rimasti. E, per il bene del pianeta, c'è da sperare che ciò non avvenga mai.
Oltre alla logistica e alle infrastrutture, la trasferta di Xi nel Belpaese sarà un'occasione per tornare a promuovere il Made in Italy e la stessa Penisola come investitore credibile ed affascinante destinazione turistica, in una Cina dove la crescita è ormai trainata principalmente dai consumi interni, sempre più attenta alla costruzione di uno sviluppo di qualità, al rispetto dell'ambiente e all'innovazione, fattori che stanno velocemente allontanando il manifatturiero cinese dal vecchio modello ad alta intensità di manodopera finalizzata all'export di prodotti a medio-basso contenuto tecnologico, per sviluppare un nuovo concetto di Made in China, contraddistinto dall'alto valore aggiunto e da elevati livelli di sostenibilità, in linea con le nuove esigenze della popolazione.
Quella di Xi in Italia sarà la prima visita all'estero dopo la chiusura delle Due Sessioni, l'annuale appuntamento che vede svolgersi quasi in contemporanea la Conferenza Politica Consultiva del Popolo e l'Assemblea Nazionale del Popolo, conclusasi proprio con l'approvazione della nuova legge sugli investimenti esteri che, a partire dalla sua entrata in vigore prevista per il primo gennaio 2020, faciliterà l'accesso al mercato cinese per le aziende straniere.
Secondo una stima di McKinsey&Company di qualche anno fa, entro i prossimi tre anni circa il 76% della popolazione urbana cinese, che nel 2017 era pari a poco meno di 814 milioni di abitanti, apparterrà alla classe media. Questo nuovo enorme bacino di consumatori in rapida ascesa è ormai alla ricerca di beni e servizi di qualità, in settori sempre più concentrati sulla persona e sul benessere, dove l'Italia vanta tradizionalmente numerose eccellenze: dall'agroalimentare (inclusa la "filiera" della sicurezza e dell'etichettatura) all'arredo, dalla moda alla cosmetica, dalle rinnovabili al biomedicale, dall'ospitalità alla cultura. Gli ottimi risultati inanellati dal nostro Paese in occasione dell'ultima edizione della Fiera della Cina Occidentale di Chengdu, a settembre, e del primo China International Import Expo di Shanghai, a novembre, hanno messo in luce enormi spazi di mercato per il nostro sistema imprenditoriale. La nuova Via della Seta non potrà che facilitare queste dinamiche.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia