(ASI) Per la Palestina, una terra da decenni occupata dagli israeliani che se ne sono impossessati dopo la guerra grazie al via libera di Usa e Urss, settembre potrebbe essere il mese della svolta.
Subito dopo l’estate infatti l’Autorità palestinese spera di riuscire a presentare e, soprattutto, veder accettata la propria richiesta per una risoluzione che punti al riconoscimento di uno Stato vero e proprio.
La questione però è quanto mai complicata, soprattutto per l’atteggiamento di Israele e degli Usa che tirando in ballo la solita patetica scusa del terrorismo vogliono impedire ai palestinesi di diventare una nazione secondo i canoni indicati da Hobsbawm. Il primo nodo da risolvere è quello dei confini. Israele nel corso degli anni si è spinta ben oltre i confini che gli erano stati concessi sottraendo terreno a tutti gli Stati vicini per “garantirsi la propria sicurezza e sopravvivenza”; altra nota dolente quella relativa alla spartizione delle risorse idriche, vero e proprio oro blu in una regione come quella mediorientale dove non si può certo dire che il prezioso liquido abbondi, senza contare poi il ruolo giocato da Gerusalemme, città forse più contesa di tutta la stessa terra promessa.
Fino ad ora il fallimento di tutte le trattative è stato addossato ai palestinesi, l’occidente democratico, solo per citare alcuni esempi, ha prima accusato Arafat quindi Fatah e Hamas di impedire ad ogni possibile negoziato di arrivare al termine anche se a ben vedere sono sempre stati gli israeliani a bloccare il tutto.
Partendo dalle lezioni del passato il presidente dell’Anp Abu Mazen ha deciso di rompere ogni indugio tirando per la giacchetta l’Onu e chiedendo all’Assemblea generale e al Consiglio di sicurezza quel riconoscimento che, come giustamente fatto notare i vertici palestinesi, in modo unilaterale segnò la nascita di Israele.
All’interno del Palazzo di Vetro il fronte filo palesatine è quanto mai ampio ed andare da un minimo di 120 ad un massimo di 150 nazioni favorevoli anche se gli Usa ponendo il loro potrebbero rallentare, ma non frena, il processo di indipendenza palestinese.
Qualora Washington infatti facesse valere il suo potere la Palestina potrebbe ad ogni modo ottenere
lo status di paese osservatore presso l’Onu, con il diritto così di adire tutte le sedi e i contesti multilaterali, incluso il Tribunale penale internazionale; ottenendo quindi un successo mediatico che getterebbe per altro nuove ombre sul democratico Nobel per la pace Barak Obama
certo ogni decisione dell’Onu non farebbe certo cambiare atteggiamento a Israele, che anzi quasi sicuramente la sfrutterà a proprio vantaggio per un ulteriore giro di vite nei territori e nella striscia di Gaza, fonti vicine al governo di Tel Aviv riferiscono infatti che il loro Paese sarebbe pronto a ripudiare gli accordi di pace di Oslo, quelli che sancirono la nascita dell’Anp, proprio in risposta all’iniziativa di questa di rivolgersi autonomamente all'Onu.
A Ramallah però non vogliono lasciare nulla al caso ed hanno rilanciato la possibilità di riavviare il negoziato bilaterale, facendo valere da parte loro i buoni risultati dal punto di vista economico ottenuti dal primo ministro palestinese Salam Fayyad, in Cisgiordania e la vitalità di una terra definita auto-ironicamente “una occupazione a cinque stelle”.
A settembre però Israele dovrà necessariamente fare i conti con una regione molto diversa da quella di pochi mesi dove le molte rivoluzioni stanno ridisegnando più di uno Stato e dove Tel Aviv rischia di ritrovarsi sempre più accerchiata.
la posizione israeliani è però sempre la stessa ovvero aspettare il riconoscimento di Israele da parte dell’Anp prima di fare ogni qualsivoglia concessione.
La partita è ancora aperta, e finché Israele porterà avanti la sua politica anti araba difficilmente questa intricata vicenda avrà un epilogo pacifico.