(ASI) Venerdì scorso, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi è intervenuto al Palazzo di Vetro di New York in occasione della 73a sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Laddove, tre giorni prima, Donald Trump aveva suscitato le risate di molti presenti per l'autocompiacimento sui risultati raggiunti dalla sua amministrazione in politica estera, la Cina ha ribadito il proprio impegno per la pace, indicando ancora una volta la strada maestra del multilateralismo al fine di raggiungere gli obiettivi fissati dall'Organizzazione nel quadro dell'Agenda al 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.
Rispondendo indirettamente a Trump e alla sua decisione di estendere ulteriormente i dazi nei confronti dell'import del suo Paese dalla Cina, Wang ha ricordato i rischi presenti nel mondo di oggi. «Ciò che osserviamo è che le regole internazionali e i meccanismi multilaterali sono sotto attacco, e che l'arena internazionale è densa di incertezze e fattori di destabilizzazione», ha sottolineato il ministro cinese, citato da Xinhua. «La risposta della Cina è netta», ha aggiunto Wang, affermando che «la Cina ha pienamente sostenuto l'ordine internazionale e perseguito il multilateralismo».
Per quanto riguarda il supporto al multilateralismo, il ministro ha indicato in particolare quattro principi-guida che Pechino propone al resto del mondo per una condotta condivisa a livello globale:
- Perseguire una cooperazione dal mutuo vantaggio, rimpiazzando lo scontro e la coercizione rispettivamente con la collaborazione e il confronto, ed abbandonando la cultura del 'vincitore prende tutto';
- Applicare in modo sostanziale la Carta dei Principi delle Nazioni Unite, rispettando il diritto internazionale, le norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali e gli accordi internazionali scaturiti dai negoziati;
- Sostenere l'eguaglianza e la giustizia negli affari internazionali, agendo su un piano di pari dignità e reciproco rispetto tra le nazioni, grandi o piccole che siano, in modo che i Paesi più grandi aiutino i più piccoli e che i più ricchi vengano incontro alle esigenze dei più poveri;
- Produrre risultati concreti nel quadro del lavoro internazionale congiunto in seno all'ONU, a livello diplomatico, e al WTO, a livello commerciale.
In tema di sviluppo, il capo della diplomazia cinese ha citato, com'era logico attendersi, l'iniziativa Belt and Road con cui il Paese asiatico sta cercando, non senza ostacoli e interferenze, di ricostruire in chiave moderna le antiche direttrici, terrestri e marittime, dell'antica Via della Seta. «È fondamentale per noi adattarci alle tendenze della globalizzazione economica - ha rilevato Wang Yi - e guardare ad essa come ad un processo aperto, inclusivo, equilibrato e reciprocamente benefico nella capacità di produrre vantaggi per tutti».
Alla consolidata cooperazione Sud-Sud, un caposaldo storico della politica estera cinese, il ministro ha voluto affiancare anche la funzione di «canale principale» svolta dalla cooperazione Nord-Sud, una dinamica geopolitica in cui la Cina potrebbe inserirsi e giocare effettivamente, anche in questo ambito, quel ruolo di 'Paese di mezzo' che gli storici le hanno riconosciuto sin dall'antichità, capace di mediare tra le economie avanzate e quelle in via di sviluppo, grazie alle sue peculiarità politiche, economiche e sociali. «Nel corso degli ultimi quarant'anni, abbiamo lavorato duramente e proceduto con successo lungo il sentiero del socialismo con caratteristiche cinesi», ha detto Wang Yi, ricordando come questo percorso storico «ha apportato trasformazioni sostanziali in Cina e fornito al resto del mondo opportunità di sviluppo condiviso».
Facendo eco all'annuncio lanciato dal presidente Xi Jinping in occasione dell'ultima edizione del Forum di Boao lo scorso mese di aprile, il ministro ha asserito che la Cina «non tornerà indietro e non chiuderà la porta». Anzi, si impegnerà ad «aprirla ancora di più» al resto del pianeta, come suggerito dai recenti provvedimenti mirati alla riduzione delle barriere tariffarie e alla facilitazione dell'ingresso nel mercato cinese per gli operatori esteri.
Wang Yi ha inoltre calato sul tavolo del dibattito quattro carte importanti, facendo riferimento ad alcune fra le crisi internazionali più gravi, a cominciare dalla Penisola Coreana, dove lo storico incontro di Singapore tra Donald Trump e Kim Jong-un dello scorso giugno sembra non aver ancora risolto le tensioni, al punto che proprio in questi giorni di confronto a New York, Cina e Russia hanno chiesto l'immediato alleggerimento delle sanzioni contro Pyongyang di fronte ad una posizione statunitense ancora piuttosto intransigente.
Il ministro ha poi menzionato la questione nucleare iraniana, senz'altro quella che vede, al momento, le maggiori distanze fra le parti. Da un lato, Trump che, dopo aver abbandonato l'accordo raggiunto nel 2016 con l'adozione del Piano Congiunto di Azione 5+1, ha nuovamente accusato l'Iran - in piena sintonia con Israele e Arabia Saudita - di «sostenere il terrorismo», minacciando nuove sanzioni contro Tehran. Wang ha invece ribadito l'importanza cruciale dell'accordo raggiunto oltre due anni fa col presidente Rouhani, che va «costantemente implementato».
Spazio anche per la questione palestinese, un problema «che non va marginalizzato», secondo il ministro cinese, per il quale si pone la necessità di «un altro round di negoziati di pace», finalizzato all'individuazione di un «nuovo meccanismo di mediazione» tra le parti. Infine, il riferimento allo Sato di Rakhine, nel Myanmar, dove gli scontri etnici tra la minoranza musulmana dei Rohingya e i buddhisti hanno provocato una grave crisi umanitaria. Wang ha invitato l'ONU ad accelerare le operazioni di rientro nel Paese della prima quota dei profughi fuggiti nel vicino Bangladesh.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia