(ASI) Martedì prossimo, nella cittadina svizzera di Davos, andrà in scena la 47a edizione del Forum Economico Mondiale (WEF), un appuntamento ormai ampiamente consolidato in cui leader politici, imprenditori e analisti discutono intorno ai temi salienti dell'economia mondiale.
Il fondatore e presidente del forum, cioè l'ingegnere ed economista tedesco Klaus Schwab, ha presentato questa edizione come una nuova importante possibilità di confronto in una fase piuttosto critica per gli equilibri globali, densa di contraccolpi per la stabilità internazionale. Il summit di Davos resta, dunque, «una piattaforma globale impareggiabile per la sua capacità di coinvolgere personalità di alto profilo del mondo imprenditoriale, dei governi, delle organizzazioni internazionali, delle università e della società civile in sessioni di lavoro condivise».
Da Klaus Schwab un appello alla responsabilità
L'imminente appuntamento, dedicato al tema Leadership Responsabile e Reattiva, cercherà così di produrre idee e spunti che possano fornire suggerimenti di rilievo alle classi dirigenti mondiali. Il richiamo alla responsabilità generale non è un fenomeno recente nel dibattito economico mondiale né un espediente meramente opportunistico, costruito per sedare i risentimenti sociali alla luce della crisi. Citando un editoriale scritto a quattro mani con l'ex collega Claude Smadja per l'International Herald Tribune nel 1996, infatti, Schwab, durante la recente conferenza stampa di presentazione della nuova edizione, ha ribadito che «l'economia globalizzata non deve essere un sinonimo di "libero mercato furioso", un treno senza freni che conduce verso il caos» [K. Schwab - C. Smadja, Start Taking the Backlash Against Globalization Seriously, International Herald Tribune - The New York Times, 1/2/1996]. Secondo Schwab, che richiama nuovamente quanto scritto ventuno anni fa, «le responsabilità sociali delle aziende e dei governi restano più importanti che mai», lamentando una generale carenza di regolazione.
Nell'overview del WEF 2017, si sottolinea che «l'emersione di un mondo multipolare non può diventare un pretesto per evitare di decidere ed agire». Mentre la Quarta Rivoluzione Industriale «continua a guidare la convergenza tra tecnologie che rendono più vaghi i confini tra i sistemi fisici, digitali e biologici», c'è dunque bisogno di risposte urgenti «per affrontare la complessità e l'incertezza presente nella vita delle persone». Ma in cosa consistono la responsabilità e la reattività menzionate dal WEF 2017? Cosa devono fare le leadership? Anzitutto, riconoscere che «la frustrazione ed il malcontento stanno crescendo tra le fasce sociali estromesse dallo sviluppo economico e dal progresso sociale». Maggiori responsabilità e reattività comportano inoltre «un più profondo impegno nello sviluppo inclusivo e nella crescita sostenibile, sia a livello nazionale che a livello globale». C'è poi il divario generazionale, da colmare attraverso una maggiore condivisione nella gestione di quei sistemi che risultano «decisivi per la nostra prosperità».
Xi Jinping presenta la sua idea di governance
Da molti anni, ormai, la Cina riserva grandissima attenzione al Forum Economico Mondiale, evento in cui sarà direttamente rappresentata dal presidente Xi Jinping, già arrivato in Svizzera per una serie di incontri con politici ed imprenditori locali. La riflessione sui tempi e sui modi per il raggiungimento di una governance globale responsabile e condivisa accompagna da tempo i piani di sviluppo economico e sociale presentati da Pechino.
Il crescente processo di multipolarizzazione ha convinto sempre più la classe dirigente cinese della necessità di ridefinire in senso più equo ed inclusivo l'architettura economica e finanziaria internazionale. Se n'è a lungo parlato lo scorso anno, quando la Cina ha ospitato gli incontri e i vertici del G20, proponendo durante il summit generale di settembre una serie di iniziative su scala internazionale, riassunte nell'alveo di quello che è stato definito come Hangzhou Consensus. Anziché ribaltare radicalmente il vecchio Washington Consensus, che aveva caratterizzato la politica economica internazionale degli anni Novanta e Duemila, questo nuovo approccio intende piuttosto presentarsi come un monito a procedere nella direzione della facilitazione degli investimenti e del commercio, all'interno di un nuovo paradigma di stabilità, sostenibilità e condivisione, sia a livello nazionale che internazionale.
In un articolo pubblicato venerdì scorso sul quotidiano elvetico Neue Zurcher Zeitung, Xi Jinping si è detto preoccupato per le attuali prospettive economiche, e in particolare dal populismo montante e dal protezionismo commerciale. Consapevole dell'esistenza di «una forte domanda di revisione e cambiamento degli attuali percorsi di sviluppo, dei sistemi redistributivi e dei modelli di governance», il leader asiatico ha sottolineato come «la Cina sta lavorando con i Paesi europei, tra gli altri, per affrontare le sfide che ostacolano lo sviluppo globale» attraverso una visione di sviluppo «innovativo, coordinato, verde, aperto e condiviso», accompagnato dalla riforma strutturale dell'offerta e dalla promozione di nuove forze motrici della crescita.
Cina, nuovo leader in riforme e innovazione?
Dopo un 2015 denso di incertezze e timori, la Cina è apparsa in condizione di conferire consistente solidità ad un sistema in cui molti osservatori occidentali avevano a lungo evidenziato potenziali fattori di rischio: dalla volatilità sui mercati azionari alla possibile bolla immobiliare, dal rallentamento della crescita all'overcapacity. Nel giro di un anno, Pechino è intervenuta tempestivamente in tutte le aree dove era risuonato l'allarme ed i problemi, sebbene non ancora del tutto superati, appaiono ridimensionati. Il 13° Piano Quinquennale, pubblicato nel marzo del 2016, ha consegnato un quadro di riforme piuttosto articolato e convincente sia per i partner che per gli investitori. Tra la primavera e l'estate scorse, il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto per ben due volte al rialzo le stime di crescita della Cina per il 2016, sino ad una previsione del 6,6%, molto vicina al 6,7% ipotizzato dal governo.
La riforma dell'offerta cinese, a detta di esperti locali e stranieri, potrebbe risultare in realtà molto "pratica" e finalizzata essenzialmente a ridurre l'indebitamento corporate, tagliare la capacità in eccesso, alleggerire le scorte, abbassare i costi aziendali e rafforzare i punti deboli dell'economia. Tuttavia, per arrivare a questi risultati, Pechino sta ripensando globalmente il suo modello di sviluppo per portare il Paese ad affermarsi quale leader mondiale dell'innovazione, dei servizi e della sostenibilità. La riforma delle grandi aziende statali e il rafforzamento del terziario non porteranno al declino della manifattura o ad un processo spinto di delocalizzazione industriale, bensì al riorientamento delle attività produttive verso un generale avanzamento nelle rispettive catene globali del valore.
Stando ai dati diffusi pochi giorni fa dal Dipartimento Nazionale di Statistica, riportati da Xinhua, nel 2016 la Cina si è confermata leader della crescita mondiale, contribuendo al 33,2% dell'espansione economica globale, secondo un trend che si va consolidando.
Con l'imminente insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, prendono quota le intenzioni protezionistiche latenti già da tempo negli Stati Uniti, anche in ambienti democratici. Facendo leva sulla paura delle classi medie occidentali attraverso raffigurazioni fosche e minacciose del contesto internazionale, la globalizzazione oggi sembra finire sotto accusa proprio in quei Paesi dove ne furono gettati i semi oltre trent'anni fa, cioè negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, creando confusione e approcci politici contraddittori anche in Europa. Eppure, se - come per anni ci è stato ripetuto - indietro non si può tornare, non resta altro da fare che imparare a gestire meglio le dinamiche globali attraverso nuovi meccanismi ed una progressiva ma decisa armonizzazione tra stato e mercato, proprio come sta cercando di fare la Cina.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia